L’incremento di natalità passa dalla parità di genere sul lavoro

Nell’anno in cui le aziende sono entrate nelle case dei lavoratori conoscendone il privato e con la pandemia che ha rimesso il focus sulla genitorialità – messa a dura prova come tutte le attività di caregiving – gli Stati Generali sulla Natalità 2021 non hanno potuto ignorare lo scenario che stiamo vivendo. E per questo hanno ribadito l’attenzione sulla denatalità che sta colpendo il Paese, riconoscendone i pericoli e proponendo soluzioni che rimettano al centro la libertà di poter scegliere di avere o non avere figli a prescindere dalla situazione economica.

Lo stesso Presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha aperto i lavori dell’incontro, ha definito l’Italia senza figli “un Paese che cessa di esistere”; inoltre il Premier ha ribadito come anche le aziende debbano considerare i genitori come una concreta risorsa. E per sostenere la genitorialità, Draghi ha annunciato che l’Assegno Unico (250 euro a figlio) è disponibile per i disoccupati e i lavoratori autonomi (che non percepiscono assegni familiari) dal 2021, per poi essere esteso nel 2022 a tutti gli altri lavoratori.

La denatalità, quindi, non è più solo un problema privato o morale, ma anche – e soprattutto – economico, sociale e aziendale. Anche nel Governo è chiaro che una società con pochi bambini ha un impatto su ogni aspetto della vita, compreso la produttività. A fare la differenza potrebbe essere l’assicurazione della libertà di scelta, supportata, per esempio, dalla revisione completa del sistema dei congedi che agevolerebbe l’assunzione in particolare delle donne: quello di maternità dovrebbe durare sei mesi (fino allo svezzamento) e quello di paternità dovrebbe diventare obbligatorio per la stessa durata di quello destinato alle madri.

Più figli per donna, ma arginare i sensi di colpa

D’altra parte i dati sulla natalità sono drammatici da tempo e destinati a peggiorare. Se nel 2020 sono nati 404mila bambini, nel 2021 probabilmente il numero sarà rivisto al ribasso. Il quadro ipotetico sul futuro a oggi è quindi per l’Istat, che fornisce i dati sul trend, il più pessimistico degli ultimi anni. Con le criticità che deriveranno: continuando su questa linea, tra 10 anni le persone con almeno 90 anni supereranno il milione (e sarà un problema per la sanità); la popolazione di 65 anni e più sarà di 60 ogni 100 cittadini (il mercato del lavoro e le pensioni ne risentiranno); la spopolazione (con lo svuotamento di diverse aree, riduzione dei consumi e tutto ciò che ne consegue) sarà una realtà in molte zone italiane.

Per il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo la soluzione è aumentare il numero di figli: se oggi per ogni donna nascono 1,27 figli, nel 2031 dovremmo arrivare a 1,87. Un incremento non certo semplice, anche a fronte di altri dati che ne minano il successo (per esempio, nel 2020 i matrimoni si sono dimezzati). La soluzione? Dall’Istat chiedono aiuti da parte dello Stato per le imprese, così da sostenere quegli imprenditori illuminati e lungimiranti che vogliono creare le condizioni per sostenere lo sviluppo delle famiglie.

La conciliazione tra vita privata e lavoro, tuttavia, non può ricadere solo sulle spalle delle sole donne. E su questo fonte, tra i tanti interventi ospitati agli Stati Generali sulla Natalità 2021, abbiamo scelto quello dell’Amministratore Delegato di Open Fiber Elisabetta Riva, che ha sottolineato di nuovo il “lusso” del fare figli senza un supporto familiare e aziendale, raccontando la sua esperienza: “Sono stata sostenuta da una famiglia e da un’organizzazione che mi hanno reso possibile a livello pratico la scelta. Perché noi donne non abbiamo sulle spalle solo il lavoro, ma anche la cura familiare”.

Secondo Riva, la questione è importante: la conciliazione della vita privata con quella professionale si può fare, ma mettendo in conto anche la gestione dei sensi di colpa. “Bisogna portare esempi concreti. Fondamentale è che ci siano sempre più donne che mostrino alle nuove generazioni che la conciliazione è fattibile, che è un obiettivo e che non pregiudica né l’uno né l’altro aspetto. Un ambito su cui puntare? L’innovazione, per avere una vita più organizzata e sostenibile”.

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Sara Polotti

Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.

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