L’intelligenza curiosa

Dovremmo coltivare la curiosità. Occuparci di qualcosa che apparentemente non ci riguarda sta diventando fondamentale per creare connessioni di pensiero che non siano banali, per trovare risposte là dove non pensavamo fosse possibile trovarne. Per dare chiavi di lettura meno scontate, per attrezzarci ad affrontare la complessità. Ci sono sfere che erroneamente pensiamo debbano essere appannaggio di studiosi e tecnocrati; ci poniamo quindi passivamente nella condizione di accettare soluzioni che qualcun altro ha pensato per noi.

L’evoluzione dell’intelligenza artificiale è un esempio, Max Tegmark l’ha definita la conversazione più importante del nostro tempo. L’intelligenza artificiale può migliorare molti aspetti della nostra vita, pensiamo ai robot impiegati in microchirurgia, in diagnostica, in manifattura o ai trasporti e ai mercati finanziari. Il problema è che se le permettiamo di controllare aspetti del nostro mondo reale dobbiamo essere certi che le sue azioni siano limitate a quel che noi desideriamo. Sapremo disegnare dei confini? Come fare per dare obiettivi controllabili all’intelligenza artificiale nel momento in cui questa diviene più intelligente di noi? Come scrive Tegmark nel suo Vita 3.0, se cediamo il controllo a macchine che non condividono i nostri fini è probabile ottenere quel che non vogliamo… Il vero rischio di un’intelligenza artificiale super intelligente è la competenza, sarà bravissima a realizzare i suoi fini, che dovranno essere allineati e al servizio di valori etici condivisi e a vantaggio del maggior numero di persone possibili e non di uno Stato o di un’unica organizzazione.

Se è vero che abbiamo la responsabilità di scrivere il nostro futuro, potremo farlo solo da attori consapevoli e informati e non da utenti di piattaforme dove qualcuno ha già deciso per noi a quali contenuti accedere. Purtroppo stiamo assistendo a una pericolosissima semplificazione applicata ad ogni ambito, da una irragionevole guerra ai vaccini in cui i genitori autocertificano quel che vogliono a una gestione strumentale dell’immigrazione in cui fa breccia il sempreverde ‘aiutiamoli a casa loro’ alle norme sul lavoro, a vantaggio non si capisce di chi, non certo di chi lavora e nemmeno di chi il lavoro lo cerca faticosamente di garantire.

Non esistono soluzioni semplici per problemi complessi e questo spiega perché abbiamo il dovere di studiare, informarci e partecipare con consapevolezza alle conversazioni del nostro tempo. Sviluppare una sana attitudine alla curiosità, anche attraverso il desiderio di vedere posti nuovi e conoscere persone lontane dalla nostra cultura, può essere un ottimo inizio. A patto di non accostarci a persone più grandi di noi – e Andrea Caterini in Vita di un romanzo ci mette in guardia – magari più sagge o più colte nel tentativo di raggiungere con un balzo ciò che ancora non abbiamo vissuto. Un impaziente desiderio conoscitivo, come lo definisce l’autore, che rischia di lasciare un vuoto se non si accompagna a una ricerca autentica.

Un esempio di sana predisposizione alla curiosità me lo ha dato mio figlio Giovanni. Invitato da un caro amico, grande conoscitore dei balcani, a fare un viaggio a Medjugorje, decide di partire. La fede, nel suo caso, non poteva essere la molla che gli ha fatto preparare i bagagli. “Sono curioso di capire cosa succede in un posto così, e poi Federico parla serbo, con lui vivrò esperienze fuori dal comune”. Ecco un bell’insegnamento. Solo se ci mettiamo nella predisposizione di conoscere luoghi, realtà, popoli, autori lontani da noi avremo più strumenti per capire cosa accade nel nostro mondo. In un’epoca in cui competenza e verità sono svalutate, come ha detto la virologa Ilaria Capua – troppo competente per noi, tant’è che ora prosegue la sua carriera in Florida – dobbiamo recuperare il desiderio della ricerca. Altrimenti nel terreno di gioco della vita finiremo per trovarci, senza nemmeno rendercene conto, saldamente ancorati alla panchina. Le donne sono abituate a essere ‘tagliate fuori’, ora sappiamo che anche a Tokyo vengono falsificati i test di accesso alla facoltà di medicina per lasciare spazio ai maschi. Speriamo che un algoritmo di intelligenza artificiale programmato per effettuare selezioni basate sul merito prenda presto il posto degli uomini per stabilire le graduatorie degli studenti. Dell’intelligenza di alcuni umani potremmo tranquillamente fare a meno. Buone vacanze.

Andrea Caterini, curiosità, Ilaria Capua, Intelligenza artificiale, Max Tegmark, Vita 3.0, Vita di un romanzo


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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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