Il presente della Manifattura passa dal digitale

In mondo sempre più connesso e globale, le Supply chain devono trovare una nuova collocazione. Prima dell’avvento della pandemia di Covid-19, la strategia fondamentale era il 4.0: la digitalizzazione delle fabbriche e delle catene di valore era considerata il fattore che avrebbe consentito di recuperare il gap di produttività con gli altri Paesi europei. Il Piano nazionale Industria 4.0, lanciato nell’autunno 2016, aveva proprio questo obiettivo: rilanciare gli investimenti – soltanto nel primo anno sono stati spesi 11 miliardi di euro – per portare nel medio e lungo termine a un aumento della produttività sull’onda lunga dei benefici fiscali.

Poi sono arrivati Impresa 4.0 e Transizione 4.0, fino al Piano Nazionale Transizione 4.0 (lanciato il 16 novembre 2020); ma soprattutto è arrivato il Covid-19 ed è cambiata ogni cosa, compresa la percezione del ruolo ricoperto dalle tecnologie digitali nell’attività di business. “Se prima erano viste come un elemento che avrebbe aiutato a incrementare la produttività, oggi sono finalmente considerate un prerequisito: se l’impresa vuole rimanere sul mercato, non può non avere un livello sufficiente di digitalizzazione della Supply chain, delle Operation e delle attività”. A spiegarlo è stato Marco Taisch, Presidente del Competence Center Made e Professore Ordinario di Advanced and sustainable Manufacturing alla School of Management Manufacturing Group del Politecnico di Milano, nel suo intervento all’evento L’officina di Fabbrica Futuro, promosso dalla casa editrice ESTE, di cui Parole di Management è stato Media Partner,

Secondo una recente indagine, a maggio 2020 il 26% delle imprese intervistate aveva intenzione di ridurre del 50% gli investimenti in digitalizzazione per il restante periodo dell’anno. A distanza di sei mesi, queste stesse imprese non solo hanno ripristinato il precedente livello di investimenti, ma in molti casi lo hanno aumentato, avendo toccato con mano che la business continuity può essere garantita solo da un alto livello di digitalizzazione. Per il futuro, dunque, secondo Taisch occorre lavorare su quattro dimensioni: ampliare l’Industrial Smart working, ripensare le competenze, adottare nuovi modelli di business e ridisegnare le Operation.

I colletti blu diventano… ‘azzurri’

Le stesse tecnologie finora utilizzate per connettere le macchine possono essere impiegate per connettere le persone tra di loro e con le macchine. Anche in un’ottica di distanziamento sociale, l’Industrial Smart working è destinato a sostituire molte attività che oggi costringono l’operatore a bordo macchina e consentirà di gestire azione, controllo e monitoraggio in maniera più efficiente. “La tecnologia è già matura per questo”, ha assicurato Taisch.

Il tema semmai è mettere le persone nelle condizioni di aumentare il loro grado di verifica e controllo. “Adottare l’Industrial Smart working vuol dire avere colletti blu che diventano più bianchi, significa delegare in misura maggiore e rivedere alcuni aspetti organizzativi per mettere le persone nelle condizioni di prendere decisioni”. La formazione non è solo un diritto, ma anche un dovere del lavoratore. “Tenersi aggiornati è l’unico modo per mantenere produttivo il sistema organizzativo-aziendale in cui si è inseriti”.

Gli ultimi studi in materia hanno individuato più di 200 nuovi ruoli che potrebbero trovare spazio in un’organizzazione 4.0. Molti attengono alla capacità di lettura dei dati, una competenza diventata ormai trasversale, ma che va accompagnata alle skill di settore. “Le tecnologie digitali non sono cambiate, è cambiato il modo in cui noi le guardiamo”, ha continuato Taisch. E devono modificarsi di conseguenza anche i modelli di business: i prodotti del futuro non sono solo intelligenti e connessi, ma sono in grado di interfacciarsi con altri sistemi.

“Dobbiamo immaginare la costruzione di un ecosistema in cui i prodotti intelligenti e connessi diventano protagonisti di ‘sistemi di sistemi’: i consumatori chiederanno di interagire con il prodotto acquistato, che dovrà erogare servizi parte di quell’ecosistema. L’Italia da semplice produttore di beni diventerà propositore di servizi a valore aggiunto”.

Il consumatore non si limiterà più a chiedere un prodotto sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, ma presto esigerà che il bene acquistato sia anche ‘covid free’, ovvero realizzato da persone che vi hanno lavorato in condizioni di sicurezza sanitaria. Da qui la necessità di ridisegnare le Supply chain, nate snelle in un mondo stabile e ora chiamate a diventare resilienti e più corte, per garantire una maggiore vicinanza alle materie prime. Nel tempo del “remote everything”, saranno le tecnologie a segnare il passaggio dall’economia smart all’economia remotizzata.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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