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Se il cashback conta più della salute

C’è qualcosa che non va se alla Sanità sono assegnati 9 miliardi di euro e ad altre ‘missioni’, come la Parità di genere, coesione sociale e territoriale, ne vanno quasi il doppio (17,1 miliardi). Dietro la bozza dello stanziamento italiano dei fondi del piano Next Generation Ue si nasconde una grande contraddizione del nostro Paese. Per mesi abbiamo invocato soldi per un settore che per anni ha subito le conseguenze di scelte scriteriate e che, nonostante tutto, ha retto – con gravi sacrifici – l’onda d’urto della pandemia; quando poi si è iniziato a parlare in concreto di rinforzare la Sanità, però, ecco che dei 25 miliardi di euro richiesti dal Ministro competente, Roberto Speranza, ne potrebbero restare appena 9.

Qualcuno sostiene che ci siano sempre i 36 miliardi del Mes sanitario (la risoluzione approvata dal Parlamento sulla riforma del Mes lascia intendere che si potranno chiedere altri fondi all’Europa), ma tra pensiero e azione ci sono: task force, incontri per decidere i componenti del team, riunioni per correggere la composizione dei gruppi di lavoro e assicurare la parità di genere… Con buona pace dell’urgenza che richiederebbero gli interventi. Tutto questo in una situazione in cui l’Italia è il Paese che del Recovery Fund europeo si prende la fetta più grossa, che, a quanto pare, non basta ancora per rimettere in sesto la Sanità.

Tuttavia, le Raccomandazioni dell’Ue della primavera 2020 specificano che con i fondi di Next Generation Ue dobbiamo “attuare tutte le misure necessarie per affrontare efficacemente la pandemia”, con preciso riferimento, oltre che all’economia, anche alla Sanità. Bruxelles ci ha chiesto di “rafforzare la resilienza e la capacità del sistema sanitario per quanto riguarda gli operatori sanitari, i prodotti medici essenziali e le infrastrutture; migliorare il coordinamento tra autorità nazionali e regionali”.

Ma ciò che succede ai piani alti non deve stupire: chi ci governa è la rappresentazione fedele dell’elettorato. La mancata levata di scudi sui limitati fondi dedicati al settore più in sofferenza del momento – non per mancanza, purtroppo, di lavoro, ma di strumenti di base per curare i cittadini – è figlia di un disinteresse diffuso in tutto il Paese, rispetto a ciò che – nell’immediato – non offre un rapido tornaconto. Si prenda il caso dei download dell’App Immuni e dell’App Io, quella dedicata al cashback dei pagamenti digitali. In pochi giorni questa seconda App ha quasi raggiunto il numero di download di Immuni.

La difesa a intermittenza della privacy

L’attuale insuccesso dell’App per il monitoraggio e il contenimento della diffusione del coronavirus (disponibile dal 1 giugno 2020) nasconde l’italico sospetto secondo cui attraverso Immuni un fantomatico Grande fratello ci possa controllare; come se a qualcuno interessasse davvero conoscere tutti gli spostamenti degli utenti che – è bene ricordarlo – sono anonimi sull’App. Inoltre la stessa applicazione rispetta le linee guida sulla privacy come indicato dal Ministero della Sanità. Che poi, come evidenziano esperti della materia, trasformare i dati in informazioni non è da tutti e richiede competenze specifiche. Ma la diffidenza verso la tecnologia ha complicato la diffusione di Immuni che, infatti, a oggi non è stata neppure scaricata da 10 milioni di utenti. Perché l’App sia efficace nel contenimento della pandemia dovrebbe essere installata sul 60% degli smartphone…

Diametralmente opposto il caso dell’App Io, già nota per chi l’ha utilizzata per ottenere il bonus vacanze. Al 10 dicembre 2020 è già a quota 8,4 milioni di download. E tutto questo al netto dei recenti problemi tecnici dell’applicazione causati proprio dal picco di richieste di accesso (ma non è questa la sede per discuterne). A scatenare l’interesse è, ovviamente, la recente introduzione del cashback del 10% sul totale degli acquisti con pagamenti digitali, disponibile dall’8 dicembre 2020 (per dovere di cronaca, si precisa che l’App consente di dialogare con la Pubblica amministrazione e di effettuare vari pagamenti). Infatti, l’App Io fa parte del progetto Smart Nation promosso anche dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione. Bene, dunque, che i cittadini si mostrino interessati; peccato che l’interesse sia rivolto solo per mettersi in tasca qualcosa.

Se nel caso di Immuni ci si è preoccupati della privacy, ecco che per Io ogni discorso sulla sicurezza dei dati degli utenti è stato improvvisamente dimenticato. In entrambi i casi, precisiamo, c’è uno sviluppatore con il mandato di un Ministero e tutte e due le applicazioni utilizzano e generano dati. Se poi vogliamo entrare nello specifico, le transazioni digitali gestite dall’App Io consentirebbero di ottenere numerose informazioni sugli utenti. Eppure non ci sono critiche diffuse (com’è giusto che sia!). Che basti un cashback del 10% per rasserenare tutti e per trasformarci in cittadini modello? La Sanità può attendere.

privacy, App Io, cashback


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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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