Giocare d’anticipo

La rivoluzione digitale non ha un impatto sul solo comparto produttivo, riguarda l’organizzazione interna delle imprese, che va cambiata. Il modello ford-taylorista non ha più ragione di essere applicato. L’organizzazione scientifica del lavoro è un testo scritto da Frederick Taylor nel 1911, nel pieno della seconda rivoluzione industriale. Taylor inventa la catena di montaggio, il cui principio fondante è rappresentato dalla gerarchia. Le persone in fabbrica non devono pensare né l’operaio deve interrogarsi sul senso di quel che sta facendo. Per assicurare una corretta esecuzione del lavoro i ‘controllori’ sovrintendono il lavoro nei reparti. Un modello messo in discussione pochi anni dopo, quando già negli Anni 30 Elton Mayo, che aveva riscontrato come autonomia e senso di responsabilità aumentassero la produttività, disse che il taylorismo aveva i giorni contati. Mayo aveva visto giusto ed era riuscito ad anticipare ciò che oggi è evidente a tutti: le nuove tecnologie della quarta rivoluzione industriale richiedono un coinvolgimento di pensiero da parte di tutti i lavoratori e il modello organizzativo da verticale si riconfigura orizzontalmente e tutti devono essere messi nelle condizioni di pensare. La tecnologia distribuisce le informazioni dal centro alla periferia dell’organizzazione e gli operatori devono prendere decisioni. Ma deve cambiare la prospettiva con la quale le decisioni vengono prese. È necessario passare dall’approccio del feedback (recuperare le conoscenze dal passato per risolvere problemi di oggi) al feed forward, che interroga il futuro per alimentare il presente. Il feed forward presuppone che ci si interroghi su come si sta configurando il futuro per pianificare azioni che consentano di giocare d’anticipo. L’intelligenza artificiale ha un ruolo straordinario o ed è destinata a modificare non solo i processi produttivi, ma anche l’impianto della nostra organizzazione sociale. La sfida dei processi di feed forward consiste nel portare il futuro nel presente e le donne sono più attrezzate rispetto agli uomini: anche per questo ai vertici delle organizzazioni le loro competenze sarebbero utilissime. Pensiamo alla capacità delle mamme, bravissime a intuire quando il loro bimbo non sta bene, riuscendo a giocare d’anticipo con una cura. Stiamo parlando di competenze che nel modello taylorista non venivano proprio considerate. Per questo Stefano Zamagni sottolinea come questo modello abbia umiliato la condizione femminile decretandone l’inferiorità, tant’è che ancora oggi il divario salariale si attesta oltre il 20%.
A mettere definitivamente in discussione modelli organizzativi del passato è stato Brian Robertson, che nel 2007 ha pubblicato il testo Holocracy. L’idea a fondamento del modello olocratico è che i processi nelle imprese vanno organizzati in modo che tutti, senza essere per forza stimolati, siano portati a dare il meglio. Un pensiero già teorizzato da Mayo molti anni prima. Tutto questo ci porta a dire che dobbiamo pensare a un welfare aziendale di nuovo tipo: dalla concessione di benefit per aumentare la lealtà al tentativo di rendere ‘felicitanti’ i luoghi di lavoro. Oltre a garantire il soddisfacimento dei bisogni materiali, l’impresa deve risvegliare il senso di comunità, all’interno della quale le persone fanno emergere le loro qualità. Un’impresa dove si recupera il concetto di capitale umano, si esplicita l’interesse per tutti i collaboratori e si dimostra l’interesse per lo sviluppo di ognuno. In questo scenario anche il concetto di responsabilità sociale appare superato. La responsabilità sociale è declinata in negativo: si dichiara di non inquinare, non avere comportamenti finanziariamente inappropriati, di non sfruttare le persone… La nuova frontiera sarà rappresentata dalla capacità delle aziende di trasformare l’ambiente nel quale operano e di prendersi cura in modo autentico delle persone. Responsabilità deriva peraltro da “respondeo”, che significa dare risposte. Tradotto: prendendosi cura delle persone e dell’ambiente nel quale si opera, non solo evitando comportamenti inappropriati. Se nel territorio scuola e sanità non rispondono in maniera adeguata ai bisogni delle persone, l’impresa non può rimanere indifferente. Ecco perché l’impresa civile, responsabile, deve agire secondo un processo di feed forward: giocare d’anticipo e trovare soluzioni per la comunità. In questo modo si riesce a raggiungere una convergenza tra interessi dell’impresa e interessi di coloro che nell’impresa operano, dipendenti e collaboratori. E quando questa convergenza si realizza, i risultati sono travolgenti, anche dal punto di vista finanziario. Si tratta di una sfida di civiltà, e l’Italia non può restare indietro.

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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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