Addio a Trupia, filosofo del linguaggio e autore di ESTE

È mancato Piero Trupia, linguista, cognitivista e filosofo del linguaggio. Dirigente Industriale fino al 1996, Trupia aveva alle spalle studi di Matematica, Economia e Scienza della Politica. È stato uno degli autori della rivista Persone&Conoscenze, rivista sulla quale ha curato fino alla fine del 2018 la rubrica ‘L’essere delle cose’ e con la quale continuava a collaborare inviando articoli e proposte. Trupia era appassionato di di arte figurativa, che studiava e collezionava: sull’argomento aveva pubblicato varie opere.

La casa editrice ESTE si unisce al cordoglio per la sua scomparsa. Per ricordare Trupia, Parole di Management ripropone la sua ultima rubrica pubblicata sul numero 133 di Dicembre 2018 dal titolo “Potere al popolo”, quanto mai attuale in questa fase di crisi che stiamo vivendo.

Potere al popolo, di Piero Trupia

È il proclama dei politici a caccia di voti. Nell’età della Grecia Arcaica il tiranno, che poteva essere anche un buon governante, aveva le mani libere. La democrazia ateniese del V secolo, quella di Clistene e della Boulé per intenderci, funzionò con un elettorato che era una minoranza di aventi diritto di voto: i cittadini (uomini di età superiore ai 20 anni nati ad Atene).

Schiavi, meteci (una sorta di via di mezzo tra cittadino e servo) e donne non partecipavano. Il benestante Aristotele opinò che gli schiavi fossero tali perché nati difettosi di ragione: solo quel tanto che basta per comprendere gli ordini del padrone. Nessuno ne chiese l’espulsione dall’ordine dei filosofi.

Roma con il diritto amministrativo e con la cittadinanza integrò i popoli sottomessi. Nel Medioevo il governo fu anche esteso all’ecclesia, fino all’estremo di uno Stato guidato dal Pontefice, imperatore universale delle anime e, a seguire, dei corpi. I monarchi del tempo accettarono di buon grado l’investitura divina che creava una distanza incolmabile con il popolo che generosamente colmavano con il paternalismo.

Dante denunciò la cupidigia, paragonandola a una lupa, e la corruzione dei governanti e invocò il “veltro” (cane da caccia) come risanatore. Intanto fece quell che poteva, mettendo papi e re all’Inferno. Machiavelli razionalizzò la politica, conservando il sovrano nella figura del principe, sottomesso però alle leggi.

Oggi il populismo riprende fiato. Coltiva l’elettore, assecondandone le aspettative opportunistiche e così gli eletti si affrancano dal controllo nell’esercizio del mandato. A una critica reagiscono con un laconico “Prima fatti eleggere”. Tra le forme di rapporto tra governanti e popolo ne cito due che sono come le polarità di un magnete, negativa e positiva.

La prima è il comunismo. La forma di governo comunista è stata una non genial invenzione di Marx, grande sociologo, modesto economista, pigro filosofo, disastroso politologo. Come filosofo adottò in maniera speculare il sistema hegheliano, mettendolo però sottosopra. Gli piacque la dialettica che genera progresso, rimpiazzò lo spirito con la materia, anch’essa assoluta e propellente. Non abbozzò una forma di Stato comunista, stante che l’unica classe dei proletari avrebbe installato una dittatura esercitata su se stessa, quindi benefica.

In questo bengodi fiorirono però i parassiti che i tribunali del popolo spedivano nei lager siberiani. Tra questi, il ‘Leonardo’ russo, Pavel Florenskij. Filosofo, teologo, esperto di arte, chimico, matematico, fu rinchiuso in un lager siberiano dove, traendo profitto dalle circostanze, inventò il liquid antigelo, quanto mai utile al Paese. Non bastò: lo fucilarono.

È la paranoia dei tiranni che temono, più di ogni altra cosa, il pensiero e la sua indipendenza. Hitler e Mussolini si liberarono di Einstein e Fermi. La non progettata forma di Stato comunista si configurò come Stato di polizia, in mano a una superclasse di comunisti non proletari. In uno Stato di polizia tutti sono obbligati a spiare e denunciare. Quando nessuno si fidò più di nessuno avvenne l’implosione che consume l’impero sovietico.

Passiamo ora al polo positivo di “potere al popolo”. Si è incarnato in una geniale creazione di San Benedetto da Norcia, patrono di Europa. L’abbazia benedettina, comunità di preghiera e di meditazione e impresa produttiva, modello ancora valido per l’esercizio manageriale.

L’obiettivo di Benedetto fu la rinascita dell’Italia dopo le devastazioni barbariche. Si occupavano i terreni paludosi e malarici, li si bonificava, li si coltivava. La prima abbazia nacque a Monte Cassino e il modello si diffuse in Europa e nel mondo. Benedetto scrisse una dettagliata regola e stabilì che la spiritualità aveva da essere terrestre, per trasformare il mondo. Optò per il monachesimo cenobitico, comunitario, rispetto a quello anacoretico, solitario. Preghiera, meditazione e produzione di beni e servizi. Dall’ambiente si attingeva manodopera retribuita e curata nel dispensario con i farmaci prodotti direttamente. In vecchiaia un antesignano trattamento pensionistico.

Il primo impegno fu la raccolta dei codici scampati alla distruzione barbarica. Il governo dell’abbazia fu centrato sul Capitolo, il consiglio di tutti i monaci presieduto dall’abate, da essi eletto e deposto se non all’altezza. Nel Capitolo tutti i monaci avevano… voce in capitolo. Elettive tutte le cariche: il priore, un direttore generale, il padre guardiano, addetto alla sicurezza, il cellario, addetto alla dispensa e così via. Con Benedetto nacque l’impresa e la governance per gestirla.

Piero Trupia, l'essere delle cose, storia politica

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