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Cambiare per resistere nel lungo periodo

Il libro di Pier Luigi Celli La vita non è uno Smart working (ESTE, 2021) è una lettura interessante e anche provocatoria per comprendere le attuali organizzazioni e la loro capacità di reagire – o meglio, di non reagire – alla complessità contemporanea. Ma oltre che una provocazione è anche un invito a riflettere su come le aziende debbano cambiare per poter riuscire a sopravvivere in un’ottica di lungo periodo.

Durante la pandemia tutti abbiamo dovuto, a livello professionale e personale, ripensare una serie di comportamenti e alcuni paradigmi delle relazioni sociali sono stati ridisegnati. In generale nel nostro contesto attuale, alla complessità dei fattori in gioco si unisce una complessità dinamica, dove le cause e gli effetti sono distanti nel tempo e nello spazio. In situazioni particolari, come quella scatenata dalla pandemia di covid-19, non è così automatico sapersi muovere nel modo corretto.

Nel mondo HR, quanto evidenziato sopra è stato palese nel momento in cui molte aziende si sono ritrovate a dover gestire una situazione di Smart working a volte senza averlo mai adottato in precedenza. Il tutto si è anche rivelato un’opportunità: un esperimento forzato da cui prendere spunto e ispirazione per un nuovo modo di pensare il lavoro nella complessità di tutte le sue relazioni.

In questo contesto lo Smart working, o lavoro agile, può diventare una parte integrante, non unica, di una risposta che le aziende devono dare per introdurre paradigmi sempre più flessibili, che siano in grado di superare i classici modelli di business e di leadership per conseguire un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. Per usare le parole del libro di Celli: “È il solo modo per dare un senso a ciò che stiamo vivendo”.

Digitalizzazione e social collaboration

Ma cosa significa introdurre lo Smart working in azienda all’interno di un progetto di cambiamento? Si parte sicuramente dall’avere una visione strategica e organizzativa che ha come output una chiara definizione dei vari processi aziendali. La mappatura di questi ultimi e il disegno organizzativo in un contesto di lavoro disperso e remoto diventa elemento essenziale per costruire un paradigma di interazioni che si possono o si devono svolgere al di fuori dei classici schemi dell’interazione all’interno dell’ufficio e di persona. Fluidità tra le varie fasi del processo, chiarezza di ruoli e di contenuti e meccanismi di governance nel team e trai i vari gruppi sono prerequisiti suggeriti per poter affrontare con successo l’introduzione dello Smart Working in azienda.

Introdurre questa modalità significa anche aver affrontato e implementato in azienda soluzioni tecnologiche che facilitano e supportano la digitalizzazione dei processi, in modo che le informazioni siano immediatamente disponibili a tutti i soggetti coinvolti in un determinato compito. Gli ambienti di lavoro possono diventare virtuali e richiedere connettività continua, accesso da diversi device (smartphone, tablet, ecc.) e soluzioni di social collaboration in tempo reale.

In questo nuovo orizzonte la tecnologia riveste un ruolo chiave come uno dei driver per la creazione del valore. Solo una prospettiva che vede l’elemento umano e quello tecnologico come integrati può aiutare le aziende a superare potenziali i conflitti derivanti dal binomio uomo-tecnologia, lavorando su cambi di paradigma (tecnologia che creare valore complessivo): la tecnologia richiede alle persone di reinventarsi costantemente; la spinta a farlo è un elemento fondamentale per lavorare e liberare il potenziale delle persone e sostenere la crescita nel lungo periodo.

La tecnologia alimenta la sensazione che tutto sia in divenire e può portare a una sensazione di instabilità e incertezza. E se guardassimo all’incertezza come portatrice di nuove opportunità? Per farlo le aziende dovranno avere una chiara prospettiva sul futuro del mondo del lavoro, concentrandosi sulla perspective.

In questo nuovo e sfidante contesto, i modelli organizzativi saranno sempre di più basati su un nuovo concetto di “relazione”: non più legato al classica dipendenza gerarchica del collaboratore, bensì alla sua crescita e autonomia . Un’autonomia che dovrà andare di pari passo con valori quali responsabilità e fiducia del collaboratore.

In generale il mindset del manager non cambia. Il compito di un leader è sempre quello di sostenere, guidare e aiutare gli altri a raggiungere obiettivi e risultati concordati. Ma cambia la modalità di interazione con i propri collaboratori perché viene meno quel lavorare gomito a gomito, negli stessi spazi, con la sensibilità per il non verbale e per le reazioni delle persone. È necessaria una leadership sempre più empatica e che sappia usare in maniera appropriata le nuove tecnologie con l’obiettivo di trovare nuovi assetti organizzativi volti a liberare energia, spirito di iniziativa e potenziale dei propri collaboratori.

Pensare alle persone da sostenere e influenzare, rinforzando i rapporti con loro e coltivando la fiducia. Come? Interessandosi, prendendosi cura e ascoltandoli anche a distanza. Non costringere né controllare per mancanza di fiducia, ma prevedere check intermedi per sostenere le persone lungo il processo di esecuzione e aiutarle, in corso d’opera, con strumenti e risorse aggiuntive, se servono.

 

L’articolo è pubblicato sul numero di Maggio-Giugno 2021 della rivista Sviluppo&Organizzazione.
Per informazioni sull’acquisto scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

lavoro, leadership, Smart working, cambiamento organizzativo


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Marisa Campagnoli

Marisa Campagnoli è in ADP Italia da sei anni e dal 2019 ricopre il ruolo di HR Director. Vanta un’esperienza ultraventennale in aziende informatiche multinazionali di varie dimensioni e con responsabilità sempre crescenti in ruoli dirigenziali. La sua carriera professionale è iniziata a livello aziendale all’interno del dipartimento IT, dove ha sviluppato forti capacità di Project management e gestione delle persone. Ha gestito a livello nazionale la fusione tra HP e Compaq.

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