Oltre la Dad e l’aula: una nuova didattica per rilanciare scuola e Paese

A dicembre 2020 il fallimento della didattica a distanza (Dad) causata dalla pandemia era già stato dichiarato dal Censis. Nella prima settimana di ripresa dopo le feste natalizie, gli studenti delle scuole superiori hanno manifestato in tutta Italia per lo stesso motivo. E addirittura la Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha ammesso: “A marzo 2020 sono stata io a volere la didattica a distanza che però è uno strumento che va bene per qualche settimana o per qualche mese”. Ora però, ha detto la stessa Ministra, “è evidente che la Dad non può più funzionare” e per questo si è detta “molto preoccupata”.

Ma che cosa non ha funzionato? L’abbiamo chiesto a Patrizio Bianchi, Professore Ordinario di Economia Applicata e titolare della Cattedra Unesco in Educazione, crescita ed eguaglianza all’Università di Ferrara, ma soprattutto membro del Comitato degli esperti presso il ministero dell’Istruzione (Bianchi è stato inoltre Assessore alla Scuola, Università, Ricerca, Formazione e Lavoro della Regione Emilia-Romagna fino agli inizi del 2020).

Ospite della puntata del programma podcast ‘Tra le righe’, Bianchi ricorda, innanzitutto, che quando è scoppiata la pandemia l’Italia era il Paese europeo con le più basse competenze digitali, e che la digitalizzazione di massa è stata vissuta come un dramma perché imposta, ma almeno – è la sua tesi – è stata un’accelerazione su cui costruire qualcosa. “La Dad è stata una mera trasposizione online di quello che succedeva in aula e questo non poteva funzionare perché il sistema era già in crisi prima”, dice Bianchi. Tuttavia, al contrario di quanto ammesso da Azzolina, per l’esperto la Dad non è stato un fallimento totale, ma in futuro dovremo imparare a usare strumenti di insegnamento a distanza in maniera integrata alla presenza. E questo vale soprattutto per gli insegnanti.

Che fare, però, in questo momento così difficile per la scuola? L’attenzione deve essere rivolta agli studenti, che altro non sono che persone che si stanno formando e che quindi devono essere seguiti. “L’ideale sarebbe ricominciare a piccoli gruppi e con tutoraggio, come nel sistema statunitense. Lo stile americano ha molte ombre, ma punta su materie ormai imprescindibili come il Computer coding e su tutor che seguono i ragazzi. Le classi di 30 persone ferme dentro a un’aula con un solo professore che ha la responsabilità di tutti sono da superare”.

Nel suo libro Nello specchio della scuola – Quale sviluppo per l’Italia (Il Mulino, 2020), infatti, Bianchi afferma che ripensare il sistema scolastico sia la via per cambiare il Paese. La didattica che consiglia lega prima i bambini e poi i ragazzi a un gruppo di persone della comunità. Sarebbe una scuola più legata al territorio, un perno della comunità. “L’idea della classe con un’organizzazione quasi fordista, e non per team, è ormai obsoleta”. In Italia, per esempio, ci sono sperimentazioni a riguardo che usano la didattica e la comunicazione a distanza. L’auspicio di Bianchi è che ora si investa nella scuola. Sperando che non sia troppo tardi.

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