Il nuovo ruolo del sindacato nelle banche tra negoziazione e partecipazione

Lo scenario attuale dell’industria finanziario-creditizia è caratterizzato da concentrazione in poche grandi aziende, riposizionamento del business sull’orientamento commerciale, approdo di nuovi aggressivi competitor, incombenza della digitalizzazione e la ridefinizione dei ruoli tradizionali. Questo ha portato a una certa crisi dell’identità tradizionale della banca come istituzione di natura economica e sociale, generatrice di fiducia. “Il fenomeno mette in discussione i tradizionali valori, le vision e le mission delle aziende, si ripercuote sul clima aziendale e sull’ingaggio, l’impegno, la lealtà, il senso di appartenenza delle persone che ci lavorano. Il sindacato nel settore è riconosciuto e resiliente ma, visto il mutato scenario, dobbiamo interrogarci su che cosa fare per far stare meglio le persone in questo ambiente, e su quale sindacato è utile oggi per i lavoratori e per la società”, è il pensiero di Andrea Paterlini, Responsabile sviluppo quadri sindacali di First Cisl (il sindacato dei bancari, assicurativi, esattoriali e dipendenti delle authority aderenti alla Cisl).

La rappresentanza sindacale nel settore è rimasta infatti quasi inalterata in termini percentuali negli ultimi anni: in media il 70% del personale è iscritto al sindacato. Il motivo? Secondo Paterlini se il clima aziendale si deteriora c’è più necessità di sindacato e più richiesta di aiuto. Di conseguenza, è cambiata anche la funzione dell’organizzazione sindacale, da ‘contrattualista’ a mediatrice sociale. Sono rimaste poche, d’altra parte, le persone che contrattano con le aziende, mentre la maggior parte delle funzioni sindacali sono dirette all’ascolto delle persone, alla relazione d’aiuto, alla consulenza professionale e alla mediazione sociale. “Si tratta di ridare importanza alla persona e al gruppo, proprio quando l’individualizzazione, la gerarchizzazione e lo svuotamento dei rapporti umani tendono a sminuirli”.

Attivare skill trasversali e linguaggio inclusivo

Le tradizionali competenze sindacali non bastano più, né per quantità né per qualità: il riferimento, per esempio, è a quelle giuridico-normative o di contrattazione di tipo generico. “Da un lato, oggi ai contrattualisti serve un livello molto più alto e una conoscenza molto più approfondita e specifica di leggi, normative e tecniche economiche perché la trattativa sindacale avviene con schiere di consulenti aziendali che formulano proposte molto complesse, e noi dobbiamo essere in grado di comprendere e di partecipare costruttivamente alla negoziazione. Da un altro lato, queste competenze di tipo tecnico-specialistico non bastano più perché non servono alla maggior parte dei sindacalisti, che non sono impegnati nelle trattative aziendali”, spiega il sindacalista.

Servono più che in passato – invece – anche skill trasversali come la negoziazione informale e competenze relazionali, come aiutare gli altri sia come persone sia nel rapporto tra loro e il proprio lavoro. Senza dimenticare la difesa della lingua italiana, perché è dal linguaggio che passano i pensieri e i concetti. “In un mondo manageriale sempre più intriso di anglicismi spesso di maniera, inutili se non fuori luogo, noi che abbiamo vissuto e stiamo riuscendo a superare la lingua ‘sindacalese’, abbiamo ben chiaro che il linguaggio deve essere inclusivo e non esclusivo, semplice e ‘di genere’, per cui dobbiamo aiutare anche le aziende in tal senso”, anticipa Paterlini.

La partecipazione di chi lavora è l’ultima delle sfide citate dal sindacalista: “Occorre per ridare centralità al lavoro come forma di espressione della propria personalità, ma anche alle aziende per superare le derive dell’autoreferenzialità dei modelli organizzativi. Il sindacato in quest’ottica è anche un utile validatore sociale e umano delle strategie aziendali, ancor più necessario nella prospettiva di un’economia volta alla sostenibilità”. E a proposito di linguaggio, la partecipazione passa anche dai nuovi modi di esprimersi per non subire le strategie aziendali: “Le banche continueranno nella storica vocazione di creare e vendere fiducia per i loro team e per i clienti o diventeranno supermercati self service gestiti e vissuti da robot?”. Il quesito è aperto.

 

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di settembre 2021 di Persone&Conoscenze.
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Elisa Marasca

Elisa Marasca

Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino. Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica. Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.

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