
Orientare la formazione al mercato del lavoro
Nel 2025 abbiamo assistito a fatti e cambiamenti rilevanti, dove le grandi questioni economiche e sociali nelle quali siamo immersi, con non poche preoccupazioni, sono diventate ancora più complesse e la ricostruzione di un eccellente sistema di istruzione tecnica – in tutte le sue articolazioni – è diventato ancora più urgente e vitale per le sorti dell’Italia e le prospettive per i nostri giovani.
Verrebbe invece da osservare che le priorità che guidano anche le recenti riforme in atto siano solo quelle di spendere più soldi possibili del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), anziché chiedersi se gli interventi riformatori siano le giuste terapie formative di cui avrebbe bisogno il Paese. L’unico indicatore di performance da mostrare al pubblico sembrerebbe la capacità di spesa delle risorse disponibili e non la misurazione del multidimensionale valore prodotto da questi investimenti, che rischierebbero, se non indirizzati dovutamente, di essere spesa improduttiva, anziché debito buono.
Le preoccupazioni sono tutte legittime ed è la ragione per cui servirebbe stimolare un dibattito allargato. In questa situazione è poi aumentato il disorientamento complessivo e, in molti campi, si starebbe addirittura navigando a vista, nonostante l’eccessivo impegno di risorse finanziarie anche destinate all’orientamento scolastico e al lavoro, ricondotte queste ultime a delle attività da poter far erogare da un docente o tutor istruiti con sole 30 ore di formazione.
Poche certezze e i giovani scappano
Ho più volte scritto che l’orientamento scolastico e al lavoro è un complesso di attività anche molto diverse tra loro, che appartengono – o che dovrebbero appartenere – a un adeguato processo di orientamento, sicuramente uno dei processi più importanti a dover essere presente nella struttura organizzativa di tutte le istituzioni scolastiche.
Per orientare alle scelte scolastiche e del mondo del lavoro, dovremmo sapere ‘dove andare’ e ‘come andare’, conoscendo quindi molte cose e molti ambiti dell’economia e del mercato del lavoro che assolutamente non conosciamo. Così rimaniamo nelle molte incertezze, al punto che moltissimi giovani, proprio perché non si sa dove voglia andare questo Paese, per avere dei riferimenti solidi su cui costruire il loro futuro se ne vanno all’estero in grande quantità, e il numero è in continuo aumento. E ciò che è grave è che non c’è nessuna analisi approfondita di questo fenomeno.
Per i nostri giovani, l’andare all’estero è sì, inizialmente, un sacrificio, ma con la prospettiva di un investimento importante per la loro employability. Proprio perché approdano in mercati del lavoro molto più solidi del nostro, con serie prospettive di sviluppo e non soggetti a politiche di precariato. Sarebbe sufficiente fare i confronti delle politiche del lavoro con i quattro-cinque Paesi europei con i quali solitamente si confrontano gli indici delle principali prestazioni economiche. E nemmeno va sottovalutato il fatto che il fenomeno dell’emigrazione dei nostri giovani possa aumentare ancor di più nel futuro e diventare, a questo punto, una seria opzione di scelta e non solo un ricorso emergenziale in assenza di serie prospettive di futuro. Nel frattempo, siamo costretti a fare i conti con altri cambiamenti.
Un clima di incertezza
I due rapporti di strategia economica dell’Europa – prodotti nel 2024 da Enrico Letta e Mario Draghi sulla grave crisi della competitività dell’Europa rispetto agli Stati Uniti e alla Cina e sulle misure urgenti da attivare, comprese quelle sull’istruzione – avrebbero dovuto stimolare delle riflessioni e delle conseguenti azioni anche sul piano della politica industriale e quindi dell’istruzione tecnica che ne consegue.
In effetti abbiamo assistito, da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, all’assunzione di consapevolezza che il nostro Paese, dopo lunghi periodi di navigazione a vista nelle politiche industriali, avrebbe avuto bisogno di ridefinire o definire alcune nuove rotte, per sapere in quale direzione indirizzare la crescita o almeno il mantenimento della nostra competitività. Si è prodotto così il libro verde per il piano nazionale industriale, prodromico alla definizione di un piano industriale definitivo, che avrebbe dovuto essere pubblicato dopo gli Stati Generali e una consultazione pubblica in un successivo libro bianco, promesso e atteso già nel 2025, ma di cui aspettiamo ancora la pubblicazione. Ciò avvallerebbe la preoccupazione che si stia navigando, nel bel mezzo di una situazione complessa, senza una bussola; cosa che non sta avvenendo in Germania.
E allora c’è da chiedersi come si possa indirizzare e quindi orientare una politica scolastica dell’istruzione tecnica, che avrebbe bisogno di ricostruire anche la struttura quinquennale degli istituti tecnici, senza sapere quale politica economica industriale sia in grado di fare o possa fare il nostro Paese. Al più, si tenterà di mettere mano all’aggiornamento di qualche programma scolastico, ma serve invece ben altra cosa, se si volesse rendere effettivamente attrattiva ai nostri giovani l’istruzione tecnica e le professioni tecniche per il reale valore che esse producono.
L’articolo è la seconda parte della riflessione dal titolo “Riformare l’istruzione tecnica è un dovere”

Perito elettronico e laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, è Maestro del Lavoro. Le prime esperienze lavorative sono nel campo dei sistemi di controllo. Nello stesso periodo, per nove anni, è anche docente di elettronica industriale presso un importante istituto tecnico serale. Contemporaneamente inizia la sua attività presso una società di un gruppo tedesco, leader mondiale nella componentistica per l’automazione industriale nonché partner del governo della Germania per la costruzione del modello duale della formazione professionale. Successivamente diventa Direttore Generale e Amministratore Delegato di una nuova società del gruppo che si occupa di consulenza strategica e operativa nelle aziende industriali a cui appartiene una scuola di Industrial Management e una divisione per i sistemi di apprendimento. È stato pioniere delle prime iniziative di formazione applicata superiore nazionali e transnazionali. Ha intrattenuto rapporti con molti istituti tecnici e istituzioni pubbliche ed è stato promotore e attore di iniziative riguardanti l’evoluzione delle professioni tecniche. Ha terminato la sua attività professionale nella posizione di Vice President del gruppo internazionale, per il settore della Global Education, occupandosi dell’interconnessione tra economia e mercato del lavoro per la progettazione e realizzazione di sistemi TVET per governi di Paesi in via di sviluppo.
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