FCA-PSA, una nuova possibilità di partecipazione dei lavoratori

Nell’ambito dell’accordo di fusione FCA-PSA, continua a far discutere la decisione di includere nel Consiglio d’Amministrazione due membri in rappresentanza dei lavoratori. Paroledimanagement.it ha già affrontato il tema con un’intervista a Paolo Rebaudengo, Responsabile di Relazioni Industriali quando ancora FCA si chiamava Fiat.

Ma merita di essere approfondita la questione delle relazioni industriali e della partecipazione nell’ambito di una transizione verso nuovi modelli organizzativi. Il coinvolgimento diretto dei lavoratori è al centro dell’articolo Partecipazione e innovazione per aumentare la produttività di Luigi Campagna e Luciano Pero del numero 276 di Sviluppo&Organizzazione, di cui pubblichiamo liberamente un estratto.

Benefici per organizzazione e produttività

L’innovazione organizzativa procede più speditamente e raggiunge più facilmente gli obiettivi di miglioramento delle varie performance aziendali se essa viene introdotta non con modalità top-down ma con il coinvolgimento diffuso dei lavoratori.

Dall’analisi di vari casi aziendali emerge che il coinvolgimento delle persone nei progetti di innovazione ha spesso un doppio effetto positivo: in primo luogo accelera il cambiamento del sistema organizzativo e tecnologico conducendo al successo in tempi più brevi del progetto stesso; in secondo luogo facilita anche il miglioramento delle performance di produttività, qualità, tempestività e flessibilità, che sono alla base del progetto di innovazione.

Le imprese infatti decidono di cambiare l’organizzazione non tanto per moda o per curiosità, ma perché le performance di fabbrica non sono più competitive. Il coinvolgimento dei lavoratori nell’innovazione consente al progetto di arrivare al successo e quindi di attivare una nuova organizzazione più performante.

In molti casi, l’esito del progetto convince il management del vantaggio di coinvolgere i lavoratori anche nella fase successiva di gestione. Allora la partecipazione da occasionale diventa stabile (cfr. Campagna L. et al., 2015).

Il fatto che il coinvolgimento dei lavoratori e la partecipazione diretta abbia un effetto positivo sulla produttività e sull’innovazione è sostenuto esplicitamente da molte ricerche della Fondazione Europea di Dublino (in particolare Europfound 2015, pag. 16) e da vari autori riconducibili al filone della sociologia del lavoro cosiddetto del Nord Europa.

Il coinvolgimento anche in forma debole che facilita l’innovazione

Tuttavia dagli studi di caso emerge un terzo fenomeno che riguarda la presenza di forme deboli di coinvolgimento nelle Piccole e medie imprese. La loro presenza in imprese che operano su filiere lunghe, nelle quali l’innovazione tecnologica è limitata e che competono ancora sui costi, può avere esiti positivi, anche se circoscritti.

In breve, in Italia in queste Piccole imprese, il cui modello di business sembra ancora posizionato sulla cosiddetta “via bassa”, sembra che un coinvolgimento dei lavoratori anche in forme deboli possa favorire sia l’adozione di forme organizzative più evolute, sia l’adozione di nuove tecnologie, col risultato di rafforzare la loro competitività.

In questi casi, la responsabilizzazione dei lavoratori favorisce la riduzione degli sprechi e, a cascata, l’innovazione tecnologica e organizzativa. Andamenti simili sono descritti anche nelle ricerche in Europa dalla Fondazione di Dublino (Ewon, 2001). In questi casi sembra che si possa attivare un percorso di innovazione inverso rispetto a quello della impresa medio-grande illustrato nei punti precedenti (cioè dal coinvolgimento verso l’innovazione).

In sintesi, emerge dallo studio qualitativo di vari casi aziendali l’esistenza di un collegamento tra innovazione tecnologica, innovazione organizzativa e forme di partecipazione dei lavoratori. A loro volta la combinazione locale di questi elementi ha influssi positivi sulle performance e sulla produttività. Di questi collegamenti non conosciamo la diffusione e neanche con sicurezza le condizioni abilitanti, i driver e le correlazioni di causa-effetto.

Un legame stretto fra partecipazione e produttività, seppure non direttamente di causa-effetto, viene citato anche negli studi recenti della Commissione Europea (European Commission, 2014 pag. 37). Di certo, osservando nell’insieme i progetti di innovazione nel sistema industriale italiano degli ultimi 15 anni, si può vedere una sorta di dicotomia tra progetti a bassa partecipazione e progetti ad alta partecipazione con due esiti diversi.

Nel primo caso i progetti sono di solito studiati e analizzati dai responsabili aziendali che coinvolgono esclusivamente i capi dei reparti e gli specialisti. In questi progetti, elaborati al vertice, si adotta una modalità top down e si ottengono risultati spesso significativi, ma che, purtroppo, sono solo una parte limitata di quelli che si potrebbero ottenere.

Ma vi sono anche casi del secondo tipo, in cui un successo del progetto si porta dietro un aumento della produttività, che viene raggiunto attivando forme di partecipazione forti con un coinvolgimento di tutti gli operatori sin dalla fase di progettazione e poi nella gestione ordinaria (Campagna L., Pero L., 2011).

La causa di questo diverso esito è collegata al fatto che la produttività dipende oggi soprattutto dal grado di cooperazione nel gruppo dei lavoratori, dall’affiatamento dei team operativi e dal loro rapporto con i team tecnici e, in generale, da un contesto ricco di innovazioni gestionali (Leoni R., 2008).

In Italia si può osservare che una delle cause della crisi prolungata del sistema industriale è proprio il fatto che questa trasformazione verso i network globali, ha interessato solo una parte minoritaria del sistema economico, sia manifatturiero che dei servizi.

La parte innovativa, valutata in circa il 30%, ha reagito rapidamente accelerando l’innovazione di processo, incrementando l’export con nuove catene di vendita, adottando nuove tecnologie e nuove forme organizzative, rinnovando i prodotti, e in certi casi anche aumentando e qualificando gli occupati.

Al contrario la parte tradizionale ha subito la crisi, ha reagito con tagli di produzione, dismissione di personale, ulteriore delocalizzazione selvaggia, tentativo di ridurre i costi. È proprio nella parte più evoluta che si può osservare un uso più frequente delle forme della partecipazione diretta, e soprattutto di quelle di tipo forte come il lavoro in team formalizzati o i social network.

Si è creato così un nuovo dualismo nel sistema produttivo italiano, che è stato ben fotografato dall’Istat nei Rapporti sulla competitività dei settori produttivi. Nell’ultimo Rapporto Istat (Istat, 2017), attraverso un indicatore di sostenibilità economica e finanziaria, le imprese italiane sono classificate in 3 gruppi: quelle “in salute” (circa il 32%, che esportano molto, sono molto innovative, hanno organizzazioni “lean” evolute), le imprese “fragili” (circa il 47%, caratterizzato da bassa innovazione, organizzazione meno evoluta, mercato interno prevalente) e le imprese “a rischio” (circa il 21%) in progressiva difficoltà per la riduzione dei mercati e la concorrenza dei produttori esteri che non riescono a fronteggiare.

In conclusione, in Italia la spinta alla innovazione per uscire dalla crisi, in un contesto tecnologico sempre più complesso, ha rapidamente convinto le imprese più dinamiche a introdurre molti cambiamenti nei sistemi di gestione e forme di partecipazione diretta dei lavoratori, con l’obiettivo di aumentare le performance produttive.

La rapida crescita delle pratiche di coinvolgimento non è stata quindi un’opzione ideale da parte della Direzione di impresa, né una scelta di politica delle risorse, ma più spesso un’impellente esigenza economica imposta dalla necessità di competere nel mercato internazionale. La partecipazione diretta è oggi a tutti gli effetti in molti casi un fattore produttivo rilevante.

Il coinvolgimento e la partecipazione: una definizione

Negli anni scorsi, in Italia, nella pratica aziendale si è molto diffusa la parola “coinvolgimento”, intesa come termine neutrale per indicare che i lavoratori venivano associati ad attività di tipo tecnico e gestionale che nel passato erano riservate ai capi. La parola “partecipazione” invece si è diffusa in misura minore, perché nel contesto italiano viene considerata molto “sensibile” in quanto carica di significati ideologici e tipica del lessico sindacale.

Anche nel contesto europeo e negli studi americani c’è una certa oscillazione nell’uso dei due termini. C’è un primo gruppo di autori che usano la parola “involvement” (coinvolgimento) per indicare le forme d’informazione e consultazione dei lavoratori nelle quali la possibilità di incidere nel processo decisionale dell’impresa è assente o limitato, mentre utilizzano la parola “participation” per le situazioni in cui la possibilità di incidere sulle decisioni è più chiara, come per le forme di team autonomi, di codeterminazione o di pareri preventivi formalizzati.

Ma c’è anche un secondo filone, rappresentato dalla sociologia del Nord Europa e soprattutto dalle ricerche della Fondazione di Dublino, nel quale le due parole “coinvolgimento” e “partecipazione” sono quasi sinonimo o al massimo indicano diverse intensità del fenomeno partecipativo. Nel contesto di quei Paesi infatti è assente la carica ideologica evocata dalla parola “partecipazione”.

Infatti, sin dagli Anni 90, la Fondazione di Dublino, con le ricerche EPOC, ha usato la parola “partecipazione” per indicare tutte le forme di coinvolgimento dei lavoratori, da quelle più semplici come l’informazione e i colloqui individuali, a quelle più complesse come il teamwork e la codeterminazione alla tedesca.

Più in dettaglio, la classificazione adottata dalla Fondazione di Dublino è basata sulla distinzione tra partecipazione diretta e indiretta che risale a Sisson (Geary J. , Sisson K., 1994). Secondo questa distinzione la partecipazione indiretta consiste nel coinvolgimento delle rappresentanze elette dai lavoratori nel processo decisionale dell’impresa, mentre la partecipazione diretta riguarda vari tipi di iniziative con cui il management consulta o delega ai lavoratori in prima persona la definizione di contenuti, di condizioni e di modalità dell’organizzazione del lavoro (Eurofound, 2015, p. 15).

Nel caso della partecipazione diretta proponiamo di distinguere tra forme deboli e forme forti seguendo le definizioni proposte da Gallino. La partecipazione diretta in forma debole (che si indica di solito con coinvolgimento) è costituita da quelle forme in cui il coinvolgimento dei lavoratori avviene con modalità, ambiti e approcci decisi unilateralmente dall’impresa e in cui la loro possibilità di influenzare le decisioni è assente o molto scarsa.

La partecipazione diretta in forme forti è invece quella in cui le modalità e gli ambiti sono parzialmente concordati e in cui c’è la possibilità di influenzare in modo visibile le decisioni dell’impresa. Per adattarsi al contesto italiano la nostra proposta è di usare il termine “coinvolgimento” per indicare la partecipazione diretta in forma debole, e il termine “partecipazione” per quella in forma forte.

Attualmente in Italia le pratiche più diffuse sono a nostro avviso quelle riconducibili alle forme deboli, come il lavoro in team informali. Ugualmente diffusa è la pratica della rotazione di fatto che comporta polivalenza ed empowerment implicito delle persone.

Ma dalla nostra esperienza risultano anche molto diffuse le forme deboli e più formalizzate come per esempio la survey di clima e le campagne di informazione. Inoltre, nella recente letteratura sono molto numerose le rassegne sui casi di piani di welfare aziendale.

Sul tema specifico del welfare aziendale si può asserire che, al di là delle motivazioni economiche, questi sistemi costituiscono una forma di partecipazione, seppure in modi deboli, poiché innescano un processo di ascolto da parte dell’impresa e di coinvolgimento del lavoratore.

Tra le pratiche forti e formalizzate di partecipazione i sistemi più diffusi oggi riguardano a nostro avviso i modelli di lean evoluti nella media e grande impresa, spesso sostenuti da accordi bilaterali contenenti piani formativi per l’innovazione. Tra le pratiche forti più informali, ci sembrano più diffuse la “gestione informale dei suggerimenti” e la “regolazione informale degli orari” soprattutto nella piccola impresa.

Bisogna infine ricordare che uno stimolo alla diffusione di alcune forme è venuto anche dalla legislazione sui nuovi incentivi fiscali per le imprese. Essa ha favorito sia la misura esplicita della produttività sia la partecipazione diretta che è stata definita come il “coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro”.

Questa si realizza con “schemi organizzativi”, finalizzati al miglioramento, che prevedono una partecipazione “dal basso” dei lavoratori “di pari livello, importanza e dignità di” quella dei “responsabili aziendali” coinvolti.

Conclusioni

In ambienti come quelli descritti sopra, focalizzati sull’innovazione, sembra opportuno abbandonare un approccio conflittuale e di negoziazione continua e adottare, invece, un approccio più partecipativo. In particolare lo sviluppo della partecipazione diretta può essere sostenuta da forme nuove di partecipazione organizzativa.

Nella tradizione italiana la partecipazione organizzativa si è di solito realizzata attraverso commissioni paritetiche a livello di unità produttiva con un approccio prevalentemente negoziale e rivendicativo. Per il futuro, la nostra proposta è che queste commissioni riuniscano i responsabili aziendali e le Rappresentanze Sindacali unitarie allo scopo di supportare e indirizzare il processo di sviluppo dell’innovazione concordando per esempio i tempi, i modi e le forme di partecipazione.

Con questo approccio si potrebbe avviare una nuova stagione di partecipazione organizzativa. Sembra chiaro che l’avvio di una stagione di questo genere muterebbe profondamente le Relazioni Industriali nel nostro Paese, almeno per quel 30% di imprese che stanno imboccando la “via alta”, con ampie conseguenze sui sistemi contrattuali. Uno scenario di questo genere, che sarebbe molto positivo per il futuro del nostro Paese, richiederebbe anche uno sforzo di profonda innovazione culturale da parte degli attori politici, sindacali e scientifici.

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