Trasformazione Digitale

Lo sviluppo digitale come ultima chance per l’Italia

In un periodo di cambiamenti tecnologici e politici, la trasformazione digitale della società assume un valore strategico. Non solo l’integrazione delle tecnologie nel settore privato e nella Pubblica amministrazione (Pa) è fondamentale per essere competitivi a livello internazionale, ma pure per abilitare la transizione ecologica e promuovere un modello di cittadinanza attiva. A questo proposito, il Decennio digitale dell’Unione europea ha fissato degli obiettivi da raggiungere entro il 2030 basati su: competenze, infrastrutture sicure e sostenibili, digitalizzazione delle imprese e dei servizi pubblici.

L’ecosistema italiano è, però, in ritardo rispetto agli altri Paesi europei; proprio per questo, delineare strategie per potenziarlo diventa un obiettivo per assicurare una crescita sostenibile dell’Italia. È quanto emerge dallo studio dal titolo Next Generation DigItaly: come promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale per accelerare l’innovazione e la crescita del Paese, elaborato da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Microsoft Italia e presentato nel consueto appuntamento di fine estate al Forum di Cernobbio, seguito dai media in particolare per la presenza dei politici, impegnati nella campagna elettorale in vista delle elezioni del 25 settembre 2022.

La ricerca della società di consulenza strategica e della multinazionale di informatica, in particolare, ha evidenziato tre passaggi chiave su cui è necessario lavorare: accrescere il capitale umano digitale; dotare il Paese di una politica industriale in questo ambito; avanzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Investire nelle competenze delle persone

Il capitale umano digitale è una delle questioni critiche del nostro Paese. È noto, e già ampiamente discusso, che la carenza di competenze digitali è uno dei principali freni alla digitalizzazione e rischia di essere un vero e proprio freno alla competitività del Paese: sono circa 2,1 milioni i lavoratori a cui sviluppare skill digitali di base entro il 2026 per stare al passo con le esigenze di mercato, mentre sono 20 milioni i cittadini cui l’Italia deve fornire una formazione digitale di base entro il 2030, per centrare l’obiettivo del Decennio digitale europeo di raggiungere l’80% della popolazione con skill digitali di base.

“C’è un forte mismatch tra domanda e offerta in Italia; quello che manca è un’alfabetizzazione digitale di base”, ha affermato Alec Ross, Distinguished Adjunct Professor Bologna Business School, Board Partner Amplo, già Senior Advisor for Innovation, Us Secretary of State spiegando i dati emersi durante la conferenza al Forum di Cernobbio. Ma il problema si riscontra anche nelle conoscenze avanzate: l’Italia è ultima in Europa per numero di iscritti a corsi di laurea in materia Information Communication Technology (ICT) in rapporto alla popolazione (0,7 ogni mille abitanti, contro i 5,3 della Finlandia, leader in Europa).

Cosa fare, dunque, per sviluppare il capitale umano digitale? Secondo la proposta di The European House – Ambrosetti e Microsoft, occorre lanciare quella che è stata definita “un’Alleanza per il lavoro del futuro”. Per farlo, è necessario agire su più canali: innanzitutto, formando professionisti con competenze digitali avanzate all’interno del sistema scolastico; sostenendo l’upskilling e il reskilling della forza lavoro; usando il digitale come leva di inclusione sociale e per colmare i gap territoriali, generazionali e di genere. “Dobbiamo far evolvere questo campo per contribuire al reskilling di massa: è uno degli obiettivi ambiziosi e concreti che ci poniamo”, ha detto Silvia Candiani, CEO di Microsoft Italia.

Lavorare in maniera efficace su questi tre fronti richiede una collaborazione tra pubblico e privato, che ponga le basi per un’azione sinergica: le competenze digitali non devono essere un freno, ma un acceleratore per il Paese. “Concordo pienamente con il concetto di alleanza tra i due sistemi; bisogna fare network e interagire, perché l’unico modo per vincere la sfida attuale è di unire le forze. C’è stata una spinta da parte del Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale e speriamo di continuare così”, ha continuato la manager.

Creare una politica industriale specifica per il digitale

Da quanto emerge dallo studio illustrato nell’appuntamento sulle rive del Lago di Como, l’Italia deve dotarsi di una politica industriale specifica per il digitale. Attualmente, il comparto ICT italiano risulta sottodimensionato rispetto ai competitor europei, soprattutto nel dimensionamento medio delle aziende: l’Italia è in nona posizione in Europa (aspetto disabilitante per crescere sui mercati internazionali e per creare valore e occupazione). Secondo lo stesso report, se le aziende ICT italiane avessero un fatturato medio pari a quello delle imprese tedesche, si genererebbero 249 miliardi di euro di Prodotto interno lordo (Pil) in più, pari al 14% del Pil del 2021. “La distinzione tra industria digitale e non digitale sta perdendo di significato. Ogni azienda, settore e Paese si sta digitalizzando; se non lo fa, il destino è il fallimento, indipendentemente dal fatto che si vendano software o produzioni agricole”, è la tesi di Ross.

Ma non è solo l’industria del digitale a essere debole: anche l’integrazione delle tecnologie negli altri comparti è uno degli ambiti di miglioramento del Paese, specialmente tra le aziende di piccole dimensioni, in cui il 44% mostra una totale assenza di utilizzo di tecnologie. Questo è in contrasto con il fatto che, come evidenzia la survey illustrata al Forum di Cernobbio, il principale impatto del digitale è quello di favorire innovazione di prodotto o di processo (73%) e ricerca e sviluppo (67%).

Dunque, una politica industriale del digitale in Italia deve necessariamente guardare alle Piccole e medie imprese (PMI), che sono quelle maggiormente in ritardo su questo fronte, stimolandone l’integrazione all’interno dei propri processi, affiancando agli strumenti di policy già presenti (come la Transizione 4.0 per beni strumentali) con nuovi incentivi strutturali, accessibili e di medio periodo per lo sviluppo di canali digitali (ecommerce, customer care), lo sviluppo della formazione di competenze e l’adozione di strumenti per la crescita della produttività e la collaboration.

“Il fatto che l’Italia non abbiamo mai sviluppato una politica del digitale è visibile. L’ecosistema italiano è sottodimensionato rispetto ai competitor europei. La grande frammentazione del settore ICT non facilita la promozione dell’Open innovation e lo sviluppo di grandi progetti”, ha spiegato il manager. Infatti, un’altra direttrice su cui sviluppare la politica industriale per il digitale è proprio quella dell’innovazione: qui serve stimolare gli investimenti corporate e rafforzare il ruolo dei Technology transfer officer (uffici responsabili del trasferimento tecnologico e di altri aspetti della commercializzazione della ricerca che si svolge in un’università), centri di ricerca, incubatori, per rendere più efficace la funzione di unione tra ecosistema dell’innovazione e sistema economico-finanziario. “Non è difficile avere una politica industriale in Italia; se ci sono riusciti gli altri Paesi, sicuramente si può fare anche qui”, dice Ross.

Utilizzare le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza

Un grande aiuto nelle direzioni indicate è rappresentato dagli incentivi del Pnrr per lo sviluppo di infrastrutture digitali moderne e competitive. L’85% delle aziende sondate ha, infatti, fiducia che il piano possa accelerare la trasformazione del Paese: le imprese si aspettano un impatto trasformativo che porti a più banda, meno carta e più competenze (che vuol dire maggiore connettività, dematerializzazione dei processi e skill tecnologiche).

La ricerca ha evidenziato alcuni elementi migliorativi per assicurare un’implementazione efficace del Pnrr: dettagliare e condividere con i differenti stakeholder obiettivi relativi agli interventi presenti nel Piano Italia Digitale 2026 (iniziative all’interno del Pnrr relative alla digitalizzazione della Pa e alla realizzazione della banda larga); ampliarlo all’ecosistema produttivo, prevedendo meccanismi di co-investimento specifici per le PMI; coinvolgere il sistema privato, le associazioni di categoria e i cittadini; semplificare le procedure per l’accesso ai fondi, prevedendo misure ispirate a criteri di certezza e immediatezza per la loro erogazione. “Serve avere continuità nelle politiche, perché se esse cambiano continuamente, le imprese faticano a orientarsi. Quindi occorre avere la possibilità e il tempo adeguato per comunicare le linee guida”, chiarisce la CEO di Microsoft Italia.

Quello che differenzia un Paese che cresce è la presenza un ecosistema digitale ricco composto da aziende diverse e innovative. Come specifica Candiani: “Le organizzazioni si devono poggiare su qualcosa di esistente che funziona per accelerare. Grazie agli investimenti e alle azioni del Pnrr possiamo colmare il gap con le altre nazioni e sfruttare le leve che la tecnologia offre a imprese e Pa per modernizzarsi e affrontare le nuove sfide globali”.

Microsoft, Pnrr, Next Generation DigItaly, Decennio digitale, The European House – Ambrosetti


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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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