Allenare manager e collaboratori, la crisi si supera con relazioni forti

Per affrontare l’emergenza legata al coronavirus, molte aziende italiane hanno sperimentato per la prima volta lo Smart working, o meglio una modalità di lavoro ‘forzato’ da casa. L’organizzazione da remoto ha i suoi vantaggi noti, ma rischia anche di diventare un freno alla produttività, invece di favorirla, se non gestita al meglio.

La ‘partita’ si gioca sul campo delle relazioni umane: “Il grande ostacolo in Italia riguarda il fatto che i manager controllano le persone in base alla quantità di ore di lavoro, invece di misurarle per obiettivi”, sostiene Anna Piacentini, CEO di People 3.0, realtà specializzata nell’ambito della formazione al benessere aziendale e alla felicità sul posto di lavoro.

“Nel nostro Paese è necessario un salto dal punto di vista culturale e l’emergenza coronavirus ha dimostrato alle imprese quanto sia importante il supporto ai manager, che nella nostra concezione tradizionale delle gerarchie aziendali non possono permettersi di mostrare le proprie debolezze”.

I manager, però, sono persone come tutti e si sono trovati in difficoltà, spaesati e stressati nel gestire una situazione imprevista come quella legata al coronavirus. “La soluzione è aiutare i manager a trovare il modo di gestire le persone, dimostrando di prendersi cura dei dipendenti”. La parola chiave usata da Piacentini è “allenamento” e riguarda sia i manager sia i collaboratori. “Rimettere al centro il concetto di ‘comunità di lavoro’ e l’importanza delle relazioni umane è fondamentale”.

Nel concreto, per esempio, ciò significa utilizzare gli strumenti tecnologici a disposizione per parlare con i dipendenti e ascoltarli, oppure organizzare momenti virtuali per sentirsi uniti, come la pausa caffè tutti insieme.

Anna Piacentini, CEO di People 3.0

Tempi e spazi di lavoro precisi, comunicazione chiara

D’altra parte, la metodologia Agile nasce per rendere migliore l’allineamento all’interno dei team (oltre che con i clienti). People 3.0 ha messo a punto un decalogo di buone pratiche per far funzionare al meglio lo Smart working. Tra i vari punti, Piacentini sottolinea l’importanza della gestione del tempo: “In situazioni come quella che abbiamo vissuto recentemente, è meglio dare piccoli obiettivi quotidiani alle persone, perché il tempo sembra dilatarsi e così è possibile dare più senso a quello che facciamo”.

Inoltre, attraverso le piattaforme di videoconferenza, “viviamo un conflitto interiore: casa nostra non è più solo nostra, ma è invasa e il nostro cervello fatica a capirlo. Per questo, bisogna definire bene quando sentirsi, con slot precisi di disponibilità. Servono patti chiari e trasparenza, altrimenti le persone vanno in tilt. La routine va dichiarata e concordata, sia in casa sia con il team. C’è bisogno di chiarezza e coerenza. Dobbiamo sentirci autorizzati a far vedere le nostre fragilità, perché ciò crea fiducia”.

Alcuni altri esempi utili per aumentare l’engagement delle persone sono: la riunione veloce al mattino e al tardo pomeriggio dove ci si allinea; l’uso di post-it per le attività fatte o ancora da fare; ripristinare rituali e micro-abitudini che ci servono mentalmente per alleggerire il carico di lavoro del cervello; allestire parte della casa come se fosse l’ufficio.

Al manager, poi, servono caratteristiche relazionali come ascolto ed empatia: “Il responsabile, per esempio nella scelta di assegnazione degli obiettivi, deve avere più considerazione della vita delle persone, per esempio se hanno figli o genitori da accudire”.

L’allenamento utile per il rientro post emergenza

Dal punto di osservazione privilegiato di People 3.0, la parte relazionale è più importante delle soluzioni organizzative. “Solo coltivando le relazioni si crea un team coeso, che tirerà fuori idee, mentre lo scollamento e la mancanza di comunicazione fa percepire il responsabile come isolato e distante dalle proprie persone (ma non è detto che abbia allenato le competenze giuste). I collaboratori sono risorse pensanti, un patrimonio di idee. Il dialogo con le persone è quindi fondamentale e aiuta anche a non sprecare risorse economiche perché fa emergere problemi tempestivamente o soluzioni a cui il responsabile non avrebbe pensato”.

Tutto questo si lega al tema del rientro al lavoro post emergenza, perché ci sarà un ‘dopo’. “Chi oggi mette in pratica queste buone azioni sarà circondato da persone che avranno allenato il ‘muscolo’ del lavoro e saranno grate all’azienda per essersi presa carico di loro, con un senso di riconoscenza. Ma soprattutto non avranno avuto un calo di attenzione. Il loro rientro sarà migliore, perché saranno rimasti mentalmente collegati, grazie all’allenamento, alla condivisione e al senso di vicinanza. Solo così le persone saranno disposte a farsi carico della fatica della ripresa”. Per chi non lo farà, invece, sarà molto difficile rientrare a regime con entusiasmo e anche con un sentimento di fedeltà nei confronti dell’azienda.

Quindi l’invito più forte, oltre alle indicazioni pratiche organizzative, è quello di “non perdere di vista le relazioni, la vicinanza, il senso di comunità di lavoro”.

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Gabriele Perrone

Gabriele Perrone, giornalista professionista con oltre 10 anni di esperienza, è redattore della casa editrice ESTE. Nel corso della sua carriera ha lavorato per importanti gruppi editoriali, dove ha maturato competenze sia in ambito redazionale sia nelle pubbliche relazioni. Negli anni si è occupato di economia, politica internazionale, innovazione tecnologica, management e cultura d'impresa su riviste cartacee e giornali online. Ha presentato eventi e ha moderato tavole rotonde con protagonisti manager di aziende di fronte a professionisti di vari settori in location di alto livello. Tra le sue esperienze lavorative precedenti, ci sono quelle al quotidiano online Lettera43.it e in LC Publishing Group, oltre a numerose collaborazioni con testate italiane e straniere, da Pambianco all'Independent. Laureato in Lettere moderne presso l'Università degli Studi di Milano, ha conseguito un postgraduate diploma alla London School of Journalism.

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