Povertà

Altro che prezzi alti, siamo solo più poveri

Non è vero che i prezzi sono aumentati. O meglio, sono aumentati per noi italiani, ma ora sono in linea con quelli degli altri Paesi europei e degli Usa. Piuttosto siamo noi in Italia che invece ci siamo impoveriti e percepiamo i prezzi come molto alti. Negli ultimi 20 anni, da quando cioè siamo entrati nell’euro, i prezzi (anche considerando la recente impennata), sono mediamente aumentati del 2,15% all’anno, in pratica quel 2% di inflazione annuale ritenuto ottimale per una economia in sviluppo sostenibile.

Il problema è che le nostre retribuzioni non sono cresciute come l’inflazione e quindi è diminuito il nostro potere di acquisto. È stato così in tutta Europa? No. Seppur l’inflazione nell’ultimo decennio è stata simile in tutti i Paesi europei – compresa l’impennata degli ultimi due anni – c’è una grande differenza fra la nostra e la situazione dei nostri vicini e si collega all’incremento delle retribuzioni.

Retribuzioni al palo, inflazione in crescita

Negli ultimi 30 anni le nostre retribuzioni non sono cresciute come l’inflazione. Se lo fossero, avremmo attualmente lo stesso potere di acquisto degli altri Paesi europei. Qui, invece, sì che sono cresciute e con esse il potere d’acquisto. Le nostre retribuzioni medie dal 1990 al 2020 sono calate del 2,9%, mentre in Europa sono aumentate mediamente del 30%. In particolare in Svezia sono aumentate del 63%, in Germania e Francia del 32%. Chi sta peggio, ma sempre meglio di noi, è la Spagna, che comunque ha avuto +6,2% (quindi circa il 9% più di noi).

L’inopportuno rapporto cambio della lira nel momento in cui siamo entrati nell’euro ha costituito a tal riguardo un grosso ostacolo per l’Italia fin dall’inizio. Infatti esso ci ha causato subito una notevole perdita del potere d’acquisto. Siamo stati il Paese che ha perso più di tutti, ben il 16,8% contro l’1% della Spagna. Ci sono invece Paesi che hanno addirittura aumentato il potere d’acquisto con la loro entrata nell’euro: la Germania con +5,2% oppure Polonia e Slovacchia addirittura +40%.

Paghiamo il peso del cambio lira-euro

C’è la percezione di non essere stati onestamente informati ai tempi del cambio lira-euro dai politici, ma neppure dalla stampa di questa situazione. Forse perché avevamo accettato proprio un cambio molto penalizzante e non era il caso che lo sapessimo. Di certo è stato un inizio di Europa molto difficile per noi. Purtroppo il trend negativo per l’Italia non è migliorato negli ultimi anni. Questo significa che i nostri attuali aumenti dei prezzi sono ora di fatto decisamente ancora accessibili per gli svedesi, ma anche per francesi, tedeschi e per tutti gli europei (e anche per chi viene da fuori Europa).

Infatti i loro aumenti delle retribuzioni negli scorsi anni costituiscono un notevole ‘polmone’ anche rispetto ai livelli di possibile criticità conseguente agli ultimi due anni di alta inflazione in tutto il Vecchio Continente. Sicuramente gli abitanti di questi Paesi hanno ancora margini rispetto al livello di povertà, cui invece sono ora molto vicine parecchie famiglie italiane. Loro hanno aumentato il potere di acquisto, noi invece l’abbiamo diminuito. Il problema, più che l’aumento dei prezzi, è l’aumento della nostra povertà, cosa che non è avvenuta negli altri Paesi. La prova di ciò è che il nostro Prodotto interno lordo (Pil) reale pro-capite non cresce da 20 anni e che in tale indicatore siamo ora oltre il 40esimo posto mondiale.

crescita, inflazione, Povertà


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Giorgio Merli

Giorgio Merli è autore di numerosi libri e articoli sul management pubblicati in Europa e negli Usa; è consulente di multinazionali e Governi, oltre che docente in diverse università in Italia e all’estero. È stato Country Leader di PWCC e di IBM Business Consulting Services

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