Trasformare la crisi in opportunità

“Crisi”, con quelle due consonanti dure iniziali, è una parola forte, che evoca eventi nefasti. Eppure, viene dal greco krino, che non ha accezioni negative: significa “distinguere, discernere”. Durante questa crisi che stiamo vivendo, portata dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, abbiamo il compito di scegliere, appunto, quale valore dare a ciò che sta accadendo.

Secondo Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value (LBV), azienda che ha l’obiettivo di trasformare le esperienze di vita in capacità imprenditoriali e plasmare un mondo di lavoro in cui tutti possano realizzare il proprio potenziale, questa situazione viene da lontano, ha radici più profonde: l’epidemia è solo la punta di un iceberg. Bisogna essere coraggiosi per chiamare un master “Crisi”. E Zezza lo è.

D’altra parte, è una mamma che è stata in grado di cogliere le opportunità degli eventi che le hanno cambiato la vita e che, adesso, le permettono di cambiarla agli altri. Questa sua esperienza torna più che mai attuale ora, nella più grande crisi che la nostra generazione di lavoratori si sia mai trovata ad affrontare, in maniera del tutto inaspettata.

Eppure, avremmo potuto arrivarci più preparati: “Di stress da lavoro, da conciliazione dei tempi di lavoro e vita si parla da tanto, non da oggi. Il livello di ansia tra i lavoratori è, in generale, molto alto da tempo: l’asticella di tolleranza si è alzata progressivamente, fino a rendere il nostro modello lavorativo poco sostenibile”, spiega Zezza. “Adesso, però, c’è un trauma vero: esso si somma a un sottofondo di non perfetto benessere”. Certo, con il senno del poi sembra facile anche ciò che non lo era.

Un mercato del lavoro già problematico

Senz’altro, LBV si pone questi problemi da tempo e, dunque, l’azienda non si fa trovare impreparata dall’emergenza. “Il mercato del lavoro ha preteso di polarizzare le decisioni. Ha proseguito con selezioni del personale molto standard, tutte volte all’intenzione del controllo, negando ogni forma di fragilità. Ma questo ci ha portato all’esasperazione”, osserva l’imprenditrice.

Negare le fragilità, infatti, non significa eliminarne l’esistenza: i problemi vanno affrontati e ora che siamo obbligati a farlo e che la crisi è reale e forte, dobbiamo fare i conti con le nostre debolezze nascoste. “Lavorare da casa non dovrebbe essere così stressante, ma possibile. Dovremmo essere abituati, soprattutto noi mamme, a ricoprire più ruoli in contemporanea”, ragiona la CEO. Invece, la necessità è arrivata in un sistema impreparato, che non aveva mai messo la donna lavoratrice nelle condizioni di una reale conciliazione, di un reale Smart working: “Si tratta di aspetti che in teoria si conoscevano perfettamente, ma non si applicavano. Quindi, ci siamo trovati a vivere una multidimensionalità inattesa”.

E non parla solo per ‘sentito dire’: in LBV lavorano 35 persone. “Stiamo lavorando anche meglio di prima, perché non ci siamo mai basati sul controllo, ma sulla responsabilità del singolo. Abbiamo tutti la tendenza ad allinearci al peggio e questa va contrastata. Così come non dobbiamo trattare i nostri figli solo come oggetto di attenzioni e di imposizioni, allo stesso modo dobbiamo evitarlo con i dipendenti”. Ecco perché la maternità e la paternità sono un master: queste riflessioni educative trovano perfetta corrispondenza anche nell’ambiente di lavoro. “Il modello paternalistico viene spesso riportato sui dipendenti”, spiega Riccarda Zezza. Invece, è proprio il senso di responsabilità che fa crescere i bambini, le famiglie, le organizzazioni, i gruppi di lavoro.

Un nuovo modello di leadership

In queste settimane, LBV ha organizzato alcuni webinar che hanno visto circa 2mila accessi per ogni edizione, più di 10mila in totale, a dimostrazione che c’è davvero bisogno di dare una dimensione nuova al nostro modo di lavorare. “Ai partecipanti al webinar sulla leadership abbiamo sottoposto alcuni quesiti. Quali sono i manager, i modelli di leadership che volete? Il 73% ha risposto che devono saper offrire delle possibilità e non imporre soluzioni. Hanno detto che il potere è sapere, mentre il modello prevalente, come ben sappiamo, si basa sulla “forza”.

La collaborazione e il rispetto sono, parimenti, strade da perseguire. Alla luce di queste risposte, l’86% dei partecipanti ha affermato di sperare in una trasformazione aziendale, che esprima un senso di possibilità, di condivisione, di ascolto, assumendosi anche dei rischi”, spiega la CEO.

La crisi infatti, come dicevamo, è prima di tutto trasformazione: può contribuire a creare un modello di leadership diverso, che sappia usare meglio quegli strumenti che ci sono dati. Di per sé, anche lo Smart working è una ‘scatola vuota’, perché è solo un mezzo: va riempito di senso tramite un percorso di apprendimento, che non è compromesso né assoggettamento, ma un reale cambiamento di mentalità.

Un master per tutta la popolazione aziendale

Proprio per questo, il Master Crisi non è dedicato (solo) ai manager, ma a tutta la popolazione aziendale. Il vero successo? “Sarebbe se le aziende concedessero a tutti i dipendenti un’ora lavorativa a settimana per poter partecipare”, spiega Zezza.

Infatti, il percorso di apprendimento si compone di alcune video lezioni, cui fa seguito la tenuta di un diario individuale, che permetta al lavoratore di fare riflessioni personali, elaborando i contenuti e facendoli propri, calandoli nella realtà che si trova a vivere. Poi, ci sono stanze collettive, in cui condividere idee comuni che, altrimenti, non avrebbero un luogo per esprimersi. Paradossalmente, lo schermo potrebbe aiutare a vincere le resistenze che si hanno di persona e facilitare la condivisione. Si potrà dialogare tra colleghi e l’azienda potrà analizzare i dati in forma aggregata. Questo accompagnamento sarà ancora più fondamentale per le aziende nella fase di transizione (che, purtroppo, anche a essere ottimisti, difficilmente durerà meno di un anno): sarà utile a ripensare la crisi come opportunità.

Ma una transizione può rendere più deboli o più forti: dipende solo da come la si attraversa. Si possono aprire o chiudere opportunità, cambiare le opinioni, le aspettative, le credenze, l’idea di sé delle persone: se questi passaggi non sono guidati, l’esito non è scontato. Allora, occorre fare spazio serenamente a questa incertezza, accettare la rottura di stereotipi, poi trovare nuovi linguaggi e nuovi percorsi.

Perché se si guarda solo a cosa si perde del passato è più difficile guardare al guadagno nel presente e al futuro come occasione. In questo, le competenze trasversali sono fondamentali, ma sono anche le più difficili da fare emergere e da ‘ottimizzare’: quale occasione migliore di una crisi, perché questo avvenga? Il tempo sospeso che stiamo vivendo disincentiva anche a darsi degli obiettivi. Questa, insieme con quella della ricerca di significato, è forse la sfida più difficile a cui siamo chiamati. L’uomo è animale sociale: nonostante il distanziamento fisico, ha bisogno di condividere. L’azienda stessa è un costrutto sociale e non può prescindere da questa dimensione.

Lo sa bene il team scientifico del Master, di grande esperienza.  Oltre a Zezza, ne fanno parte Pier Giovanni Bresciani, Docente di Psicologia del Lavoro presso l’Università di Urbino; Felice Di Lernia, antropologo, esperto di pratiche di cura e Francesca Cirianni, laureata in Psicologia del Lavoro.

Attraverso le tecniche della pratica narrativa e della rottura degli stereotipi, il Master offre a tutti i dipendenti la possibilità di esplorare la transizione, dare un nome alle cose e riacquistare le parole per sentirsi parte attiva della trasformazione in corso. Essi verranno guidati a gestire e a stare con ‘ciò che c’è’, a scoprire nuove risorse e competenze in se stessi, a riconoscere le proprie dimensioni identitarie, a ricomporre il senso di sé e della propria storia, a mettere in comune con gli altri proposte e contenuti diretti all’azienda. Allora, davvero il distanziamento sarà solo fisico e non sociale. E la crisi genererà nuove opportunità, non solo perdita, assenza, smarrimento.

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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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