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Coronavirus: intercettare i casi, non diffondere allarmi

Per far fronte al coronavirus, il Ministero della Salute, d’intesa con il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, ha diramato un’ordinanza che dispone la sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale ludico, sportivo e religioso, svolti in luoghi chiusi e aperti al pubblico, oltre alla chiusura delle scuole e altre misure restrittive. Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha già calcolato l’impatto del coronavirus sul Pil: 0,2%.

Il virus sta scatenando una psicosi collettiva e l’incubo pandemia dilaga. Poiché siamo italiani, tutti allenatori, tutti economisti, tutti professori e ora abbiamo anche con grande tempestività vestito i panni di virologi. Tutti sembrano aver chiare le motivazioni che inducono a quarantene forzate, ma, poiché non ci fidiamo, abbiamo interpellato chi ci può dare un parere scientifico e una lettura del fenomeno suffragata dai dati.

Abbiamo chiesto a Matteo Bassetti, virologo e Direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova e Presidente della SITA, Società Italiana di Terapie Anti-Infettive, se a suo parere queste contromisure sono sensate. E la sensazione, da quanto dice il professore, è che si stia enfatizzando il problema.

Oggi stiamo mettendo in pratica misure prese dal Governo che, in questo momento, appaiono forse troppo allarmistiche, è il pensiero di Bassetti. Pensiamo alle scuole: la categoria che questa malattia risparmia di più sono proprio i bambini. Abbiamo visto come in Cina chi ha meno di nove anni quasi non è stato colpito: i casi rasentano lo zero e se si chiudono le scuole non si limita la disseminazione del virus, già poco circolante in quell’ambiente. L’impressione che si dà alla gente è sbagliata: oggi la sensazione è di essere di fronte a un’epidemia, il che giustificherebbe misure così drastiche.

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Matteo Bassetti, virologo e Direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova

DOMANDA: E non è così?

RISPOSTA: A me sembra tutto esageratamente allarmistico. In Germania e in Francia non hanno tamponato tutti a tappeto come abbiamo fatto noi. Se lo avessero fatto, probabilmente avrebbero avuto anche loro un mini outbreak del fenomeno: è evidente che anche lì i pazienti, prima di arrivare in ospedale, hanno condotto una vita normale. Per questo la mia sensazione è che siamo di fronte a una iper-reazione.

D: Probabilmente la chiusura dei voli dalla Cina è stata una misura inutile e ora si cerca di monitorare la situazione misurando la temperatura negli aeroporti. È sensato?

R: Proprio stamattina all’aeroporto di Roma mi hanno misurato la temperatura corporea e vorrei capire a cosa serva. Si stanno spendendo quantità di denaro ingenti per misurare la temperatura corporea a tutti i passeggeri che arrivano in aeroporto e questa misura non serve a nulla: è dimostrato scientificamente che l’unica cosa che può servire è eventualmente misurare la temperatura a tappeto, non solo a chi arriva. Sono decisioni politiche e ho difficoltà a comprendere.

D: E quali sarebbero gli interventi efficaci, secondo lei?

R. L’intervento efficace è la quarantena – l’isolamento domiciliare, fiduciario o anche coatto – di tutti coloro che sono entrati in contatto con chi ha contratto il virus. Questi sì che andrebbero tutti isolati. Chiudere un Paese, una città o le scuole di una regione intera o di cinque regioni mi pare un atteggiamento più di pancia che di testa. Il problema è che nessuno si prende la responsabilità di non interrompere, per esempio, le attività didattiche. Siamo tutti infettivologi, questo il problema.

D: Siamo di fronte a una leadership irresponsabile?

R: È evidente che manca una leadership, ma non solo nazionale, manca anche una leadership locale. Oggi le Regioni hanno un potere assoluto per quanto attiene la sanità, che è una materia a totale decisione regionale, appannaggio dei governatori che possono disporre la sospensione di ogni attività.

D: Perché sta accadendo tutto questo?

R: Ci confrontiamo con un’infezione nuova, che nessuno conosce bene. Un’infezione che ha 45 giorni di vita, per cui nessuno si prende la responsabilità di rischiare. È importante, però, sottolineare che lo stesso atteggiamento non è stato tenuto nei confronti di problemi del passato. Nel 2009 il virus A/H1N1 (l’influenza suina) causò oltre 400mila decessi e quando arrivò in Italia ci furono molti morti, ma non furono prese misure contenitive di questo tipo. Allora l’influenza era nata in Messico e si è disseminata in tutto il resto del mondo con un tasso di letalità molto vicino a quello di questo coronavirus ma, in quella circostanza, lo Stato italiano non si è posto con il medesimo atteggiamento. In questo momento c’è un’attenzione mediatica spropositata.

D: Ma si può circoscrivere il fenomeno?

R: Oggi abbiamo nel mondo 80mila casi con 2.500 decessi su una popolazione mondiale di meno di 8 miliardi di abitanti (consulta la mappa del coronavirus). Se calcoliamo la mortalità globale del coronavirus, la percentuale è prossima allo zero, con molti zeri prima di arrivare all’1. Le vittime del virus dell’influenza sono molte di più. Non voglio assolutamente sottovalutare il fenomeno: ci sono pazienti in rianimazione, 16 in totale in Italia. Bisogna capire, gestire, nessun dubbio però che l’attenzione mediatica sul problema dovrebbe calare. È troppo alta in questo momento. E in queste condizioni anche i medici lavorano male se si diffonde una psicosi collettiva.

D: La ricaduta sul Pil è già stata calcolata, dello 0,2%…

R: Di tutto questo qualcuno dovrà rendere conto. Se tra tre settimane ci accorgeremo – come ci auguriamo – che i casi saranno contenuti, qualcuno potrà certamente dire che tutto questo è stato possibile grazie alle misure di contenimento. La mia sensazione è che il virus è ormai penetrato nel nostro Paese per cui, più che isolare aree intere, avrebbe più senso lavorare sull’intercettazione precoce dei casi. Ed è esattamente questo il lavoro dei medici.

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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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