Sustainable development

Agenda 2030 dell’Onu: il percorso a ostacoli della sostenibilità

L’Agenda 2030 dell’Onu è un’architettura complessa e di carattere sistemico che legittima in modo nuovo diverse linee di progetto per una società migliore, inclusiva e democratica. L’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) è diventata una fonte qualificata di dati e un punto di riferimento per il dibattito sullo sviluppo sostenibile, redigendo annualmente un rapporto dove sono presentate sia un’analisi dello stato di avanzamento dell’Italia rispetto alla suddetta Agenda sia proposte per l’elaborazione di strategie che possano assicurare lo sviluppo economico e sociale del territorio.

Nonostante sempre più Regioni, Province e Città metropolitane stiano maturando i loro piani, il nostro Paese è ancora lontano dal raggiungimento degli obiettivi. Lo testimonia la seconda edizione del Rapporto dell’Asvis, dal titolo I territori e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Che cosa emerge, dunque? Leggiamo che oltre l’80% delle Regioni e delle Province autonome ha già raggiunto – o lo sta per fare – trend positivi per il target relativo alle coltivazioni biologiche; oltre il 60% evidenzia andamenti favorevoli nella riduzione dei tempi della giustizia; più del 50% registra un orientamento promettente relativamente alla diminuzione della mortalità per malattie non trasmissibili e alla diminuzione dell’abbandono scolastico.

Abbiamo, però, un’altra faccia della medaglia che ci mostra come circa il 50% delle Regioni e delle Province autonome segnala andamenti negativi per alcuni obiettivi, tra cui le disuguaglianze nel reddito disponibile. Sulle energie rinnovabili siamo messi abbastanza bene (60%), così come per l’incremento del tasso di occupazione, l’aumento della spesa per Ricerca e Sviluppo e la riduzione dei rifiuti prodotti. Fa pensare, invece, il fatto che più dell’80% dei territori registra un andamento negativo in merito alla diminuzione della quota di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet) e alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Non ci sono segnali positivi per quanto riguarda l’efficienza energetica, mentre nessuna area registra un trend in linea con i target relativi alle aree marine protette e alla riduzione del consumo di suolo. Al contrario, si attesta un aumento delle differenze territoriali per l’istruzione (goal 4), il lavoro e la crescita economica (goal 8), l’innovazione e le infrastrutture (goal 9), gli ecosistemi terrestri (goal 15), la giustizia e le istituzioni solide (goal 16). Per quanto riguarda le città o aree più densamente popolate, il rapporto registra andamenti promettenti nei riguardi della quota di laureati. Negativo, invece, il quadro rispetto al tasso di occupazione e alla percentuale di famiglie coperte dalla Rete a banda larga. Critica anche la situazione in merito alla quota di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale.

Da questi dati è chiara l’esigenza di costruire una strategia territoriale nazionale per la rigenerazione urbana. Secondo il giurista Guido Rossi, citato da Gianfranco Dioguardi in un articolo sul modello dell’impresa-enciclopedia nel numero 299 di Sviluppo&Organizzazione, “il centro non è più lo Stato, ma la città, la polis”. Occorre una nuova cultura manageriale e gestionale capace di rendere più efficiente ed efficace la governabilità urbana, ma che al tempo stesso educhi le imprese verso nuovi complessi mercati della rigenerazione sostenibile. Passando a riflessioni di carattere più ampio, vorrei sottolineare quanto sia evidente che parlare di sostenibilità significa riflettere sui temi dell’etica, del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, dell’attuazione dell’eguaglianza in senso sostanziale, della non discriminazione e dell’inclusione. Un percorso complesso e necessario che i Paesi sono chiamati ad affrontare per garantire la promozione della persona, il benessere e la prosperità della società e la stessa vita civile e democratica.

Fin da maggio 2020, l’Asvis aveva indicato nella transizione ecologica e digitale la lotta alle disuguaglianze. Alla stessa stregua, il focus sull’attenzione alla parità di genere, la semplificazione amministrativa, l’investimento in conoscenza, la difesa e il miglioramento del capitale naturale come priorità delle politiche di rilancio. Questa impostazione si ritrova pienamente negli obiettivi dell’iniziativa Next Generation Eu e nelle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

La pandemia ha aggravato le diseguaglianze

È fondamentale una riflessione su come l’emergenza pandemica abbia avuto un impatto negativo fin dall’inizio del suo manifestarsi sul raggiungimento di alcuni goal dell’Agenda 2030 (in particolare il 4, 8 e 16). È innegabile che essa abbia influito sul lavoro, mettendo in difficoltà soprattutto le donne e i giovani. Sono stati colpiti, come è noto, in particolare il settore dei servizi, dell’assistenza e il lavoro precario. Per questo motivo, le donne sono state, e sono tuttora, le più esposte, in quanto maggiormente presenti in queste attività. Al di là dei riconoscimenti di facciata rispetto alla legittimità del principio della parità di genere, nei luoghi di lavoro permangono tutt’oggi stereotipi negativi sul raggiungimento di un’autentica uguaglianza sul piano della retribuzione, delle carriere, del welfare per le responsabilità di cura dei figli, della casa e degli anziani.

Sembra che il covid-19 abbia forzato un’inversione di marcia rispetto al perseguimento dell’obiettivo 5 sulla parità di genere, rispetto al quale l’Italia aveva fatto significativi passi avanti. Ma siamo sicuri che il virus sia la causa scatenante e non soltanto un fattore di accelerazione? Forse è il mercato del lavoro che continua a essere poco inclusivo e sostenibile. Dal punto di vista dei diritti, sul piano normativo, è indubbio che nel nostro Paese la parità sia garantita. Ma la questione dei tempi di conciliazione tra vita e lavoro si misura con la disponibilità dei servizi per l’infanzia come gli asili nido, di aiuti alle famiglie o delle misure di welfare che le singole aziende possono mettere a disposizione. Un classico esempio è il part-time involontario, che le giovani madri scelgono forzatamente e spesso contribuisce ad accrescere forme di segregazione occupazionale. Per quanto riguarda il tema della qualità dell’educazione, ovvero il goal 4, si legge tra gli indicatori evidenziati da Asvis che entro il 2030 va aumentato il numero di giovani e adulti in possesso di rilevanti skill, che includono abilità tecniche e professionali necessarie per il lavoro.

Anche i dati del Rapporto giovani 2020 dell’Istituto Toniolo (pubblicati nel libro La condizione giovanile in Italia, Il Mulino) mostrano che le nuove generazioni sono consapevoli dei cambiamenti del mondo del lavoro, a fronte dell’innovazione tecnologica. Le analisi evidenziano una buona conoscenza delle professioni del futuro, ma una difficoltà a sentirsi in sintonia con queste e a immaginarle adatte per se stessi, soprattutto per chi ha un titolo di studio più basso. Sono specialmente i giovani con istruzione più elevata a esporsi maggiormente a esperienze formative informali (sevizio civile, periodi all’estero, ecc.), utili per rafforzare le competenze trasversali in integrazione con quelle avanzate.

“Viviamo in una realtà fortemente diseguale”, ha commentato la Presidente dell’Asvis Marcella Mallen il 2 dicembre 2021, alla presentazione del Rapporto sui territori: “La pandemia ha aggravato le disuguaglianze di reddito, ha colpito con maggiore forza le persone meno protette, come donne e anziani, e tolto speranza ai nostri giovani. È su questi temi che le istituzioni devono convergere. Grazie anche all’aiuto dei fondi del Pnrr abbiamo una possibilità più unica che rara di ridurre le tante disparità che da troppo tempo sono una realtà”.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Luglio-Agosto 2022 di Sviluppo&Organizzazione.
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sostenibilità, disuguaglianze, agenda 2030, Rapporto Asvis


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Giuditta Alessandrini

Giuditta Alessandrini è Professore ordinario Senior di Pedagogia Sociale, Pedagogia del Lavoro e Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Attualmente è anche Professore Straordinario presso l’Università Mercatorum. Tra i suoi scritti: Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, Manuale per l’esperto dei processi formativi, Comunità di pratica e società della conoscenza, Atlante di Pedagogia del lavoro, Sostenibilità e capability approach, Diversity management. È membro del Segretariato AsVis; fa parte dei valutatori del Cineca (Miur); ha svolto attività di consulenza, docenza e progettazione formativa per numerose imprese ed enti.

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