L’euro come talismano e il doppio senso del dono

Il primo marzo 2002 l’Euro è diventato valuta unica scambiabile in molti stati europei, tra cui l’Italia. Era stato introdotto il primo gennaio del 1999 ufficialmente in 11 Paesi dell’Unione Europea, ma iniziò a circolare ufficialmente, come moneta unica, 18 anni fa. Nei suoi primi tre anni di vita è stato utilizzato esclusivamente per i trasferimenti elettronici e per tutte le operazioni che non richiedevano pagamenti in contanti. Poi, si è esteso a tutte le transazioni commerciali.

In quel momento ne scriveva Francesco Varanini su Sviluppo&Organizzazione, in un articolo che riproponiamo.

Su ogni oggetto cerchiamo subito la scritta che ne determina il valore. Ma poi il trascorrere del tempo rende obsoleta quella misura. E dunque una etichetta, appiccicata sopra, copre la prima indicazione, poi una nuova etichetta copre la vecchia e così via all’infinito. I prezzi si appiccicano ai beni. Anche dove è impossibile apporre materialmente il valore, sul muro di una casa o sulla carrozzeria di un’automobile, sempre immaginiamo esistente una simbolica etichetta. Ora dobbiamo abituarci a nuove etichette. Dobbiamo appiccicare sopra le etichette alle quali siamo abituati una nuova lettura del valore, in euro.

Il prezzo è sticky, “appiccicoso”. Non solo il prezzo: ritroviamo lo stesso concetto nelle nuove metriche usate per rilevare il valore degli asset intangibili. Di fronte a un asset dalla natura sfuggente: un brand, un software, un sito web, si usa l’idea di stickiness, “appiccicosità”, per parlare della capacità di mantenere “attaccato a sé” il cliente.

La stickiness è strettamente connessa alla loyalty: lealtà e fedeltà “tengono attaccate” le persone ai beni capaci di soddisfare i bisogni. Questa capacità non è, in fondo, una efficacia materiale. È innanzitutto una efficacia simbolica.

A ben pensare, ci affidiamo a un prodotto o a un servizio così come, i membri di una comunità ‘primitiva’ si affidano allo sciamano. Lévi-Strauss, lucidamente, ci mostra come lo sciamano non è sciamano perché guarisce. Guarisce perché è riconosciuto dalla comunità come tale, testimone e manifestazione dell’orientamento alla salute, alla guarigione dif­fuso nella comunità.

Come la capacità dello sciamano è frutto della fiducia che si ha in lui, come le merci ‘funzionano’ se ci fidiamo di loro, la moneta vale per il valore che le è attribuito da una comunità. “La moneta non è per nulla un fatto materiale e fisico, è essenzialmente un fatto sociale; il suo valore è quello della fiducia che in essa si ripone”, ha scritto Marcel Mauss in Les origines de la notion de monnaie.

Il valore della moneta è attribuito dalle persone

Così intesa, nessuna moneta può essere realmente imposta né il suo valore può essere deciso o progettato da tecnici o a Governi. Il suo valore è il valore attribuitole dalle ‘persone comuni’. Le persone non sono affatto inesperte di fatti economici e sanno benissimo cosa è il valore relativo dei beni. Le persone comuni sanno meglio degli esperti come in realtà funziona il “sistema delle prestazioni totali” (ancora Mauss). Sistema non solo economico, ma giuridico e politico e religioso, che funziona in base a un fitto tessuto di scambi, di prestazioni e controprestazioni. Molti scambi sono talmente importanti da un punto di vista sociale, che solo una modesta parte del loro valore può essere espressi in moneta.

Si pensi al meccanismo dello scambio di mogli tra gruppi sociali diversi mostrato da Lévi-Strauss. E si pensi al caso di Linux, un software al quale nessuno può negare un valore, ma al quale non sappiamo né possiamo attribuire un valore in moneta. Si pensi, in generale, a tutti gli scambi che si fondano sull’idea di dono e di baratto. Le persone comuni sanno benissimo donare e barattare. E sempre si torna al dono e al baratto come reale risposta alle crisi: dono e baratto portano con sé l’idea di reciprocità, che è il fondamento di ciò che può essere chiamato “valore relativo dei beni”.

La moneta viene dopo. È ancora Mauss a dirci che il suo senso profondo risiede nel suo essere “talismano”. La ricchezza del capo o del mago risiede prima di tutto “negli emblemi che incarnano i loro poteri magici, la loro autorità, in una parola, o che simboleggiano la forza del clan”. Dunque: l’euro è oggi per i cittadini europei emblema, un simbolo della nostra forza collettiva? O quando lo diventerà?

In fondo, il valore dell’euro, prima che un valore riconosciuto dalla comunità finanziaria internazionale, prima che un valore attribuito dal mercato globale, è il valore attribuito (“appiccicato sui beni”) dalla comunità costituita dai cittadini europei. Conosceremo il valore dell’euro solo quando i cittadini europei si toglieranno dalla testa la doppia etichetta.

Torniamo, per concludere, allo scambio non mediato dalla moneta. Perché gift assume un senso totalmente diverso in inglese, “dono”, e in tedesco, “veleno”? Mauss ci mostra come con questa domanda ci si avvicini al cuore del ragionamento sul “valore relativo dei beni”. Le persone comuni, nella loro profonda saggezza, sanno che stabilire il valore di prestazione e controprestazione è operazione di grande difficoltà. Ed ecco tutto questo simboleggiato nel doppio senso del gift: nello scambio, e di conseguenza nella moneta, sta sempre una opportunità e una minaccia.

La moneta è allo stesso tempo salvifica e gravida di pericoli. L’euro è come il miele secreto dalle api degli indios Bororo, così denso e dolce e appiccicoso da essere bevanda inebriante, ma anche, al contempo, se malamente usato, veleno mortale.

L’articolo è tratto da un commento di Francesco Varanini al paper di Paolo Legrenzi dal titolo Gli effetti del passaggio all’euro sul comportamento del consumatore, pubblicato sul numero 189 della rivista Sviluppo&Organizzazione. Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

Unione europea, euro, valore monetario


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Francesco Varanini

Francesco Varanini è Direttore e fondatore della rivista Persone&Conoscenze, edita dalla casa editrice ESTE. Ha lavorato per quattro anni in America Latina come antropologo. Quindi per quasi 15 anni presso una grande azienda, dove ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’area del Personale, dell’Organizzazione, dell’Information Technology e del Marketing. Successivamente è stato co-fondatore e amministratore delegato del settimanale Internazionale. Da oltre 20 anni è consulente e formatore, si occupa in particolar modo di cambiamento culturale e tecnologico. Ha insegnato per 12 anni presso il corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa e ha tenuto cicli di seminari presso l’Università di Udine. Tra i suoi libri, ricordiamo: Romanzi per i manager, Il Principe di Condé (Edizioni ESTE), Macchine per pensare.

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