Lunga vita all’ufficio

Svuotato dalla pandemia e messo a dura prova dal distanziamento sociale, l’ufficio così come lo conosciamo non è affatto morto. Anzi, si prepara a essere più dinamico che mai nell’era post Covid-19. L’abilità di lavorare da remoto, acquisita in questi mesi da milioni di persone in tutto il mondo, consentirà a molti di vivere e lavorare in modi e spazi nuovi, è vero, ma senza porre fine alla lunga storia dei luoghi di lavoro.

Anche prima dell’avvento del Coronavirus, si era avuto qualche primo segnale di cambiamento. Nel 2018, la migrazione di net company verso New York, Los Angeles e San Francisco era negativa, nonostante l’economia statunitense crescesse a ritmi pari al 2,9%. E città calamita per i giovani talenti, come Londra e Parigi, stavano vivendo un declino simile.

La spiegazione accettata allora da tutti – l’alto costo degli immobili e i limiti alla costruzione di nuovi edifici in quelle città – ha oscurato altre variabili che stavano già destabilizzando il tradizionale mercato degli uffici. Attorno alla metà del primo decennio del Nuovo Millennio, società come Amazon, Google, Apple e tante altre stavano già frazionando il proprio quartier generale in una molteplicità di sedi differenti. Stripe, una delle startup di maggior valore, era già un passo avanti e nel 2019 ha attivato un hub remoto, sperando di intercettare gli ingegneri di talento, stimati nel 99,74%, che vivono fuori dalle aree metropolitane delle quattro sedi fisiche della società concentrate a San Francisco, Seattle, Dublino e Singapore.

Per le società che crescono a ritmi veloci, essere in grado di intercettare talenti ovunque è diventato più importante che avere a disposizione tutti i team di lavoro in un unico luogo. Ed è cambiato il modo di cercare nuovi talenti: ciò che conta nella nuova classe di creativi non è tanto dove vivono, ma se hanno la capacità di vivere e lavorare ovunque.

Lo spazio di lavoro come leva di attrazione

Nel frattempo, anche i talenti hanno cominciato a guardare con nuovi occhi l’ufficio. Nel 2019, Leesman, società che misura l’esperienza dei dipendenti, ha analizzato il modo in cui il luogo di lavoro influenza produttività, orgoglio e pure il divertimento dei lavoratori. Dall’indagine condotta su 719mila intervistati in 4.771 aziende di tutto il mondo, è emerso come per il 40% dei dipendenti il proprio workplace non consenta di lavorare in modo produttivo.

Poi è arrivata la pandemia e con essa molti hanno rivalutato le proprie preferenze. Numerose survey, condotte già ai tempi del lockdown della primavera 2020, hanno rivelato che la maggior parte delle persone è felice di continuare a lavorare a distanza. I dati, però, dicono ancora poco su quel che avverrà in futuro: chi all’inizio aveva apprezzato l’Home working potrebbe scoraggiarsi di fronte a tempi sempre più lunghi e coloro che durante il lockdown hanno dovuto gestire figli e coinquilini potrebbero salutare con più gioia la disponibilità di spazi nuovi.

L’ufficio, in definitiva, potrebbe diventare sempre più simile a un prodotto di consumo. Come tale, chiamato ad adeguarsi alle necessità di chi lo utilizza con spazi dedicati ad attività specifiche: lavoro individuale, brainstorming con il team, presentazioni ai clienti, formazione dei dipendenti. Il cambiamento sarà graduale, ma decisivo e ogni ufficio dovrà essere sempre più focalizzato sull’individuo e sui suoi bisogni.

Fonte: The New York Times

Smart working, Covid, ufficio, workplace


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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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