L’AI per la selezione non assicura matrimoni (lavorativi) felici

All’interno di uno scenario economico globale in cui il mercato dell’Intelligenza Artificiale (AI) applicata alle Risorse Umane raggiungerà quota 18 miliardi entro il 2027, negli Stati Uniti sono già sei su 10 le aziende che si affidano a questa tecnologia. Lo ha rivelato Mckinsey, che di recente ha raccolto le opinioni di un panel di Chief Human Resource Officer statunitensi ed europei: secondo i dati raccolti dalla società internazionale di consulenza manageriale è emerso che il 90% degli intervistati prevede cambiamenti significativi nel modello operativo HR nei prossimi due o tre anni. Tra questi c’è proprio l’influenza di tecnologie di ultima generazione come l’AI. Le persone interpellate apprezzano soprattutto gli assistenti virtuali di ultima generazione, che sono addirittura in grado di effettuare dei veri e propri video-colloqui preliminari, monitorando e interpretando le risposte, il tono di voce e le espressioni facciali dei candidati.

E in Italia? Dalla stessa ricerca è emerso che i software di gestione delle risorse umane sono usati soprattutto per semplificare i diversi processi, eliminando il bisogno di documenti cartacei, ottimizzando i tempi di lavoro e diminuendo il margine di errore umano. Ma alcune aziende stanno iniziando a utilizzare le potenzialità dell’AI anche per il recruiting. Gabriele Ghini, Managing Director di Transearch International Italy, Presidente di ProperDelMare Consulting e Adjunct Professor nel Master Internazionale di Corporate Communication all’Università Cattolica di Milano, dal 1989 lavora come head hunter per alcune delle più importanti società del settore, italiane e straniere. La sua opinione sull’utilizzo dell’AI in questo ambito è chiara: “L’accanimento con il quale tante società di recruiting promettono di sostituire i professionisti della selezione con un assistente virtuale non è riscontrato nei fatti, ma serve a fare notizia e riempire pagine di giornali”.

L’AI non toglie spazio agli head hunter

Ghini riporta quindi l’esempio della piattaforma social LinkedIn, creata nel 2002 con l’obiettivo di mettere direttamente in contatto aziende e persone (candidati), togliendo – potenzialmente – l’intermediazione delle società di recruiting e di head hunting. “L’obiettivo dichiarato era di replicare il successo di piattaforme di prenotazione viaggi, che stavano procedendo all’eliminazione delle agenzie di viaggio. Il risultato è che in pochi anni il fatturato mondiale delle sole società di head hunting è passato da 12 miliardi a oltre 20”. Attualmente, in Italia le società di executive search stanno uscendo in modo vincente dai due anni di pandemia: le ricerche di settore stimano, infatti, tassi di crescita superiori al 20% per il mercato della caccia ai top manager.

Tornando all’AI nel recruiting, spesso il suo funzionamento è legato a un algoritmo di ranking utile a selezionare il migliore tra un ampio numero di candidati, che si basa sulle informazioni legate al suo percorso professionale e sui video-colloqui che ha svolto. “I software che molte aziende stanno usando per filtrare i cv dei candidati sono facilmente bypassabili dagli umani. Per fortuna il successo di una persona sul lavoro non è determinato dalla postura in fase di colloquio o da come sbatte le palpebre”, commenta Ghini. A suo giudizio, la pretesa di poter demandare la valutazione su un candidato a un software può funzionare in un film, ma non nella realtà del lavoro. “È un discorso simile ai programmi per accoppiare cuori solitari: penso possano essere adatti per l’avventura di una notte, ma non per un matrimonio felice”.  In effetti i software e le App – almeno in amore – hanno un’alta percentuale d’errore. Anche se ogni tanto ci azzeccano…

Gabriele Ghini, Linkedin, AI recruiting, head hunting


Elisa Marasca

Elisa Marasca

Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino. Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica. Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.

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