Dalla crisi della finanza all’organizzazione come “mondo vitale”

Dopo il cambio di direzione, alla fine del 2009 con il numero 235, la rivista prosegue in una linea di continuità.

Si deve però prendere atto di come sia cambiato lo scenario; la crisi della finanza globale, esplosa in modo dirompente nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers e che si è rapidamente propagata in tutto il mondo, ha reso evidente che l’economia reale non sta affatto seguendo i percorsi virtuosi cui pensavano i teorici dell’economia basata sulla conoscenza. Di fatto, i migliori talenti, formati dalle università di primo piano e dalle business school, sono stati attratti dalle banche d’affari, dagli hedge fund e più in generale dalla finanza speculativa; l’industria, la manifattura, la stessa imprenditorialità dei servizi non finanziari sono passate in secondo piano e si sono trovate subordinate rispetto a logiche economiche tutte incentrate sullo shareholder value e sulla globalizzazione e sono state oggetto di continue ristrutturazioni della Supply chain e della catena del valore. Contemporaneamente, il lavoro ha perso gravemente terreno nella ripartizione del reddito rispetto al capitale; come ha evidenziato l’economista francese Picketty, dopo i tre decenni virtuosi 1950-1980 si è tornati agli assetti strutturali di grande diseguaglianza sociale propri della prima metà del secolo XX.

In questo contesto, nel 2010 l’Unione europea deve dolorosamente prendere atto che gli obiettivi della strategia di Lisbona sono ben lontani dal conseguimento.

La prospettiva umanistica, di concezione dell’organizzazione incentrata sugli aspetti cognitivi, sulla stakeholder’s theory, sullo sviluppo delle competenze delle persone, su una leadership inclusiva e diffusa, sulla pluralità delle prospettive di riferimento, che riviste come Sviluppo&Organizzazione, ma anche gran parte della ricerca internazionale di organizzazione hanno coltivato lungamente, si trova così inopinatamente spiazzata da una realtà presente, ma forse non sufficientemente analizzata. Nel mondo reale e su scala mondiale, si è rivelata dominante un’altra impostazione, quella impressa se forse non proprio da un ‘pensiero unico’ degli economisti, almeno da una sorta di ‘mainstream’, per i quali è comunque centrale la creazione del valore per gli azionisti e i risultati sono valutati a breve su pochi e fondamentali parametri quantitativi. È l’impostazione culturale che ha finito per scontrarsi con la crisi globale.

Questa logica ha coinvolto lo stesso mondo delle riviste scientifiche, in pratica di tutti i settori compreso quello del management; nel mio primo editoriale come Direttore (numero 286, gennaio-febbraio 2010) ho richiamato un articolo di Jay Lorsch, nel quale l’autore esprime un senso di disagio che ritiene condiviso da diversi studiosi ‘storici’ dell’organizzazione, come lui formatisi negli Anni 50 e 60 e che hanno fatto da ponte tra i ‘pionieri’ di questa scienza e le più giovani generazioni. Lorsch scrive (traduzione mia): “Il field insieme al quale la nostra generazione è cresciuta, ereditandolo, aveva lo scopo di sviluppare conoscenza sulle organizzazioni e i loro membri, cosa che dovrebbe migliorare la pratica del management […]. Questa visione sull’importanza della conoscenza pratica […] è stata sostituita da un nuovo paradigma che contrasta completamente con la prima. Invece di focalizzarsi sullo sviluppo di conoscenza utile, il nuovo paradigma enfatizza lo scopo di sviluppare teoria generale per proprio interesse e senza riguardo per la sua rilevanza. Invece di incoraggiare la ricerca multidisciplinare, il nuovo paradigma incoraggia una enfasi su singole discipline. Piuttosto che incoraggiare metodi di ricerca pluralisti, il nuovo paradigma glorifica la metodologia di ricerca, che si sostanzia nell’uso degli ultimi e più potenti strumenti matematici e statistici”.

Sviluppo&Organizzazione ha quindi ribadito, dopo un confronto tra Direttore, Comitato scientifico ed Editore ESTE, come l’obiettivo essenziale per la rivista continui a essere inteso nel costituire una modalità di accesso stimolante a una gamma di conoscenze utili per fare fronte ai problemi delle organizzazioni e alle responsabilità dei decisori al loro interno, offrendo sempre “contributi che aiutino ad addentrarsi nella complessità, valorizzando ancora quella carica innovativa, nei linguaggi, metodi e contenuti”, che la caratterizza fin dai suoi inizi.

Contemporaneamente, si è riconosciuto il cambiamento in corso nell’editoria scientifica; secondo una tendenza destinata ad accentuarsi con rapidità, le pubblicazioni nazionali (libri e articoli) perdono rilievo sotto il profilo scientifico; le carriere accademiche si costruiscono ormai attraverso l’accesso ai journal internazionali, specie quelli classificati come di alto livello (classe A, o A+), al di là dei limiti sottolineati da Lorsch. In Italia, questo aspetto si accentua dopo il 2011, con l’istituzione dell’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca e l’avvio della Valutazione della Qualità della Ricerca attraverso sistemi molto standardizzati e orientati in senso internazionale. Per i giovani studiosi perde interesse il collaborare a riviste nazionali. Nel campo del management si assiste a una divaricazione tra le esigenze espresse dal mondo aziendale e gli indirizzi che regolano le sfere degli studi e della ricerca. Tutto ciò procede contro corrente rispetto alla storia stessa di Sviluppo&Organizzazione.

A questo punto occorre fare delle scelte e quella nostra è di dare la priorità al proseguire e al rafforzare la costruzione di ponti tra l’accademia e le organizzazioni reali. Si tiene a mantenere il carattere scientifico della rivista, che viene sancito anche dall’accredito formale di una sezione “Teoria e Ricerche” da parte dell’Accademia Italiana di Economia Aziendale. Ma si riconosce che non è il campo strettamente scientifico quello in cui si potrà eccellere nel futuro; la partita centrale si gioca sul campo dell’interazione con il mondo aziendale, che richiede anche un impegno deciso e in prima persona degli esponenti accademici di maggiore seniority.

Riguardo al contenuto degli articoli, si è curato il mix tra approfondimenti, di ampi scenari o di argomenti specialistici, analisi di esperienze o casi aziendali e più sintetici interventi di opinione, coinvolgendo sempre autori numerosi e diversificati.

Nella raccolta, tenuto conto che la produzione dell’ultimo decennio è più facilmente accessibile, ci si limita a includere due soli articoli, che rappresentano l’impegno della rivista di mantenere e sviluppare un approccio umanistico al management.

Il contributo di Barbara Czarniawska, intitolato “Perché i manager svedesi non amano raccontare storie” (2010), esplora in realtà le origini dell’utilizzo di narrazioni e racconti in azienda, o almeno nelle aziende svedesi, il Paese dove Barbara insegna. Esaminando i pro e i contro del ricorso allo storytelling come strumento potente e dai molteplici risvolti, i rischi di manipolazione, le riserve alla sua adozione, Czarniawska conclude che l’utilizzo della narrazione troverà spazio nelle organizzazioni, che piaccia o meno ai manager; e che non si tratterà in genere di una sola e univoca storia, con potere omogeneizzante, perché “ciascuna cultura libera produce una controcultura, ciascuna storia la sua antistoria”.

Francesco Varanini, a sua volta, affronta l’interazione tra pensiero filosofico e management in “Apprendere come essere manager con la guida di Heidegger” (2018). Partendo dall’assunto che “non esiste azione senza pensiero” e che leggere testi filosofici serve a insegnare a “pensare da sé”, l’autore compie un esercizio di lettura svolto attorno ai testi di Heidegger, e in particolare di Essere e tempo. La lezione del filosofo conduce al chiarimento di come l’azione del manager non possa essere limitata in funzione di uno scopo già definito, perché l’azione efficace va oltre il proprio – apparente, inizialmente definito – scopo e può essere rivolta a una molteplicità di scopi. Addirittura, può orientarsi a raggiungere obiettivi che ancora non si conoscono, che risultano oscuri. Se l’agire del manager è un movimento che tende a un risultato, non significa tendere solo verso risultati definiti, ma anche a considerarne altri possibili.

Nel panorama in veloce evoluzione, l’intento di accorciare ulteriormente le distanze tra università e impresa, tra teoria accademica e prassi delle e nelle organizzazioni, tra differenti culture e discipline richiede la capacità di gettare ponti tra esperienze, linguaggi e sistemi cognitivi.

La rivista è quindi chiamata a valorizzare la qualità del suo pubblico di lettori, della sua rete di autori e collaboratori, della struttura professionale della sua casa editrice.

La Casa Editrice ESTE nel corso dell’ultimo decennio ha molto ampliato e potenziato il suo raggio di azione; pubblica tre riviste dai contenuti complementari e edita anche numerosi libri; sviluppa molteplici iniziative mediante convegni, eventi formativi, seminari; alimenta contenuti nel web con il sito aziendale, i blog e più recentemente il quotidiano Parole di Management; si è quindi inserita a tutto campo in quel sistema delle infrastrutture manageriali che è sempre più dinamico e frequentato nel nostro Paese; coinvolge i principali soggetti professionali e imprenditoriali che animano questo sistema come utenti e clienti, come partner, come sponsor delle proprie attività.

Sviluppo&Organizzazione partecipa quindi attivamente a questa corrente di iniziative che consente di ampliare le occasioni di interscambio con autori e lettori e di dare continuità al confronto; i numerosi convegni organizzati dalla rivista, i suoi forum annuali, le “Discussioni” con qualificati esponenti aziendali ne sono le principali manifestazioni.

Il Comitato scientifico della rivista è stato integrato con l’inserimento, accanto ai membri ‘storici’, di nuovi leader delle discipline di riferimento, nelle persone di studiose e studiosi più giovani, ma ormai giunti a maturità accademica; e anche di figure rilevanti della consulenza manageriale. In questo decennio, il Comitato scientifico si è più volte riunito fisicamente per discutere le linee di evoluzione della rivista, con significativi livelli di partecipazione.

La struttura della rivista è a sua volta evoluta, mantenendo peraltro l’intreccio tra gli articoli di approfondimento e le rubriche che stimolano l’attenzione dei lettori. Le novità principali sono state: “Scenari del lavoro”, con il contributo iniziale di Carlo Dell’Aringa (purtroppo poi prematuramente mancato nel 2018), orientato a esplorare come evolve la regolazione del mercato del lavoro nei suoi aspetti sia economici sia giuridici; “Il Planetario”, che segnala articoli di interesse sulle riviste scientifiche internazionali più accreditate; “Prassi organizzative”, su esperienze aziendali capaci di ispirare futuri sviluppi. Dopo la pubblicazione di Il Principe di Condé. Nuovi romanzi per i manager, a chiusura del ciclo della rubrica curata da Francesco Varanini, l’attenzione per la narrativa è ripresa fin dal 2010 attraverso “Cinema & Romanzi”.

“Elite allo specchio” ha trovato ulteriore valorizzazione, con interviste a protagonisti dell’economia e dell’innovazione, richiamate in copertina e con sviluppo nel senso del ‘ritratto’: personaggi come Federico Faggin, Marina Salamon, Giorgio Squinzi, Lucio Stanca, Stefano Zamagni sono così comparsi nelle nostre copertine. “Di tanti palpiti, di tante pene” ha offerto ai lettori l’opportunità di seguire Pier Luigi Celli nel suo “cammino sghembo”, tra “spezzoni di racconti che aiutino a interpretare l’evoluzione manageriale di questi anni”; “Fabbricanti di universi” ha consentito di rivolgere attenzione a figure di spicco capaci di anticipare il nuovo che avanza, come tra gli altri Federico Butera, Nino Lo Bianco, Alberto Felice De Toni. La rubrica delle “Discussioni” ha avuto un’evoluzione, nel senso di incontri su un tema, in presenza intorno a un tavolo (solo nella fase dell’emergenza covid-19, virtuale), di esperti e manager, con documentazione fotografica e redazione di un testo di sintesi.

Sempre più, il colore si è fatto strada nelle pagine della rivista; con le foto, i disegni, i grafici, ma in senso più pieno con un mix di contenuti che esplorano le molteplici valenze delle organizzazioni come ‘mondi vitali’, animati da conoscenze e tecnologie, ma anche da soggettività, sentimenti, dinamiche relazionali che una visione in bianco e nero fatica a esprimere pienamente. L’innovativa veste grafica introdotta dal 2019 ha accelerato questo movimento, nel segno del ‘visuale’ come pratica che accentua la presa dei contenuti culturali.

L’emergenza covid-19 nel 2020 ha generato una discontinuità cui la Casa Editrice ESTE ha reagito prontamente, attivando una diffusione digitale della rivista che resterà in futuro, accompagnando l’edizione ‘cartacea’ senza sostituirla.

Sviluppo&Organizzazione, 50 anni di Sviluppo&Organizzazione, cofanetto Sviluppo&Organizzazione


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Gianfranco Rebora

Gianfranco Rebora è Direttore di Sviluppo&Organizzazione, la rivista edita dalla casa editrice ESTE e dedicata all'organizzazione aziendale. Rebora è Professore Emerito di Organizzazione e gestione delle risorse umane dell’Università Carlo Cattaneo – Liuc di Castellanza.

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