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Management e organizzazione nel Servizio sanitario italiano

Da giorni il Servizio sanitario italiano è al centro dell’attenzione. L’emergenza sanitaria legata al coronavirus ha riportato in auge la sanità pubblica e lo straordinario potenziale in grado di mettere in campo da oltre 40 anni.

Tempo fa sulla rivista Sviluppo&Organizzazione, Gianfranco Rebora ha proposto una riflessione sulle dinamiche organizzative avvenute all’interno del Servizio sanitario, considerando gli enti e le aziende del sistema che manifestano una complessità senza pari. Lo spunto è stata la recensione del libro Il ruolo del management nel Servizio Sanitario. Una storia in tre atti, edito da Egea nel 2018 e scritto da Angelo Tanese.

Tanese, ha scritto Rebora, è la persona più adatta per avviare questa riflessione, perché la sua esperienza di manager, che ha assunto nel tempo importanti responsabilità nel settore (attualmente è Direttore Generale della Asl Roma 1), si unisce a un background di studioso, ricercatore e docente attivo nel campo delle scienze sociali, impegnato tra l’altro nell’attraversare la frontiera tra sociologia dell’organizzazione ed economia aziendale, applicandosi proprio nel campo della sanità.

“Tre atti” dell’aziendalizzazione in sanità

Tanese analizza nel dettaglio la cosiddetta “aziendalizzazione” della sanità, distinguendo tre fasi molto diverse, i “tre atti” richiamati dal titolo del volume.

Il primo atto si apre formalmente con il D.lgs 502/1992, uno dei quattro decreti delegati della Legge 421/1992, promossa dal Governo Amato in piena emergenza finanziaria e crisi politica; sostanzialmente si apre con la sua effettiva applicazione nel 1995. Sono state così istituite le Aziende sanitarie locali, le Asl, come accorpamento delle precedenti Usl, e le aziende ospedaliere; il Direttore Generale, come organo monocratico legale rappresentante dell’azienda, impersona la nuova funzione manageriale quale “garanzia di un utilizzo più efficiente delle risorse per il perseguimento delle finalità istituzionali di un servizio pubblico”.

In una logica di efficienza, si passa dalle circa 670 Usl preesistenti a circa 300 aziende, di cui 228 Asl e 81 aziende ospedaliere, più un numero ridotto di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs).

I nuovi Direttori Generali si trovano come ‘gettati’ sul campo e chiamati a interpretare un nuovo ruolo. Un’esperienza esaltante e irripetibile è l’era dei manager, che “assumono un ruolo di protagonisti sulla scena locale e all’interno del Sistema sanitario, con un mandato esplicito a organizzare, gestire, razionalizzare quel sistema organizzativo e aziendale delle Usl ereditato dalla Legge 833/1978 e giunto al capolinea”.

Si tratta però di “un sistema non ancora pronto ad accettare la sfida della managerialità” e di una svolta nata dall’emergenza e quindi “subita e mal digerita dal sistema politico-istituzionale”. Pesa su questa fase, in particolare, la sottovalutazione del fabbisogno di management a livello regionale, dato il ruolo attribuito alle Regioni nel nuovo assetto improntato al decentramento delle responsabilità verso le autonomie territoriali.

Si arriva così al secondo decennio di aziendalizzazione (2006-2015), gli anni difficili che vedono il divaricarsi delle condizioni delle diverse realtà regionali e locali e l’emergere di ritardi nella governance di sistema; il risultato è che nel 2007 ben nove regioni sono soggette all’obbligo di definire e attuare un piano di rientro dal deficit, in alcuni casi anche con un commissariamento del governo della sanità regionale.

È in questa fase che il Ministero dell’Economia diventa un attore importante del governo del sistema sanitario, imponendo l’imperativo del risanamento economico come priorità del sistema. Questa è stata una fase di disillusione rispetto al ruolo stesso del management come fattore di uno sviluppo evolutivo positivo nel settore, e si è assistito anche alla messa in discussione del “modello aziendale”; gli stessi Direttori Generali conoscono un periodo difficile, in cui vedono compressi da una serie di vincoli autonomia e spazio strategico riconosciuti per la propria funzione.

Tuttavia, guardando le cose retrospettivamente, Angelo Tanese constata che in questo “secondo atto” un effettivo risanamento economico è stato realizzato e il sistema sanitario ha retto alla contrazione di risorse e alla “cura dimagrante” imposta per decreto, un risultato che non si poteva dare per scontato.

L’aziendalizzazione, per tanti versi incompleta e contrastata, ha tuttavia compiuto un percorso, ha veicolato nella prassi in molti modi quei concetti di efficienza, economicità, qualità del servizio che all’inizio sembravano idee astratte; ha visto svilupparsi strumenti e pratiche gestionali, spesso accompagnati da studi e ricerche che hanno fatto salire i livelli di conoscenza e consapevolezza dello stato dei sistemi.

Intorno al 2015 inizia però a delinearsi un “terzo atto”, il terzo ciclo dell’aziendalizzazione, con nuovi assetti dei sistemi e nuove prospettive anche per il management. Insieme al risanamento, si è aperta una fase di ‘effervescenza’ dei sistemi regionali, che si sono differenziati rispondendo meglio alle realtà locali; complessivamente, negli ultimi 15 anni la riduzione di posti letto negli ospedali pubblici ha superato il 20%; la degenza media dei ricoveri si è dimezzata; il controllo di budget degli erogatori pubblici e privati è diventato molto più puntuale; misure plurime di razionalizzazione si sono diffuse.

Il terzo atto prevede nuove sfide, che riguardano tutto il sistema ma anche la figura del Direttore Generale; questi non può più contare sulla centralità della Asl e deve concepirsi come attore che fa parte di una rete più estesa, in un modello di governance su scala regionale; il Direttore Generale deve essere considerato una risorsa del sistema, di un sistema che ha bisogno di management a livello locale, che “sia in grado di guidare e realizzare processi di cambiamento organizzativo in contesti complessi”.

Le quattro sfide per il management della sanità

Le sfide per il management sanitario nei sistemi locali sono molteplici e richiedono una ripresa e maggiore focalizzazione della riflessione. Qui Tanese individua quattro aspetti specifici.

Il “management delle fusioni”, che risponde ai processi che molte regioni hanno avviato di ulteriore concentrazione e accorpamento delle strutture; qui emerge la necessità di un profilo molto meno orientato alla razionalizzazione e alla dimensione operativa della gestione, e molto più in grado di guidare processi di cambiamento organizzativo e culturale.

Il “middle management”, con attenzione quindi ai processi di delega e allargamento del ruolo manageriale anche ad altre figure apicali dell’organigramma aziendale, con il coinvolgimento in particolare dei ruoli di direzione nell’ambito delle professioni sanitarie e sociali;

Il “management del cambiamento”, con riferimento alle esigenze di gestire quella corrente di trasformazione continua che caratterizza i servizi sanitari, in aspetti come l’introduzione di nuove tecnologie, la modifica della rete di offerta, l’integrazione dei percorsi assistenziali, il miglioramento dell’accessibilità e della qualità delle cure, il superamento delle diverse forme di inerzia e delle barriere che separano funzioni e specialismi;

Il “management di sistema”, nel senso di ricerca di risposte a quella capacità di governo al livello del sistema regionale della sanità che è mancata in passato, ed è poi faticosamente cresciuta soprattutto in alcune realtà, e che è più affine alle logiche e agli strumenti della governance di grandi gruppi aziendali che non alla tradizionale funzione amministrativa e di mero indirizzo programmatorio svolta dalle Regioni.

È importante che vengano scritti libri come questo, che offrono una visione ‘longitudinale’ degli eventi che riguardano importanti realtà organizzative, combinando la conoscenza che deriva dall’osservazione diretta dei fatti con il portato di studi e ricerche; Tanese aggiunge a questo anche la passione con cui ha svolto e sta svolgendo il suo impegno pratico e intellettuale di dirigente e studioso del sistema sanitario.

Si coglie il legittimo orgoglio di chi, trovandosi coinvolto in prima persona e in diversi ruoli, ha visto evolvere e cambiare una realtà la cui complessità affascina, e che configura un’innovazione sociale di grande rilievo.

Riconoscere il ruolo del management per l’evoluzione del sistema

Nella parte conclusiva, l’autore osserva come il dibattito politico e culturale sul Servizio sanitario sia stato sempre in ritardo rispetto all’evoluzione della realtà; il filo complesso degli eventi, quale si è dipanato nel tempo, tende a sfuggire ai più e questo produce scelte non sempre all’altezza dei problemi; in particolare, la competenza manageriale, non generica ma rispondente alle problematiche critiche così lucidamente individuate nel libro, rappresenta una risorsa fondamentale per politiche lungimiranti del welfare e quindi un fabbisogno che è necessario riconoscere e soddisfare, non riducibile a una ‘medicina’ da assumere nelle fasi di emergenza.

Guardando al futuro e agli interventi che si richiedono al livello delle politiche nazionali e regionali, molti sono gli interrogativi che restano aperti. Un aspetto che rimane un po’ tra le righe, in un libro che già comporta per sua natura un enorme sforzo di sintesi, riguarda la progressione nel tempo degli adempimenti burocratico-formali che gravano sulla gestione degli enti pubblici e della sanità in particolare.

Le norme sugli appalti e sui contratti, quelle sulla sicurezza e sulla privacy, i piani triennali per la prevenzione della corruzione e la trasparenza, il contenzioso amministrativo e quello legato alle prestazioni sanitarie hanno fortemente incrementato le responsabilità formali e i conseguenti rischi per i dirigenti delle organizzazioni sanitarie ai vari livelli; questo mentre gli accorpamenti e le fusioni di strutture hanno aumentato in contemporanea l’entità dei processi da governare, in un clima spesso di sfiducia che coinvolge le diverse categorie professionali che non si sentono pienamente riconosciute nel rispettivo merito e impegno.

Quelle stesse riorganizzazioni che aprono prospettive affascinanti per i manager del cambiamento sono state spesso pensate e giustificate nell’ottica di risparmi sul numero di posizioni dirigenziali e sulle rispettive remunerazioni, quasi all’antitesi dell’idea di investire nel management come risorsa di innovazione. C’è in questo il rischio di una regressione proprio nel senso di un management che si chiude, ritorna a comportamenti che privilegiano la conformità per tutelarsi dai rischi inerenti alle diverse forme di responsabilità, una sorta di ‘burocrazia difensiva’, parallela alla ‘medicina difensiva’.

Potremmo essere quindi di fronte a un bivio tra due diversi possibili percorsi del futuro sistema dei servizi sanitari: una prospettiva evolutiva, che lo pone all’altezza delle organizzazioni più avanzate nel mondo; e una regressiva, di involuzione burocratica. Il comportamento del management può rivelarsi determinante in un senso o nell’altro.

Come Tanese stesso documenta, le riforme dei decenni precedenti sono state accompagnate anche da un impulso di ricerche e studi, che nel campo del management sanitario si sono sviluppati a ritmo intenso e hanno sostenuto e a volte ispirato l’azione degli innovatori in questo campo.

Il suo libro dovrebbe stimolare anche la scienza dell’organizzazione a rinnovare la propria attenzione per un settore di così grande modernità e potenzialità di traino per l’intera società.

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Gianfranco Rebora

Gianfranco Rebora è Direttore di Sviluppo&Organizzazione, la rivista edita dalla casa editrice ESTE e dedicata all'organizzazione aziendale. Rebora è Professore Emerito di Organizzazione e gestione delle risorse umane dell’Università Carlo Cattaneo – Liuc di Castellanza.

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