Russia e Ucraina

Fare impresa nell’economia di guerra

La guerra tra Russia e Ucraina influisce direttamente sull’operatività quotidiana e sulle prospettive di crescita delle Piccole e medie imprese (PMI) italiane. Il convegno virtuale organizzato dalla casa editrice ESTE – editore anche del nostro quotidiano – dal titolo Fare e gestire imprese verso un’economia di guerra è stato l’occasione per guardare agli scenari futuri e per fare il punto su che cosa possono fare le nostre imprese per affrontare la situazione, caratterizzata da forte incertezza e da impatti significativi su vari canali. A cominciare da quello commerciale, contando che le esportazioni dall’Italia verso la Russia avevano un valore di circa 7,7 miliardi di euro, l’1,5% del totale delle esportazioni europee che valgono 70 milardi di euro: una cifra significativa per gli operatori e le imprese che facevano affari con i Paesi ora in guerra. 

Il secondo canale di impatto è quello finanziario: “I mercati sono in fibrillazione, c’è una forte volatilità, con elevate difficoltà a realizzare aumenti di capitale e progetti di espansione. Assistiamo a un fenomeno di de-risking globale, per il quale si abbandonano le attività più rischiose per puntare sui cosiddetti safe-asset, beni il cui valore si preserva nel tempo con alta probabilità, ma in questo momento sono pochi”, ha spiegato Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo. 

Le PMI devono poi fare i conti con il rincaro dei prezzi dell’energia, che mina la competitività delle imprese non solo italiane, ma pure europee. Tra le aziende del Vecchio Continente, fortemente dipendenti dal gas russo, e quelle asiatiche e americane si è creato uno svantaggio competitivo, visto che queste ultime sono più indipendenti dalle risorse di Mosca. 

Interpretare lo scenario geopolitico con le giuste competenze 

Saper gestire il rischio, anche quello geopolitico, deve diventare una priorità per ogni PMI (ma anche per le aziende di grandi dimensioni). Lo dimostra l’attuale situazione socio-economica che, di fatto, ha colto impreparate la maggior parte delle organizzazioni: “Gli imprenditori dovrebbero introdurre, come funzione aziendale, una figura capace di gestire scenari, crisi e guerre. La prima contromisura è dotarsi di un Compliance Manager, che aiuti l’imprenditore nell’inquadrare la politica commerciale all’interno dello scenario geopolitico e che sappia come operare nel contesto delle sanzioni”, è la stata proposta di Paolo Quercia, Direttore di Geotrade, Direttore Scientifico di Centro Studi Awos e docente di Studi Strategici all’Università di Perugia.  

“Le sanzioni sono settoriali e lasciano la possibilità alle aziende di continuare a lavorare: bisogna però sapere come farlo, avere la capacità di muoversi in un ambiente di guerra. Ricordiamo che le misure economiche contro la Russia sono temporanee, non saranno in vigore per sempre e possono essere compatibili con una sopravvivenza di business in tempi di crisi. Sono strumenti potenti, devono essere conosciuti e gli imprenditori ci si devono confrontare: non è possibile ignorare quanto accade fuori dal proprio perimetro, la cultura di impresa deve allargarsi anche a temi extra aziendali”.  

A proposito di eventi esterni all’azienda, un fenomeno da prendere in considerazione è il rialzo dei prezzi dell’energia, anche se è iniziato prima dello scoppio della guerra in Ucraina, come ha sottolineato Francesco Ravazzolo, Professore di Econometria presso la Libera Università di Bolzano e Head of Department of Data Science presso BI Norwegian Business School. Certo, c’è da ammettere che il conflitto ha acuito una situazione già complicata: il mercato dell’energia era caratterizzato dall’offerta ridotta nei mercati internazionali delle materie prime. E l’invasione dell’Ucraina – se ancora ce ne fosse bisogno dopo la pandemia da Covid-19 – ha chiarito l’esigenza di slegarsi dalla dipendenza da mercati caratterizzati da così forte instabilità. 

Che cosa dovrebbero fare dunque le imprese per reagire alla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime? Una soluzione è puntare su uno sviluppo più sostenibile e maggiormente locale, piuttosto che su un sistema di intensi scambi internazionali”, ha proposto Ravazzolo. Almeno sulla carta, la strategia è ineccepibile, ma è chiaro che nella pratica è soggetta a enormi incertezze: è noto che in Italia ci sono interi settori produttivi ormai scomparsi e ricrearli potrebbe essere non solo inefficiente, ma pure costoso. “Siamo un Paese esportatore di prodotti di alta qualità con un brand Made in Italy riconosciuto in tutto il mondo e poiché gli scambi internazionali di solito si basano su un equilibrio di import-export, potrebbe diventare difficile esportare se non si importa nulla. Le imprese dovrebbero quindi scegliere che cosa far uscire dall’Italia e diversificare il più possibile i fornitori”. 

Affrontare le difficoltà facendo rete tra PMI 

I rincari dei prezzi di materie prime ed energia mettono a rischio la tenuta di molti settori produttivi, tra cui quello della filiera della carta, in cui opera Tonino Dominici, Presidente e CEO di Box Marche, azienda marchigiana specializzata nella progettazione e realizzazione di packaging personalizzato, scatole, astucci, espositori, display. “La nostra è una piccola azienda e siamo parte dalla Supply chain nel settore della carta. Le cartiere sono realtà produttive energivore e dobbiamo sopportare gli aumenti dei prezzi: registriamo aumenti fino al 70%”, ha detto l’imprenditore.  

Per Dominici la situazione è “complessa” e lo scenario è peggiorato con l’incremento del costo della carta che, secondo il CEO di Box Marche ha “assunto dimensioni tali da erodere ogni marginalità”. Il risultato? “Ovvie difficoltà a trasferire ai nostri clienti tali rincari”. Eppure l’imprenditore non si arrende e mette in campo il suo “brutale realismo, ma instancabile ottimismo” per affrontare le nuove sfide. 

Al momento, il primo obiettivo, per l’azienda marchigiana – così come per tante altre realtà imprenditoriali – è di mantenere la continuità operativa, non fermarsi nonostante l’instabilità e le difficoltà nel fare una programmazione di lungo periodo. Fare rete tra PMI potrebbe essere una soluzione: “Siamo troppo soli; dovremmo fare rete tra piccole e medie imprese. Si potrebbero creare per esempio gruppi di acquisito per calmierare i prezzi”. D’altra parte il mestiere dell’imprenditore è uguale per tutti, indipendentemente dal settore in cui si operi: “In questo momento una cartotecnica si trova ad affrontare le stesse sfide di una torneria, di una acciaieria, ecc. Insieme affronteremmo la situazione con un’altra forza e con più conoscenza”, ha concluso Dominici. 

Se, come si suol dire, dai momenti di crisi possono nascere delle opportunità, le aziende manifatturiere devono essere pronte a coglierle: investendo sulle competenze e unendo risorse, idee, persone e conoscenze per raggiungere i propri obiettivi, attivando meccanismi virtuosi e adattando i processi produttivi. 

Dall’incontro è emerso chiaramente come gli impatti delle tensioni geopolitiche tendano ad influire sempre di più sulle dinamiche di business. Gli imprenditori, oltre che alla consapevolezza rispetto all’evoluzione degli scenari, devono sviluppare competenze che vanno oltre le dinamiche legate all’export perché quando le politiche commerciali si scontrano con un regime sanzionatorio bisogna farsi trovare preparati. 

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Cecilia Cantadore

Giornalista professionista, Cecilia Cantadore ama raccontare storie di persone e imprese. Dopo la laurea magistrale in Culture e Linguaggi per la Comunicazione all’Università degli Studi di Milano è entrata nel mondo dell’editoria B2B e della stampa tecnica e professionale lavorando per riviste specializzate. Scrive di cultura aziendale, tecnologia, business e innovazione, declinando questi macro temi per le diverse testate cartacee e online con cui collabora come freelance. Dedica il suo tempo libero alla musica, ai viaggi e alle camminate in montagna.

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