Aziende in cerca del loro Maradona

La scomparsa di Diego Armando Maradona va ben oltre i confini del mondo del calcio e apre una serie di riflessioni in diversi ambiti, tra cui quello lavorativo. Grandissimo campione sul prato verde, ma con numerosi problemi nella vita privata, il numero 10 argentino era un mix di genio e sregolatezza: la sua figura contraddittoria faceva sempre discutere. Difficile da contenere – chiedere ad allenatori e presidenti – il Pibe de oro voleva essere il solo a disegnare il proprio destino. Era un talento assoluto, insomma, ma che soffriva schemi e regole, propri di un’organizzazione.

Nel mondo aziendale, i Direttori del Personale spesso si interrogano (sia nella fase di recruiting sul mercato sia in quella di formazione di risorse interne) se sia il caso di puntare sul talento alla Maradona – che potrebbe rivelarsi una potenziale scheggia impazzita – o piuttosto su una persona che possa fare bene il suo lavoro, magari non al livello di un campione, ma senza far correre troppi rischi all’impresa.

Claudio Allievi, Presidente di K-Rev, piattaforma mobile di supporto al feedback continuo e al Performance management, sostiene che ci debba essere “un giusto equilibrio tra chi possiede genio e sregolatezza e chi segue le direttive organizzative”. In azienda, come nello sport, “una squadra di soli Maradona non andrebbe da nessuna parte, ma nemmeno un team senza talenti”.

Il talento senza disciplina è nullo

Servono quindi innovatori, capaci di portare pensiero critico e nuovi modi di lavorare, ma anche figure in grado di mettere a sistema quell’innovazione per il bene dell’azienda. “Ci sono momenti storici in cui certi ruoli sono più importanti”, spiega Allievi. “Oggi, per esempio, sono cadute molte certezze nell’ambito del management e l’innovazione è tra le skill più ricercate sul mercato. Si può dire che oggi servirebbero più Maradona, mentre nel mondo aziendale degli Anni 80-90 si cercava maggiore efficienza e meno creatività”.

Viene da chiedersi se le persone si possano formare a diventare dei ‘campioni’ (in azienda) oppure se debbano nascere con un talento unico. Allievi non ha dubbi a riguardo: “Lo storytelling secondo cui ‘talenti si nasce’ non funziona e spesso è una scusa per i capi e i responsabili che non riescono a valorizzare i loro collaboratori. Le neuroscienze dimostrano che, grazie alla plasticità del cervello, le persone si possono assolutamente formare nel tempo. Con l’allenamento e l’abnegazione si può arrivare a grandi risultati, sia in ambito sportivo sia in quello aziendale, ma servono ‘allenatori’ in grado di sfruttare al meglio le caratteristiche delle persone“. Questo significa anche che “il talento senza disciplina è nullo e non possiamo scindere la parte naturale da quella appresa”.

A livello generale, la ‘formula’ vincente può dunque essere quella di avere “un mix di innovatori, con caratteristiche e capacità diverse tra loro, e figure più operative in grado di declinare quell’innovazione in modo positivo per l’azienda”. Ma in questo periodo di incertezza economica e sociale amplificata dalla pandemia, per la ripartenza delle aziende “ci vorrebbero più Maradona”.

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Gabriele Perrone

Gabriele Perrone, giornalista professionista con oltre 10 anni di esperienza, è redattore della casa editrice ESTE. Nel corso della sua carriera ha lavorato per importanti gruppi editoriali, dove ha maturato competenze sia in ambito redazionale sia nelle pubbliche relazioni. Negli anni si è occupato di economia, politica internazionale, innovazione tecnologica, management e cultura d'impresa su riviste cartacee e giornali online. Ha presentato eventi e ha moderato tavole rotonde con protagonisti manager di aziende di fronte a professionisti di vari settori in location di alto livello. Tra le sue esperienze lavorative precedenti, ci sono quelle al quotidiano online Lettera43.it e in LC Publishing Group, oltre a numerose collaborazioni con testate italiane e straniere, da Pambianco all'Independent. Laureato in Lettere moderne presso l'Università degli Studi di Milano, ha conseguito un postgraduate diploma alla London School of Journalism.

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