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White Paper sull’Intelligenza Artificiale: opportunità e limiti della “via europea”

Garantire all’Unione europea un ruolo chiave nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale e inquadrare lo sviluppo tecnologico in un framework legislativo che tuteli i cittadini. Sono questi gli obiettivi del White Paper, approvato dalla Commissione europea lo scorso 19 febbraio. La sfida è trovare un equilibrio tra limitare i rischi e colmare il gap digitale con Stati Uniti e Cina.

“Mi sembra legittimo che l’Ue cerchi di inquadrare in un sistema normativo lo sviluppo di una tecnologia che ha un impatto potenzialmente travolgente su tutta una serie di settori. Allo stesso tempo lo sforzo di combinare l’attenzione agli aspetti etici con il supporto all’innovazione e allo sviluppo non è detto che non introduca ulteriori fattori di rallentamento rispetto a quanto avviene in Paesi più spregiudicati”, afferma Matteo Palmonari, Professore associato del Dipartimento di informatica, sistemica e comunicazione dell’Università degli studi Milano Bicocca.

Il White Paper sull’intelligenza artificiale evidenzia un punto fondamentale che è quello dell’arretratezza dell’Unione europea rispetto alle piattaforme online. “Tutte le aree in cui vi sarebbe un forte avanzamento europeo, come il manifacturing o la robotica sono ambiti in cui l’intelligenza artificiale farà tanto, ma non è quella che sta veramente rivoluzionando il panorama tecnologico”, sottolinea Palmonari.

La creazione di un nuovo ordinamento giuridico all’interno del quale inquadrare lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale pone un altro problema: chi sarà in grado di valutare l’applicabilità di questo recinto normativo? Per andare a verificare che i dati su cui sono stati allenati gli algoritmi occorrono competenze trasversali e multidisciplinari che una singola persona non è in grado di colmare.

“Serviranno quindi dei team che coprano tutti questi aspetti. Mettere insieme un gruppo di esperti che abbiano le conoscenze necessarie richiede tempo e soprattutto investimenti sulla formazione, non basterà fare le leggi”, prosegue il professore.

Intelligenza Artificiale ad alto rischio e a basso rischio

Nel White Paper è stata introdotta anche una distinzione tra Intelligenza Artificiale “ad alto rischio”, che dovrà essere “trasparente, tracciabile e garantire il controllo umano” in settori sensibili come salute, polizia e trasporti, e Intelligenza Artificiale “a basso rischio” per la quale si prevedono regole più flessibili.

“Un’azienda che realizza playlist musicali può essere lasciata libera di innovare senza eccessivi vincoli, mentre per aziende che fanno attività più sensibili, come decidere se erogare un prestito o meno, è giusto che esistano vincoli in grado di garantire il rispetto dei valori comunitari”, spiega Palmonari.

Nel documento viene valutata anche la possibilità di introdurre sistemi di certificazione per garantire applicazioni affidabili della Intelligenza Artificiale. “Questo obbligherebbe le aziende a giustificare l’uso della tecnologia e potrebbe anche essere un’occasione di business per il mercato europeo”, aggiunge il professore.

Per favorire la libera concorrenza e rafforzare la posizione del vecchio continente, la Commissione Ue propone di creare un mercato unico europeo dei dati non personali per imprese, governi e amministrazioni, con norme eque e chiare.

Secondo Palmonari sarebbe un percorso lungo e in salita: “In alcuni sotto-settori può funzionare, ma è molto difficile. Il problema non è solo avere dei dati e passarli a un’altra azienda, quanto essere in grado di metterli assieme in modo efficace e poco costoso. Tendenzialmente questi processi hanno delle incertezze”.

Il gap nell’accesso ai dati e nella formazione

Il vero nodo è riuscire a garantire alle imprese parità di accesso ai dati. “Non metto in dubbio che Facebook o Google siano pronti a mettere a disposizione dei singoli utenti la possibilità di scaricare i propri dati. Un conto però è dare la possibilità agli individui di accedere ai propri dati, altra cosa è consentire alle aziende di avere la stessa quantità di dati che sono a disposizione di questi giganti”, dice il docente d’informatica dell’Università Bicocca.

Malgrado i grandi player siano in forte vantaggio, a livello locale, esistono aziende che stanno reggendo la competizione in virtù della specificità di alcuni mercati. Lo sforzo dell’Ue nel supportare il riuso e la compravendita dei dati tra aziende potrebbe garantire loro qualche strumento in più. Tuttavia non è possibile contenere lo strapotere dei big dell’hi-tech, se non si interviene sull’elusione fiscale.

Il potere finanziario di cui godono, ricorda il professore, consente ai grandi player di investire in formazione e ricerca. “Facebook e Google hanno laboratori di ricerca di base con un’attrattività superiore a quella delle accademie. Questo dipende sia dalla potenza di calcolo che hanno a disposizione che dalla potenza salariale”.

Secondo Palmonari la strategia messa in campo dalla Comunità europea per favorire le competenze digitali può essere migliorata, anche in termini di ambizione. In Europa, infatti, gli atenei puntano ad attrarre le aziende per cofinanziare l’innovazione tecnologica. In America e in Cina, invece, sono soprattutto le aziende ad attingere capitale umano dalle università.

“Negli atenei si fa ricerca avanzata e le aziende poi fanno a gara per assumere i migliori. Questa è la maniera più lineare per inondare il mondo del lavoro delle competenze necessarie. Noi invece rischiamo di obbligare chi deve creare le competenze a inseguire le aziende. In questo modo le università finiscono per rimanere indietro sui problemi da trattare e perdono quelle risorse che ci dovrebbero portare a competere sulle conoscenze”. Per mettere in campo la “terza via europea”, auspicata nel White Paper, è indispensabile colmare questo gap.

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