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Aurora Penne, addio a Franco Verona

Non ho avuto la fortuna di conoscere Franco Verona, recentemente scomparso. Ho, però, conosciuto il figlio, Cesare Verona, circa tre anni fa, essendo stato ospite di Aurora Penne presso l’Abbadia di Stura, alla periferia di Torino, sul confine con Settimo Torinese e San Mauro. Ricordo che presi il treno da Milano e poi alla stazione Porta Susa di Torino un autobus; quindi percorsi un breve tratto a piedi. Fui accolto con grande cortesia e disponibilità dall’imprenditore, nel bel mezzo di un’intensa giornata lavorativa.

Iniziammo l’intervista presso il bar dell’azienda: Verona si sedette di fronte a me, si sfilò l’orologio e mi indicò il tempo a nostra disposizione. Volle rileggere la traccia di domande che mi ero preparato e poi mi disse che avrebbe fatto un ‘discorso unico’ che avrebbe contenuto gran parte delle risposte che cercavo. Mi promise di dedicarmi 28 minuti. Alla fine sarebbero state circa tre ore.

La chiacchiera al bar durò davvero pochissimo; dopo neppure cinque minuti mi invitò a seguirlo, perché un racconto senza immagini era privo di senso. E così, nonostante una pioggerella settembrina (che bagnò il mio taccuino Moleskine appena acquistato in Stazione Centrale di Milano!) Verona si sbracciava per farmi vedere ogni particolare della sua azienda.

Reestammo sotto l’acqua per un po’, perché poi venni guidato nella zona della produzione. Fu un giro rapido, ma intenso: Verona voleva che non mi perdessi nessun dettaglio. La mano mi doleva dall’intensità con cui cercavo di fissare su carta quanto vedevo e sentivo. Poi venni affidato a una collaboratrice che mi guidò, per non so quanto tempo, tra le stanze dell’Officina della Scrittura, il museo voluto dai Verona per raccontare le tracce del segno dell’uomo, dalla pittura rupestre alla performance di arte contemporanea attraverso la scrittura e i suoi strumenti.

Alla fine del tour, tornai da Verona, reduce da una riunione con tutti i collaboratori. Mi dedicò ancora un po’ di tempo, finché dovetti interromperlo perché il treno che avevo prenotato qualche giorno prima, certo che mi avrebbe consentito di svolgere l’intervista senza fretta, sarebbe partito dopo pochi minuti. Arrivai in stazione appena in tempo per salire sul treno. Verona citò spesso il padre nel suo racconto.

Una vita in azienda: da dipendente a imprenditore

Conservo tanti ricordi di quell’esperienza. Su tutti la grande passione dell’imprenditore per l’azienda e il lavoro. Una passione che gli era stata trasmessa proprio dal padre Franco, che aveva iniziato l’avventura imprenditoriale della famiglia, rilevando l’azienda da Giuseppe Enriques, nipote del fondatore Isaia Levi, che nel 1919 creò nel cuore di Torino l’azienda produttrice della prima vera stilografica italiana. Il nonno di Cesare Verona, suo omonimo, fu, invece, il primo a importare in Italia le macchine per scrivere americane Remington a fine Ottocento.

In Aurora Penne Franco Verona ci era entrato da dipendente, arrivando a esserne proprietario. Con lui l’azienda proseguì a scrivere la storia, legata a doppio filo allo sviluppo del Paese. Il figlio Cesare nel 2011 ha ‘ribaltato’ l’impresa ridisegnando ogni aspetto, secondo un piano strategico che si è rivelato di successo. Il padre Franco aveva puntato molto sul prodotto, il figlio ha aggiunto anche gli aspetti di storytelling, che in quest’epoca fanno la differenza.

C’è anche un altro particolare che ricordo di quel giorno in Aurora Penne. Mi presentai, ingenuamente, con la mia Montblanc, freschissimo regalo per i miei 35 anni. Verona, ovviamente, se ne accorse subito. Mi vergognai: non volevo che il mio gesto fosse considerato come una ‘sfida’. Era solo un’ingenua e fanciullesca voglia di provare una novità. Ogni volta che riprendo in mano la mia penna, ripenso al nostro incontro. Sorrido, perché so per certo che quello che venne dopo quel momento di tensione, ha rimesso a posto le cose.

Chi volesse leggere l’approfondimento su Aurora Penne, può consultando l’articolo pubblicato su FabbricaFuturo (e sulla rivista Sistemi&Impresa nel 2017): leggi l’articolo.

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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