Felicità e lavoro, gli inglesi sono i più insoddisfatti

Solo il 76% dei dipendenti del Regno Unito si considera felice o molto felice del proprio lavoro. Lo rivela una ricerca condotta dalla società proprietaria di spazi di coworking MindSpace e riportata da CTech. Rispetto ai colleghi del resto del mondo, in cui la soddisfazione raggiunge in media quota 84%, gli inglesi sembrano i più insofferenti alla vita in ufficio.

La survey ha coinvolto 5mila lavoratori di sette nazioni: oltre al Regno Unito, sono stati ascoltati i dipendenti di USA, Germania, Olanda, Israele, Polonia e Romania. I più soddisfatti del proprio impiego sono gli americani, con il 94% di dipendenti felici, seguiti da olandesi (91%) e polacchi (83%). A pari merito Israele e Germania, dove l’81% degli intervistati si considera felice della propria attività.

Se la passa meglio chi lavora in proprio: la soddisfazione raggiunge il 73% dei lavoratori autonomi, a fronte del 25% degli impiegati. In generale, la ricerca dimostra che gli uomini tendono a essere più felici delle donne, con l’unica eccezione delle lavoratrici polacche. L’età è un fattore rilevante: la soddisfazione dei Millennial è più alta di quella dei lavoratori di età compresa tra i 40 e i 50 anni.

Anche l’avanzamento di carriera sembra portare gioia, con il 45% di manager e business owner che si definiscono felici, rispetto al 27% degli impiegati. Tra chi si considera “molto felice” del proprio lavoro, il 75% rivela di avere una forte motivazione, il 90% ammette di sentirsi apprezzato e il 70% dichiara di lavorare in un ambiente flessibile.

In Italia la soddisfazione retributiva non basta

E in Italia? JobPricing ha mappato il livello di soddisfazione di 2mila lavoratori dipendenti italiani nei confronti del proprio pacchetto retributivo. La survey, realizzata per la prima volta in collaborazione con InfoJobs, si è concentrata su sei dimensioni: equità, competitività, performance e retribuzione, trasparenza, fiducia e comprensione, meritocrazia. Secondo i risultati dell’indagine, non è detto che la motivazione cresca al crescere dello stipendio, ma se la retribuzione è percepita come “non adeguata” produce demotivazione.

Le cose migliorano quando entrano in gioco altri elementi del pacchetto retributivo: premi variabili individuali, incentivi a lungo termine, benefit e welfare. Ecco perché dirigenti e quadri sono mediamente più soddisfatti degli impiegati. Nel complesso, i lavoratori italiani non sono soddisfatti delle loro retribuzioni né degli altri componenti del pacchetto retributivo e il giudizio è fortemente negativo quando si parla di meritocrazia, con oltre il 40% degli intervistati che ne lamenta una totale assenza. Secondo i lavoratori, le aziende non premiano i migliori: la soddisfazione complessiva cala, e di molto, se è presente solo lo stipendio fisso, diminuisce con l’inquadramento e cresce con la dimensione aziendale.

Gli italiani non avvertono equità in ufficio e si dicono perplessi rispetto al valore del proprio lavoro. La retribuzione non è percepita come proporzionata alla performance individuale: circa il 60% dei lavoratori esprime un giudizio negativo, che diventa fortemente negativo in presenza di sola retribuzione fissa. Si lamenta anche un’assenza di trasparenza: soltanto quadri e dirigenti conoscono e condividono le procedure per i riconoscimenti di merito, al contrario di operai e impiegati.

Più della busta paga, nella scelta del posto di lavoro contano molto le relazioni interpersonali e pesano soprattutto la formazione e le possibilità di sviluppo di carriera. Oltre due lavoratori su tre cambierebbero impiego per uno stipendio fisso migliore, ma tengono in grande considerazione gli sviluppi futuri e la possibilità di conciliare tempo di vita e tempo di lavoro. Circa un lavoratore su due sceglie di restare nell’attuale posto di lavoro per via delle relazioni interpersonali instaurate tra colleghi e datori di lavoro. Seguono l’ambiente di lavoro e il work-life balance. Ben il 70% rinuncerebbe, infatti, a una mensilità della propria retribuzione fissa in cambio di altri elementi: in cima ai desideri, la possibilità di rientrare in percorsi di sviluppo professionale.

In tutte le categorie contrattuali analizzate, i lavoratori indicano che, per essere “giusta”, la loro retribuzione dovrebbe essere più alta di circa il 25%. In generale, la soddisfazione complessiva sembra esser collegata ai fattori di “equità” e di “performance e retribuzione”. Per ottenere un livello di soddisfazione positivo, bisognerebbe, dunque, adeguare lo stipendio al valore del lavoro e al valore della persona. Quel che occorre, in altre parole, sono retribuzioni simili a parità di condizioni e stipendi differenti in base al contributo individuale.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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