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Decidere nell’incertezza: la lezione di Israele sulla vaccinazione

Uno dei principali insegnamenti della pandemia è che per vivere in un mondo Vuca gli strumenti del passato sono del tutto inutili (a meno di cambiarli in continuazione). Proprio perché lo scenario è volatile, incerto, complesso e ambiguo, serve un atteggiamento nuovo per dipanare la matassa. Bisogna essere formati al cambiamento continuo: chi s’è preparato ieri, oggi gestisce meglio le nuove sfide. E il Covid-19 lo sta dimostrando.

C’è un Paese che in queste ore è diventato un faro per la gestione della campagna vaccinale. In Israele il 12% della popolazione ha già ricevuto la prima dose (le iniezioni sono iniziate il 20 dicembre 2020) e le persone sanno persino quando e dove recarsi per ricevere pure la seconda. In Italia, giusto per avere un confronto, siamo a poco più di 63mila vaccinati (siamo però partiti una settimana dopo Israele): vuol dire lo 0,1% della popolazione italiana.
La foto dell’articolo è stata scaricata dal profilo Twitter ufficiale dello Stato di Israele e rappresenta la vaccinazione del milionesimo cittadino, avvenuta il 2 gennaio 2020.

Com’è possibile questa disparità? I motivi sono tanti, a partire da un sistema sanitario estremamente efficiente fino alla grande disponibilità economica del Paese che, per assicurarsi tutte le dosi necessarie alla vaccinazione, ha speso cifre nettamente superiori a quelli di Usa e Unione europea: Israele, dicono gli esperti, ha stimato che il lockdown costi molto di più di quanto sborsato per i vaccini. E poi non si dimentichi che il Paese è in campagna elettorale e dunque il partito di Governo ha tutto l’interesse di giocarsi una carta così importante in questo momento storico. Gli analisti sono certi che se l’Esecutivo raggiungerà l’obiettivo si assicurerà la vittoria alle urne.

Ma ci sono anche altri motivi, forse i principali, che spiegano perché Israele sia il più virtuoso sul fronte campagna vaccinale. Si tratta pur sempre di un Paese ancora in guerra e come tale i suoi cittadini vivono per davvero in un mondo Vuca ben prima dell’arrivo del Covid-19. E sono abituati a gestire le App per affrontare l’incertezza: gli israeliani sanno bene che un avviso sullo smartphone può salvare la vita, visto che quando c’è un attacco missilistico, è un’App che avvisa di mettersi al riparo nel rifugio più vicino. Sempre sul fronte della tracciabilità, Israele può contare sulla cybersecurity tra le più avanzate del Pianeta.

Mentre nel mondo si è ragionato di logistica e a chi affidare i vari compiti, in Israele – complice anche la leva militare obbligatoria per tutti (36 mesi per gli uomini e 24 per le donne) – la popolazione è già formata per fare la propria parte. E i numeri della campagna vaccinale – al di là degli scopi politici, che non sono da sottovalutare – lo stanno dimostrando.

In Italia? Siamo ancora a discutere sul simbolo della campagna vaccinale (è stata scelta la primula, fiore della rinascita) e sulle strutture da costruire nelle varie piazze d’Italia; a Tel Aviv, in Piazza Rabin, hanno montato una tenda da campo e dalle 8 alle 22 vaccinano le persone. Da noi è recente l’appello della Sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa che ha chiesto di “sfruttare le ore serali”. Al momento è una proposta (intelligente), ma che deve essere ancora trasformata in realtà.

Intanto in Lombardia – una delle regioni più colpite dal Covid-19, ma tra le meno virtuose in fatto di somministrazione di vaccini (il 3% delle dosi consegnate!) – i vertici della Sanità regionale hanno fatto sapere che erano pronti per metà gennaio, quando sarebbero arrivati i vaccini, e poi per il 4 gennaio 2021; dunque si sono organizzati per questa data: fa nulla se si è iniziato a vaccinare in tutta Europa il 27 dicembre 2020. Far rientrare dalle ferie il personale sanitario per vaccinare nei giorni di festa? Neppure a parlarne. “Non si può improvvisare, abbiamo preparato un’agenda”, è la tesi di Giulio Gallera, Assessore alla Sanità della Lombardia, spiegata in un’intervista a La Stampa. Ecco, qui sta la vera differenza: c’è chi l’agenda è pronto a modificarla rispetto agli eventi e chi continua a voler applicare modelli che sono superati. I numeri sono impietosi. Il problema è che dietro ci sono le vite, di persone e aziende. Le nostre.

L’idea del commento m’è venuta dopo aver letto il lancio di agenzia sui numeri delle campagne vaccinali nel mondo. Ho poi scoperto che in tanti mi hanno preceduto; mi accodo ai ben più noti commentatori. Consiglio la lettura del pensiero di Elena Loewenthal su La Stampa del 3 gennaio 2021.

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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