Misurare il grado di adattabilità: l’attenzione si rivolge alle competenze soft

Cambiamento, adattamento e flessibilità sono le costanti che caratterizzeranno il futuro. Ecco perché, nello scenario attuale di ricerca e selezione del personale, essere preparati e avere gli strumenti necessari per scegliere il candidato più adeguato può fare ancor più la differenza rispetto al passato. E in una situazione di pandemia che vede allargarsi le fila di chi esce dal mondo del lavoro (nel 2020 si sono persi 444mila posizioni lavorative), i recruiter devono aumentare l’attenzione dedicata agli aspetti psicologici e soft dei candidati.

Soprattutto in questo periodo, la Direzione HR deve focalizzarsi su benessere, gestione dello stress e della solitudine: sono temi che l’isolamento sociale trascina con sé e che devono essere in primis riconosciuti e, poi, trattati opportunamente (in particolare da parte di manager delle Risorse Umane). È quindi aumentato l’interesse verso le soft skill perché esse si traducono nel sapersi adattare ai vari contesti in cui ci si trova a vivere e lavorare.

A spiegarlo è Marco Favilla, Psicologo del lavoro e Co-Founder di Unveil Consulting, società di consulenza in ambito Risorse Umane, secondo cui “non è tanto importante quello che sai fare, ma quello che sei”. Ecco quindi che aspetti come la fiducia diventano cruciali, perché bisogna darla e guadagnarsela, sapendo che il lavoro degli altri dipende, oggi ancor più, dal nostro. “In un mondo delocalizzato e digitalizzato la fiducia è l’elemento più importante”, dice Favilla. La questione, allora, è come trovare le persone ‘giuste’. Anche se sarebbe meglio parlare di profili più “adatti”.

Alla ricerca della capacità di adattarsi al contesto

Ci sono, infatti, persone che si adattano meglio al cambiamento: un cambio di ruolo, una situazione di difficoltà o anche un cambio di paradigma (per esempio il passaggio allo Smart working); mentre altre sono più resistenti alle trasformazioni. Per questo motivo strumenti come questionari, test, attività che possano valutare se l’attitudine di un candidato corrisponde all’ambiente organizzativo di riferimento diventano fondamentali. In particolare in questo momento storico.

Per esempio, va in questa direzione Jemma, uno strumento sviluppato da Unveil Consulting, insieme con le due società di ricerca e selezione Ricercamy e Oktopous, proprio per aiutare le aziende nella scelta del candidato più coerente con il loro modus operandi: nello specifico, si tratta di una survey che, attraverso l’indice chiamato “Adaptability Index” fornisce un punteggio, calcolato grazie a un sofisticato algoritmo proprietario, da 0 a 100 che misura il grado di adattabilità di un singolo profilo rispetto al contesto aziendale di riferimento. Per ogni candidato sono anche visibili informazioni come la prevalenza di adattabilità in situazioni di teamwork oppure a livello individuale o organizzativo.

Anche le organizzazioni ottengono importanti indicazioni su alti parametri, come il clima di supporto a favore dei dipendenti; il grado di comunicazione; l’autonomia dei lavoratori. “Facendo il confronto tra l’aspettativa, il desiderio di un candidato e l’ambiente aziendale, si può prevedere il grado di adattabilità in quella azienda”, spiega Favilla.

Il cambiamento è un’occasione di crescita

Definire il termine “adattabilità” è tuttavia una questione non di poco conto. Per esempio, le aziende cercano un candidato con una buona dose di apertura mentale e che sappia fronteggiare un contesto che muta sia per esigenze interne sia per eventi disruptive: elasticità, integrarsi in nuovi contesti, saper reagire alle situazioni organizzative e agli imprevisti sono esempi di ciò che le aziende attualmente cercano. “Queste competenze sottintendono la necessità di avere qualcuno che non sia ostile al cambiamento”, continua Favilla. Del resto, è noto che nelle organizzazioni ci sono persone poco inclini alle nuove opportunità e che ignorano come il cambiamento possa generare occasioni di crescita.

E a proposito di crescita, questo vale anche per la Direzione del Personale, chiamata sempre più a interfacciarsi con strumenti tecnologici in grado di agevolare i processi. Per tante aziende, le tecnologie HR sono ormai irrinunciabili, anche alla luce delle potenzialità che offrono. Nel caso della valutazione legata alla sfera psicologica, si rileva un rinnovato interesse, perché al passo con i tempi in quanto consente alle Risorse Umane di avere ulteriori leve per scegliere le persone su cui investire, anche in una prospettiva di lungo termine. Lo stesso strumento di Unveil Consulting, come spiega Favilla, è nato “dal bisogno diretto del cliente e dalle necessità di aziende che fanno recruiting”.

Dunque, più che stimolare la diffusione della tecnologia nell’HR – ormai sdoganata – la vera sfida è come formare i dipendenti che devono utilizzare il digitale: non si tratta tanto di formare le persone a usare i nuovi strumenti, quanto di spiegarne il senso profondo. Compreso il motivo (e il potenziale) dei software, allora l’implementazione e l’utilizzo diffuso diventa una naturale conseguenza. Anche perché la tecnologia è chiamata a risolvere problemi, ma non può (ancora) competere con la creatività umana. “Finora non c’è nessuna minaccia che i robot possano svolgere le attività delle Risorse Umane o degli psicologi. Questo vantaggio, dunque, deve essere compreso, spiegato e utilizzato sapientemente”, conclude Favilla

HR, recruiting, Unveil Consulting, adaptability index, Marco Favilla


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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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