Quelli che l’Home working: no, grazie

L’Occidente chiude tutto e prova a resistere con il lavoro da remoto. L’Asia – che sta gestendo meglio la pandemia – va controcorrente.

La seconda ondata della pandemia di Covid-19 costringe le aziende occidentali a ricorre nuovamente in maniera decisa all’organizzazione del lavoro con l’Home working. Ma c’è una parte del mondo dove questa tendenza non si sta diffondendo. L’Asia, che si è rivelata più preparata di fronte al Coronavirus e ha gestito meglio la fase iniziale della pandemia, sta vivendo un boom del mercato immobiliare non residenziale.

Forte dell’esperienza acquisita nel corso dell’epidemia della Sars nel 2003, l’Asia ha giocato d’anticipo: per esempio, mentre i Paesi occidentali erano da poco entrati in lockdown, il 7 aprile 2020 si concludeva la quarantena a Wuhan, città dalla quale è iniziata la diffusione di Covid-19. Altre nazioni asiatiche, come la Corea del Sud e Taiwan, sono riuscite a evitare la chiusura delle attività grazie alle efficace misure di prevenzione, al contact tracing e al rilevamento proattivo dei casi.

Questa strategia ha permesso di ridurre l’impatto sull’economia. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, la Cina sarà l’unica grande economia in ripresa a fine 2020. La crescita economica dei Paesi asiatici unita a quella demografica, con un numero sempre maggiore di persone che lavorano dagli uffici, alimenta la domanda sul mercato immobiliare non residenziale. Uno studio sui mercati post pandemici di immobili per ufficio pubblicato a settembre 2020 dal colosso immobiliare Cushman & Wakefield prevede che nei prossimi 10 anni la crescita dei posti di lavoro negli uffici sarà dovuta soprattutto alla Cina e ad altre principali economie asiatiche.

In Asia case più piccole con meno spazio per il lavoro

Inoltre, che l’Home working non si sia diffuso in Asia nella stessa misura in cui si è diffuso in Occidente si spiega non solo con i minori danni prodotti dall’epidemia, ma anche con il diverso background culturale. Negli appartamenti piccoli (le case a Hong Kong sono tra le più care al mondo) e spesso abitati da più generazioni della stessa famiglia, lavorare da casa può essere assai complicato per mancanza di privacy.

Secondo una ricerca sull’Home working in Asia pubblicata a luglio 2020 da Jones Lang LaSalle, società americana di servizi immobiliari commerciali, i Millennial asiatici, che nel resto del mondo sono la categoria la più favorevole al lavoro da remoto, hanno sofferto l’impossibilità di andare in ufficio più delle altre fasce d’età. Quello che soprattutto è mancato loro è stata l’interazione con i colleghi e l’accesso alle comodità dell’ufficio.

Mentre in Occidente i proprietari degli immobili e gli investitori nell’immobiliare non residenziale sono preoccupati dalle ripercussioni del Home working sul settore, in Asia la fonte di angoscia è ben diversa. Si teme l’eccesso di offerta che sta causando il calo dei prezzi di affitto. Ma ci sono già segnali che le aziende, soprattutto nel settore tecnologico – dicono gli esperti – ne stanno approfittando per affittare più spazi per gli uffici.

Fonte: South China Morning Post

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Anna Lesnevskaya

Giornalista professionista dal 2015, da sette anni collabora con varie testate sui temi legati alla Russia e all’Europa dell’Est. Dal 2013 scrive sulle tematiche ebraiche per i canali di comunicazione della Comunità ebraica di Milano. Nel 2016 ha avuto una parentesi giornalistica in Francia come stagista presso il settimanale La Vie del gruppo Le Monde e nel 2015 ha fatto parte del team dell’ufficio stampa del Media Centre di Expo Milano. Nel 2014 ha scritto anche per Lettera43.it. È stata allieva della Scuola di giornalismo Walter Tobagi dell’Università Statale di Milano (biennio 2012-14). Prima di trasferirsi in Italia, si è laureata in Lingua italiana e Letterature Europee presso l'Università Statale di Mosca M.V. Lomonosov nel 2011.

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