Parità di genere

Le donne (non) parlano di soldi

Si dice che la parità di genere presupponga un cambiamento ‘culturale’. Affinché un nuovo paradigma si affermi occorre diffondere sapere, conoscenza, informazioni, in due ambiti fondamentali e imprescindibili: quello dell’educazione finanziaria e quello dell’educazione sessuale/affettiva.

In Italia siamo parecchio indietro su entrambi i fronti. Il 37% delle donne non ha un conto corrente bancario a proprio nome. Ma l’aspetto ancora più allarmante è che questa percentuale non si riferisce al gruppo di donne che non lavora. Anche quando occupate – specie in alcune parti d’Italia – le donne versano lo stipendio sul conto del marito o di un altro familiare. E questo non ha necessariamente a che fare con la prevaricazione maschile sulla donna.

Si tratta di un retaggio ‘culturale’, appunto. Quello che vuole gli uomini a occuparsi delle finanze familiari e la donna del lavoro di cura. Angelo del focolare che non si è mai dedicata alla scelta di un’assicurazione, che non ha mai dialogato con una banca, che non capisce nulla di borsa perché tradizionalmente questi sono ambiti declinati al maschile.

In passato le donne che lavoravano erano molte meno e non avevano da pensare a come spendere o investire il proprio stipendio. Oggi, però, che la situazione occupazionale femminile è cambiata, anche se non ancora abbastanza (ricordiamo che secondo i dati più recenti, il tasso di occupazione femminile in Italia è del 55,7%), sarebbe fondamentale che anche le donne arrivassero a possedere gli strumenti per comprendere le dinamiche finanziarie per poter gestire con autonomia e consapevolezza le proprie finanze, prima ancora di quelle familiari. Prima ancora di farlo in funzione di quelle familiari.

Perché i soldi, insieme alla conoscenza, rendono libere. Libere da forme di dipendenza economica che spesso si trasforma in ricatto affettivo. Libere di scegliere per sé. Libere di scappare da una relazione che magari diventa abusante.

Tuttavia, spesso, al di là di contesti in cui il controllo finanziario della partner sottende a un più ampio scenario di violenza di genere, sono le donne stesse ad autoescludersi dalla gestione finanziaria proprio perché è stato insegnato loro che “le donne non parlano di soldi”, anche a suon di pericolosissimi e paternalistici “ci penso io (a te)”. Che sia detto da un padre o da un partner, non fa grande differenza.

Parlare di soldi è volgare e non si addice a una signora. Il denaro si collega a sfere di significato come quella dell’ambizione che, da sempre, è associata allo slancio, all’iniziativa e all’intraprendenza maschile, che si oppone alla stasi dell’essere donne. Che stanno ferme, magari a casa.

Per smuovere una situazione tanto radicata nella tradizione, servono interventi legislativi sì, ma anche iniziative che supportino una nuova cultura egualitaria che gioverebbe alla società tutta: “Migliorare l’alfabetizzazione finanziaria femminile non è solo una questione di equità di genere, ma anche una necessità economica per la stabilità e lo sviluppo dell’Europa”. Lo ha detto solo pochi giorni fa la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde. Le crediamo sulla parola, anche se a parlar di soldi non è un uomo.

Sul fronte dell’educazione sessuale le cose non vanno molto meglio: sebbene l’Oms raccomandi che già dalle elementari i bambini “imparino il concetto di sesso accettabile, volontario, paritario, adeguato all’età e al contesto, caratterizzato dal rispetto di sé”, oggi in Italia le attività educative sono disomogenee e lasciate alla buona volontà di presidi e Regioni.

L’educazione sessuale non è materia obbligatoria, in Italia, così come in altri Paesi europei che certamente non primeggiano per progressismo: Ungheria, Bulgaria, Cipro, Romania, Lituania e Polonia. Gli altri 20 stati membri dell’Ue hanno già una legislazione in merito, alcuni da parecchi decenni.

Un adolescente italiano su cinque non è in grado di riconoscere gli abusi nelle relazioni. La maggior parte di loro non distingue con chiarezza il confine tra forme d’amore e forme di violenza. Ce lo dice la Survey Teen promossa da Fondazione Libellula nel settembre 2024. Dalle risposte degli adolescenti sembra che molti di loro abbiamo purtroppo già interiorizzato quella cultura e quel modo di pensare che porta il 40% degli uomini italiani a dire che “è colpa delle donne se vengono violentate”.

Da questi dati appare urgente promuovere iniziative che supportino l’educazione al rispetto per l’altro – soprattutto se questo altro è una donna – e che scardinino i retaggi di un pensiero patriarcale che, ce lo dicono i dati, non risparmia di insinuarsi tra le frange di popolazione più giovane.

In questo senso, appurato che la politica arranca, tanto possono fare le aziende e i direttori del personale con iniziative rivolte alla propria popolazione aziendale, giovane e meno giovane, femminile e maschile. Occupando spazi lasciati vuoti da troppo tempo e che certamente rappresentano opportunità di crescita per la società e per l’azienda stessa e la sua comunità.

HR, parità di genere, de&i


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Martina Galbiati

Martina Galbiati è Responsabile Marketing della casa editrice ESTE

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