Gig economy

La via alternativa alla Gig economy

Lo spazio e il tempo sono categorie logiche, ma anche sociologiche. Mentre il primo è mutevole, il secondo, invece, è una convenzione e, dunque, non modificabile. Oggi, tutte le località sono facilmente raggiungibili con moderni e veloci mezzi di trasporto, pertanto lo spazio è diventato più piccolo; anzi si può dire che ha perso valore, come sottolineato dal sociologo Zygmund Bauman nel testo La solitudine del cittadino globale. Al contrario, la corsa per il risparmio di tempo è ancora tutta da percorrere. Il politologo Anthony Giddens, nel libro The consequences of modernity, ha definito questa mutazione della società moderna con il termine “disembedding”, cioè disaggregazione che consiste “nell’enuclearsi dei rapporti sociali dai contesti locali di interazione e il loro ristrutturarsi attraverso archi di spazio-tempo indefiniti”. 

Anche negozi e supermercati, tradizionali punti di incontro, di interazioni e relazioni sociali, hanno subito questa mutazione. Inizialmente, sono arrivate le aperture prolungate, poi la dematerializzazione dell’esperienza della spesa. Online è meglio: fa risparmiare tempo e quest’ultimo vale di più dello spazio, perché è una variabile non aggirabile. Separare l’esperienza dell’acquisto dall’ingresso fisico in negozio è ormai la normalità, ma, come spesso avviene nelle grandi trasformazioni, ci sono dei risvolti etici. 

I colossi dell’ecommerce sotto osservazione 

Il caso più celebre è quello di Amazon: non fa nulla di illegale, anzi. È divenuto ormai indispensabile per molti di noi; ha un catalogo sterminato, consegna i prodotti molto rapidamente, ma, al contempo, è oggetto di accuse molto gravi dalla stampa mondiale, come quella comparsa in un articolo del 4 maggio 2021 sul The Guardian. Il quotidiano britannico ha denunciato il fatto che l’azienda non paga le tasse in Europa, o meglio nella sede legale in Lussemburgo. Sono, in realtà, tasse non dovute: Amazon Europe, a fronte di un fatturato di 43,8 miliardi di euro, vanta addirittura un credito d’imposta, avendo chiuso l’anno fiscale con una perdita di 1,2 miliardi di euro. 

Allo stesso tempo, è sotto osservazione per il trattamento che riserva ai dipendenti: i turni sono molto gravosi e secondo le interviste rilasciate da molti ex lavoratori a diverse tivù nazionali è emersa la costante tendenza delle persone a sentirsi considerati “numeri” o “macchine”, termini molto utilizzati da chi partecipa a questi reportage. Infine, il rapporto Stand.earth e Pacific Environment 2021 sull’inquinamento causato dal trasporto delle merci, pubblicato a luglio 2021, ha accusato espressamente alcune aziende (tra cui i colossi dell’ecommerce) di aver generato un livello di contaminazione ambientale pari a quello prodotto da 1,5 milioni di appartamenti, in un solo anno. 

Insomma, nessuna comodità della modernità è neutra. Anche i supermercati che vendono online incarnano in qualche modo un modello etico che può essere criticato: ci sono regole precise nella scelta dei fornitori, c’è una forte competizione. Per esempio, a conclusione dell’indagine conoscitiva sul settore della Grande distribuzione organizzata (Gdo), svolta nel 2013 e reperibile sul sito dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), che l’ha commissionata, l’Antitrust ha espresso preoccupazioni per l’aumento del potere di mercato della Gdo e l’elevata conflittualità nei rapporti tra questa e i fornitori di prodotti alimentari, mettendo in evidenza una situazione che tende a ridurre il grado di concorrenza tra le catene del settore distributivo e, al contempo, l’efficienza delle negoziazioni, con potenziali effetti negativi, sui consumatori finali e sui fornitori dei prodotti. Infine, il fattore tempo non è particolarmente favorevole ai consumatori (gli slot di consegna prevedono un preavviso piuttosto prolungato e occorre comunque una certa organizzazione). Questi limiti sono sotto gli occhi di tutti. I servizi che puntano sulla velocità di consegna hanno una limitata possibilità di scelta, quelli che promettono la qualità richiedono molta pazienza.  

Modelli per superare la Gig economy 

Nelle nostre città, c’è chi si è accorto di questo gap da colmare. Da qualche tempo, tra Milano, Roma, Torino e Genova è comparsa Gorillas. In gergo è definita come “unicorno”, cioè una startup con una valutazione di mercato superiore al miliardo di euro. Nata nel 2020 a Berlino, grazie all’intuizione del 32enne Kağan Sümer, ha lo scopo di trasferire le caratteristiche delle ben note piattaforme di food delivery nella spesa alimentare a domicilio. L’idea del suo fondatore è legata alla sua passione per la bici, dunque lo sguardo è spostato sulla sostenibilità: i fattorini sono dotati di mezzi elettrici per muoversi, per consegnare la merce velocemente, senza, però, nuocere all’ambiente. 

La differenza con le altre piattaforme della Gig economy non riguarda solo la sostenibilità ambientale: i rider sono assunti con regolari contratti da dipendente. Attualmente sono un centinaio e questo segna una conquista importantissima per un settore in cui il tema dello sfruttamento delle persone è al centro dell’attenzione, persino della Comunità europea: il 9 dicembre scorso la Commissione ha presentato una “proposta di direttiva volta a migliorare le condizioni di lavoro delle persone che lavorano attraverso piattaforme di lavoro digitali”. Sempre meno ‘economia dei lavoretti’, dunque, sempre più, invece, un lavoro vero e proprio: è questo il futuro del ‘fattorino’, che, si spera, anche grazie a questi nuovi esempi che stanno fiorendo nelle nostre città, sarà coperto da tutele contrattuali crescenti.  

Inoltre i fornitori utilizzati da Gorillas sono per lo più realtà locali: una Supply chain breve, quasi a chilometro zero, che permette flessibilità negli approvvigionamenti e dona visibilità a quelle piccole aziende che non hanno possibilità di arrivare autonomamente alla grande distribuzione. Oltre ad assumere i propri biker, l’azienda ha creato un indotto: sono nati piccoli dark store di quartiere, cioè magazzini che fungono da punto di raccolta delle merci. Questi, associati all’azienda, impiegano a loro volta personale fisso in loco. 

Ci sono circa 1.000 prodotti a catalogo e la consegna ha un costo fisso di 1,80 euro: l’App sembra essere adatta soprattutto ai giovani lavoratori, single, attenti alla salute e all’ambiente, propensi a consumare cibo di qualità, piuttosto che alle famiglie numerose, le quali pianificano gli acquisti per lo più in base alle offerte e alle grosse quantità. Questo fa sì che Gorillas si collochi esattamente in quell’angolo grigio che, finora, non è stato coperto né dal food delivery né dai supermercati che consegnano online. Inoltre, per le piccole realtà del territorio sono, di fatto, un nuovo canale di distribuzione e un veicolo pubblicitario.  

Il mercato delle consegne a domicilio è in continua ascesa 

Il successo di questa novità, molto probabilmente, è un portato della pandemia. Con il primo lockdown, infatti, le consegne a domicilio si sono rivelate indispensabili. Anche le persone più anziane si sono attrezzate e hanno imparato un modo nuovo di fare la spesa e di ordinare la cena. Difficile pensare a un passo indietro in tal senso e i numeri parlano chiaro. Secondo le statistiche più diffuse sull’ecommerce (Nielsen, Statista) nel 2020 c’è stato un aumento del 55% degli acquisti online nel settore del Food &Grocery, con un fatturato pari a 2,5 miliardi di euro. Il segmento più rappresentato – pari all’87% dell’intero comparto – è la vendita dei generi alimentari al dettaglio. A seguire il Food Delivery, che ha chiusoil 2021 con un fatturato di 706 milioni di euro, circa il 19% in più del 2020. Ultima in classifica è la vendita di prodotti di nicchia, l’enogastronomia. 

I numeri sono confermati dall’Osservatorio nazionale sul mercato di cibo online di Just Eat, la più grande catena di distribuzione del cibo a domicilio presente in Italia (e che di recente ha assunto i propri rider con un contratto di lavoro subordinato). L’azienda ha condotto un’indagine su un campione di 30 città italiane che conferma come il Digital food delivery ha coperto, nel 2020, il 25% dell’intero settore delle vendite a domicilio, con una forte crescita rispetto agli anni precedenti. Anche nel 2021 gli italiani non sono stati da meno: i numeri si sono mantenuti pressoché in linea con il 2020. Intendiamoci: ci eravamo accorti della comodità del food delivery anche prima della pandemia, ma nei mesi di lockdown, questa forma di acquisto si è fatta particolarmente apprezzare per la comodità e il risparmio di tempo, strizzando un occhio anche all’ambiente.  

Una nuova vita per il negozio della porta accanto 

Un’altra grande ‘riscoperta’ della pandemia sono stati i piccoli esercizi di vicinato, che sono venuti in soccorso dei cittadini quando, nei supermercati, c’erano code chilometriche e scarsi rifornimenti, di cui abbiamo ancora ben impresse le immagini nella memoria. Anche il tema del ‘mangiar sano’ si è diffuso, in ottica di prevenzione e benessere. Però, non sempre l’esercizio di vicinato ha il servizio di consegna a domicilio; anzi, spesso ha orari di apertura ridotti. 

Ecco che Gorillas va a colmare proprio questo gap, in un anno, tra l’altro, che ha visto un’ulteriore crescita della spesa alimentare pro capite, come certificato dall’Istat. Insomma, lo scopo è quello di sopperire alle mancanze dell’una e dell’altra modalità di consumo, riducendo i rispettivi ‘contro’ e trasformandoli in ‘pro’: in 10 minuti, una spesa fresca, di qualità e al prezzo del negozio, che proviene dal territorio, portata con bici elettrica, da un rider regolarmente assunto, che genera un indotto. Una sintesi efficace della Supply chain ideale del food delivery. 

L’azienda, inoltre, investe sui propri dipendenti, dal momento che li assume a tempo indeterminato, dopo un iter formativo che può arrivare a nove mesi. Tale ‘garanzia’ fa sì che, a differenza dei rider cui siamo abituati, questi possano trovare condizioni di lavoro piacevoli, non solo dal punto di vista contrattuale, ma anche per quanto riguarda il benessere aziendale. L’organizzazione, infatti, valorizza anche le competenze trasversali dei propri dipendenti: per esempio, nella biker crew di Berlino si è scoperto che c’erano diversi artisti e DJ: sono stati organizzati con regolarità DJ set interni, che sono poi stati inviati in streaming nei vari darkstore. Questa è una caratteristica certamente atipica per la Gig economy, che si basa, invece, sul qui e ora, anche nei rapporti di lavoro. Che il modello Gorillas sia la svolta? Difficile dirlo, ma, intanto, gli investitori paiono crederlo.   

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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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