Troppi smart worker, serve una nuova filosofia

Lavoro da casa da parecchio tempo. Scrivo risposte a bandi di finanziamento per la formazione e divido il mio tempo, più o meno a metà, tra aula e progettazione. Così sono abituato a gestire buona parte dell’attività da remoto. La scrittura dei progetti mi vede legato alla sedia, davanti al Pc, triste imitatore del famoso drammaturgo, a scrivere opere il cui genere letterario non è ancora stato ben classificato, ma i cui prodotti dubito finiranno mai tra i best seller di una libreria o in cima alla classifica del Premio Bancarella.

Questo è il destino di un povero scrivano che compone racconti, quasi-romanzi, a metà tra storytelling ed esercizio contabile, con sicuramente meno di 25 lettori, i quali, immagino, gradirebbero dilettarsi d’altro piuttosto che dover compulsare e valutare infiniti elenchi di azioni formative, catalogate per obiettivi, contenuti, durate, metodi, ecc. In ogni caso, il prodotto della mia aulica arte scrittoria è accompagnato, come leitmotiv o basso continuo, dal suono del trita-documenti, che svolge il suo indispensabile ruolo di ‘rigeneratore’ di spazio, perché possano essere affrontate nuove e più esaltanti avventure.

A tale mesta fortuna, tuttavia, ero convinto corrispondesse un, seppur limitato, vantaggio, ossia la maturata esperienza di gestire brillantemente il mio lavoro a distanza. Personalmente non lo sapevo, ma da sempre facevo Smart working. “Bello!”, pensavo. Ora che tutte le strutture per cui lavoro hanno introdotto questa utilissima soluzione digitale, tutto funzionerà meglio. Non verrò più convocato in presenza per inutili riunioni di briefing in cui si parla di tutto, meno di ciò che serve per elaborare un buon progetto formativo. Ragionavo su questo, nella mia ingenua lode delle soluzioni digitali. Però, le cose raramente vanno proprio come le immaginiamo, soprattutto quando non si tratta di elettroni, elementi chimici e fenomeni atmosferici, ma di esseri umani: gli eventi più imprevedibili del Pianeta (peggio dei virus!).

Il fatto di cui mi sono dovuto forzatamente accorgere è stato che tanti altri si sono messi a lavorare a distanza. Questo piccolo particolare ha mutato radicalmente il mio modo di operare. Prima eravamo, relativamente, in pochi fortunati. D’un tratto, nel mondo del lavoro a distanza si è riversato uno tsunami di persone e il cambiamento quantitativo ha determinato un cambiamento qualitativo. Il numero di riunioni di coordinamento è letteralmente schizzato alle stelle. Prima ero a casa e scrivevo le mie ‘cosine’. Quando c’erano le riunioni, le pianificavo e gestivo ordinatamente l’agenda.

Avevo il ‘tempo di attraversamento’, di cui mi lamentavo, per la ressa e la fatica del su e giù, ma in cui potevo pensare, leggere, persino oziare, volendo, se punto dall’insetto dell’indolenza. Il viaggio in treno dalla terra di nessuno fino a Milano era una sgobbata, ma anche una risorsa. Nessuno si sognava di chiamarmi alle ore 7.00, perché la rete telefonica, sotto le gallerie, è a singhiozzo e la call –si dice così, oggi– era più un esercizio zen che un’attività lavorativa. Poi ho dovuto installare un numero impressionante di applicazioni –ogni azienda ha la sua preferita– e non ho più potuto accampare scuse, proteggendomi dietro i tempi di percorrenza.

Ora devo essere sempre online. Per di più la casa si è trasformata in un open space schizofrenico in cui varie persone condividono la stessa banda e lo stesso spazio lavorativo, ma ognuna dipende da strutture diverse. Invece di riuscire a gestire i tempi in modo strutturato, il lavoro è entrato in casa con la forza di un idrante dei pompieri. Sono collegato in una call, qualcuno mi vede online e pensa: “Ma sì, chiamiamolo e facciamo il punto sul progetto”. Alla fine mi sono detto: “Qui è urgente riflettere!”. Questi strumenti digitali sono di grande aiuto, ma non possono essere gestiti senza una visione sul ‘nuovo mondo’. Stiamo cambiando e inesorabilmente.

La consapevolezza, poi, nasce dalla pratica e dal pensiero sull’esperienza. Mi sono presto reso conto che le competenze acquisite devono essere rivisitate alla luce dei fatti, riesaminate da una nuova filosofia. Però, è noto che la filosofia si leva in volo abbastanza tardi, al crepuscolo, quando la giornata è ormai finita. Quindi mi metterò in ascolto del suo canto, a volte un po’ lugubre, sperando possa guidarmi un poco dopodomani.

Mauro De Martini pubblica le sue riflessioni nella rubrica “Risonanze formative” di Persone&Conoscenze.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

Smart working, nuova normalità, home working, tecnologie digitali


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Mauro De Martini

Consulente e formatore, gestione risorse umane e comportamenti organizzativi. È inoltre autore del libro Note di formazione (Edizioni ESTE, 2021).


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