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Il Paese senza un piano di rinascita della Manifattura

Una ricetta per far ripartire l’economia e in particolare il Manufacturing (ancora) non c’è. E al momento non sembra esserci all’orizzonte. Non potrebbe essere altrimenti se, come ha spiegato Anna Danieli, Presidente di Confindustria Udine, manca la capacità decisionale nel Governo, le misure sui prestiti alle aziende non sono adeguate e siamo di fronte a uno Stato definito “anti-impresa”.

A questo si aggiunge anche uno scenario non ancora chiaro. Ormai ci siamo (quasi) abituati, ma siamo nella fase in cui i dati sui contagi della pandemia devono essere rivisti e aggiornati. Come uscirne dunque? E come rilanciare il Manifatturiero? Se n’è parlato a Fabbrica e futuro? – Prime idee sulla rinascita della Manifattura italiana, l’evento promosso dalla casa editrice ESTE e nato all’interno della piattaforma FabbricaFuturo, che da 10 anni rappresenta il punto di riferimento per il dibattito sull’innovazione della nostra manifattura e che nel corso dell’ultimo decennio ha analizzato i grandi trend tecnologici e macroeconomici accompagnando l’evoluzione del manufacturing italiano.

L’evento, trasmesso in streaming su piattaforma digitale, ha riscosso un grande successo di pubblico: sono state circa 300 le persone collegate per ascoltare il dibattito tra accademici, manager e imprenditori del network FabbricaFuturo, impegnati a proporre soluzioni concrete per il rilancio del Manufacturing, di cui Parole di Management si è fatto portavoce, nel ruolo di collettore delle idee emerse. Che però non sembrano andare nella direzione di una vera e propria ripresa, rimandando un piano di rilancio industriale.

Evitare nuove chiusure per l’economia

Il punto di partenza sono i numeri dello scenario drammatico che stiamo affrontando. L’economia globale, infatti, non può permettersi un nuovo lockdown. Come evidenziato Gregorio De Felice, Head of Research e Chief Economist di Intesa Sanpaolo, se gli Usa, tra i Paesi più colpiti, devono fare i conti con una previsione di disoccupazione di oltre il 25% partendo da una situazione di quasi piena occupazione, l’impatto sulle altre economie del mondo rischia di essere ben peggiore.

In Europa le stime dell’impatto del lockdown vanno dalla perdita di quasi il 5% di Pil fino al -10% (in caso di blocco prolungato). A livello europeo sono stati stanziati circa 540 miliardi e in media i vari Governi hanno risposto con aiuti pari al 2,7% del Pil e garanzie all’imprese pari al 17% del Pil. Scendendo ancor più nello specifico: in Italia si è fermato il 43% delle attività produttive, la cui conseguenza è un calo del Pil stimato tra il 6 e il 10%.

Secondo De Felice, per uscire dall’emergenza, occorre dotarsi di tutte le misure e degli accorgimenti necessari per monitorare il rischio contagio ed esser pronti a intervenire con tempestività. La strada, a suo giudizio, passa per le “3T – test, track and trace: chi farà meglio rispetto a questi tre parametri, avrà minori necessità di ricorrere a nuove chiusure.

Dalle tecnologie ai nuovi modelli di business

Esistono, poi, settori per natura più reattivi alla ripartenza, così come aziende capaci di riorganizzarsi in maniera più rapida rispetto ad altre. Crescerà, dunque, il divario tra grandi e piccole imprese: le prime avranno più risorse per ripartire, ma il rischio è che le difficoltà delle organizzazioni di dimensioni più ridotte si ripercuotano sull’intera filiera.

Nel breve periodo ci siamo adattati, grazie anche al lavoro in remote working, ma serviranno nuovi paradigmi di interazione sociale in azienda e nuove misure di sicurezza e igiene, è il pensiero di Marco Taisch, Presidente di MADE Competence Center e Professore Ordinario di Advanced & Sustainable Manufacturing al Politecnico di Milano School of Management Manufacturing Group.

L’emergenza Covid-19 è destinata a lasciare in eredità una maggiore esperienza per governare il domani, in una dimensione di medio e lungo periodo. Si parla quindi di una ‘nuova normalità’, in cui imparare a gestire le persone, i dati e i processi di business da remoto, nella quale si imporranno nuove fasi per lo sviluppo del prodotto e nasceranno nuovi servizi da remoto.

In sintesi, sono tre i filoni su cui porre la maggiore attenzione: tecnologie, riorganizzazione della produzione e nuovi modelli di business. Per esempio, sul fronte tecnologico, il 4.0 ha goduto di forti benefici fiscali, in particolare legati alla produzione, che hanno consentito a molte imprese di rinnovare il parco macchine, ma ora le tecnologie non devono solo migliorare la competitività, perché sono fondamentali per la sopravvivenza dell’azienda stessa.

È il caso della robotica collaborativa che, in prospettiva, può diventare un supporto utile a garantire il distanziamento sociale. Anche perché, ha puntualizzato Taisch, deve essere sfatato il mito secondo cui i Paesi con il più alto tasso di robot per numero abitanti – è il caso della Germania e della Corea del Sud – hanno i tassi di disoccupazione più bassi e livelli più alti di efficienza e competitività.

Si impone, infine, una riorganizzazione delle Supply chain: quelle più estese, con fornitori localizzati dall’altra parte del mondo, hanno ormai capito che le filiere non sono ancora pronte e resilienti per sopportare quanto accaduto. Per decenni si è cercato di puntare all’ottimizzazione della Supply chain a scapito della sua resilienza. Al contrario, occorre oggi fare reshoring e aumentare i punti di approvvigionamento, per accrescere la resilienza in caso di nuovi picchi.

Unire lo sforzo pubblico e privato in un approccio sistemico

Occorre allora che i sistemi delle imprese guardino al futuro. Su certi temi, infatti, tutto il mondo dovrebbe collaborare in maniera nuova e rivedere il proprio modo di guardare al futuro, è l’idea di Sergio Dompé, Presidente di Dompé Farmaceutici. Di fronte a una crisi del genere si radicalizza il cambiamento in atto e i tempi non sono più coerenti con le necessità: quando non c’è più tempo, occorre un upgrade importante di tutto il sistema.

Nel caso specifico, Dompé si è resa conto che di fronte a una problematica importante non molte aziende avevano focalizzato l’attenzione sulle metodiche di lavoro che consentissero un approccio sistemico. Si è lavorato per anni internamente, poi aprendosi all’esterno: da qui l’applicazione di tecnologie avanzate, come l’Intelligenza Artificiale che ha consentito di accelerare i processi di lavoro. E quando è arrivato il Covid-19, proprio per alcune attività già in atto, Dompé è stata contattata dalla comunità europea che ha proposto l’attivazione di un finanziamento europeo.

Il consorzio pubblico-privato Exscalate4CoV (E4C) si è aggiudicato 3 milioni di euro del bando della Commissione Europea per progetti di ricerca sul coronavirus nell’ambito del programma quadro Horizon 2020: l’obiettivo è sfruttare le potenzialità di supercalcolo integrate con le migliori competenze scientifiche in ambito life-science, per fronteggiare al meglio e in tempi rapidi situazioni di pandemia di interesse sovranazionale.

Contestualmente, il gruppo di lavoro si è allargato, arrivando a comprendere 18 centri di competenze, dislocati in sette Paesi europei differenti, compresa la Svizzera, riunendo le migliori competenze. E il progetto ha raggiunto l’interesse del Ministero della Scienza e della Tecnologia cinese che ha condiviso tutto ciò che era il frutto della loro conoscenza sul virus. A quel punto, si è scelto di aprire l’iniziativa alle altre aziende per accelerare ancor di più l’individuazione di nuovi trattamenti contro il Covid-19. Un esempio è il coinvolgimento di Eni che ha messo a disposizione il suo super computer per aumentare la capacità di calcolo e di IBM che ha consentito di accedere al gruppo di lavoro con l’amministrazione americana.

È stato uno sforzo pubblico-privato per lavorare insieme alle autorità con un approccio strutturato, ha ricordato Dompé, che ha consentito di potenziare le attività, per accorciare i tempi e consentire alle autorità di valutare tutte le strade possibili e per condividere i risultati con il consorzio.

L’importanza della coesione europea nei rapporti con la Cina

Come ha evidenziato De Felice, viviamo un momento di incertezza altissimo, in cui tutte le stime scontano un livello di varianza enorme. Difficile, allora, sapere oggi se la Cina continuerà a essere fabbrica del mondo. Anche Pechino, d’altra parte, sta cambiando: per esempio, il costo del lavoro è cresciuto in media di circa il 10% ogni anno, alcuni settori hanno già spostato la produzione in altre zone, preferendo alla Cina altri Paesi asiatici e altri hanno riportato la produzione vicino ai clienti finali (è il caso di Messico e Canada per le vendite in Usa o nell’Est Europa per commerciare nei mercati europei). In più, c’è la guerra commerciale Usa-Cina che prima dell’emergenza saniaria aveva già contribuito all’incertezza delle filiere globali.

Si percepiva il rischio di una Supply chain che avesse nella Cina una soluzione senza alternativa, ha fatto notare Giorgio Prodi, Docente di Economia e Management dell’Università di Ferrara e Bologna Business School. Le imprese europee e statunitensi stavano già ripensando la loro produzione in Cina e il Covid-19 ha accelerato questa incertezza, arrivando a interrogarsi, nel caso delle aziende dei settori strategici, se sia corretto avere produzioni così lontane.

In Italia si parla moltissimo di Cina, ma, a voler guardare i dati, da Pechino importiamo solo il 7,2%, mentre il Dragone vale ‘appena’ 3,5% delle nostre esportazioni (inviamo soprattutto macchinari, tecnologie e beni di lusso). Piuttosto il vero tema riguarda le tecnologie: il programma China Manufacturing 2025 – l’equivalente del nostro Piano Industria 4.0 – vuole portare la Cina a livelli avanzati in alcuni settori che rappresentano eccellenze della nostra filiera, come la robotica e le macchine agricole. Dunque, le imprese italiane si troveranno ad affrontare una grande concorrenza in settori in cui la Cina riceve importanti sostegni governativi.

I problemi per macchinari e beni di lusso, invece, sono legati al Covid-19 e potrebbero cambiare i rapporti con la Cina. Per i macchinari, le difficoltà sono legate al sistema di manutenzione messo in difficoltà dall’impossibilità di viaggiare e di recarsi sul posto: per questo occorre puntare sulla Predictive maintenance, grazie al digitale. Anche il lusso è messo in crisi dalla distanza: i cinesi compravano prodotti italiani soprattutto in giro per il mondo e ora che i viaggi all’estero sono fermi, deve cambiare il modo di proporre i prodotti, magari andando a vendere direttamente in Cina.

Tuttavia, per Prodi la regionalizzazione delle economie non necessariamente sarà un vantaggio per la nostra economia. È vero che si accorceranno le filiere, ma così come lo faremo noi, lo faranno anche gli altri. E andare a presidiare il mercato americano o asiatico richiederà una presenza fisica importante in quei mercati regionali.

È poi un errore strategico pensare di usare la Cina come un’arma contro l’Europa. Stando ai numeri, il mercato europeo vale per l’Italia addirittura il 60% delle esportazioni; inoltre ‘rompere’ i rapporti con l’Europa ci farebbe perdere appeal, perché Pechino considera i singoli europei interessanti per la condizione di essere partner di un sistema più ampio. Come ha ammesso Prodi, per avere voce con la Cina bisogna essere ‘forti’ e nessun Paese europeo lo è da solo, neppure la Germania.

Competenze e sostenibilità per preparare la ripartenza

Il ‘Piano Marshall per la manifattura’ è, invece, lo slogan lanciato nelle ultime settimane in particolare dal Cluster Fabbrica Intelligente. Ora, però, servono azioni concrete per la ripresa post Covid e avviare quello che è già stato definito il ‘new normal’.

Luca Luigi Manuelli, Chief Digital Officer di Ansaldo Energia e Presidente del Cluster Fabbrica Intelligente, ha spiegato che occorre, innanzitutto, irrobustire le filiere, e che in questo momento, l’impatto della crisi è globale e deve portare a una sinergia di azioni. Per esempio, tutte le commodity legate all’energia, visto lo stop alle attività produttive, sono penalizzate – solo la miscela di caffè arabico è cresciuta del 20% – e ciò può intaccare obiettivi di sostenibilità a lungo termine.

In Italia gli scenari sono ancora più significativi: il fatturato perso dalle aziende italiane può arrivare a 270 miliardi di euro nel periodo 2020-21, con un quadro più pessimistico secondo cui le perdite sfiorerebbero i 600 miliardi. Secondo i dati elaborati da McKinsey, quasi il 26% dell’occupazione totale in Europa (circa 60 milioni di persone) è a rischio: i dati riguardano la riduzione dell’orario di lavoro o del salario, il ricorso ad ammortizzatori sociali e l’espulsione dal mercato del lavoro.

Tre sono i grandi pilastri cui affidare la ripartenza, secondo Manuelli: tecnologie, competenze e sostenibilità. Lo erano in fase pre-Covid, lo sono oggi ora ancora di più vista l’emergenza. La European Data Strategy aveva manifestato la volontà di investire 6 miliardi nei prossimi tre anni per indirizzare lo sviluppo dell’economia data driven e quintuplicare la capacità di sviluppare volumi basati sui dati, stimati nel 2018 in 300 miliardi di euro e nel 2025 in 800 miliardi. Il numero di professionisti nell’ambito delle nuove tecnologie oggi supera i 6 milioni e l’obiettivo è raddoppiarli.

La domanda è allora se quella attuale è ancora la situazione in cui tutto questo può essere portato avanti. Per il Presidente del Cluster Fabbrica Intelligente abbiamo avuto accelerazioni con lo Smart working e l’elearning, ma questo tipo di impatto va garantito su tutta la catena del valore, non solo nelle grandi aziende, serve anche concentrare l’attenzione sulle Piccole e medie imprese che scontano il maggiore gap culturale a livello tecnologico.

C’è poi il tema della ricerca: oggi c’è l’occasione di rimodulare i progetti di innovazione in corso, focalizzando l’attenzione sulle tecnologie per la sicurezza e la salute e sulla cybersecurity. La prima cosa da fare è orientare le aziende a ripensare il ‘new normal’ per esprimere un’ulteriore velocità di ripartenza. Infine c’è l’aspetto fondamentale della sostenibilità, centrale per la Fabbrica Intelligente: è diminuita la richiesta del gas come fonte di energia, ma non bisogna perdere di vista che tutte le logiche di sostenibilità possono essere di supporto per la ripresa.

Far rallentare tutti per poi ripartire insieme

Se fosse una gara automobilistica, potremmo dire che la macchina produttiva globale ha preso una grossa ‘buca’, sconvolgendo gli equilibri economici di tutto il mondo. Ha scelto questa metafora Dario Gallina, Amministratore Delegato di Dotto Gallina Srl e Presidente dell’Unione Industriali di Torino. Come se ne esce? Restando nella metafora, serve invocare, come in Formula 1, la safety car che entri in pista e intervenga a riallineare le monoposto, perché riduce la velocità, ma ricompatta gli sfidanti. Per Gallina, siamo in una situazione in cui bisogna cercare l’opportunità e, anche se la crisi colpirà tutto, è un’occasione irripetibile.

Resta complesso, tuttavia, il tema della burocrazia e degli investimenti. Bisogna snellire i passaggi, ma serve fiducia e pragmatismo, oltre che un grande cambiamento culturale nel Paese. Per uscire dalla crisi, per il Presidente dell’Unione Industriali di Torino, serve una ‘bomba’ di investimenti pubblici. Al momento abbiamo più di 100 miliardi è ora di farlo, riaprendo in sicurezza per equilibrare rischio del contagio e necessità del lavoro. E le aziende hanno dimostrato che si può lavorare in sicurezza.

La formazione è fondamentale ed è destinata a cambiare il modo di lavorare. Quello del futuro sarà un lavoro più individuale che sfrutterà nuove modalità organizzative. Lo Smart working può funzionare, ma bisogna capire quanto influisce sulla produttività in un Paese fortemente manifatturiero come il nostro, è la tesi di Gallina. Altro tema riguarda la filiera dell’Automotive che sta già cambiando, con un mercato ormai crollato che vale il 6% del Pil. Questa però può essere l’occasione per puntare sul reshoring, ma ci vuole una visione strategica per gestire tutto questo.

Supply chain più corte e lavoro agile

Un esempio di come l’emergenza abbia cambiato le dinamiche organizzative è quello di Vortice. L’azienda è rappresentata da due realtà completamente diverse per tipologia di business: Vortice Elettrosociali e Vortice Industrial. La prima è rimasta ferma con l’emergenza coronavirus, la seconda invece continua a operare, seppure in forma ridotta, attraverso commesse con gli ospedali.

La prima ha una catena di fornitura lunga (con rapporti con la Cina), la seconda invece ha una filiera corta (regionale, in Veneto). Per Vortice Elettrosociali, il lockdown della Cina è stato un dramma che ha messo in evidenza tutta la debolezza della filiera tradizionale, con fornitori distanti dall’altra parte del mondo. Per minimizzare il rischio in futuro, l’azienda ha deciso di ripensare la propria filiera e creare una Supply chain più corta.

La reazione delle aziende sarà necessariamente quella di un’economia di guerra, con esercizi sani di buona gestione, ripensando i modelli organizzativi come la Supply chain e lo Smart working, ha spiegato Stefano Guantieri, General Manager Vortice Elettrosociali. Il lavoro agile, a suo giudizio, deve essere supportato da una strategia, mentre finora lo abbiamo subito; ci deve essere, quindi, una cultura dello Smart working all’interno dell’azienda.

Imparare a prevedere il rischio e low touch economy

Flaviano Celaschi, Professore ordinario di Disegno Industriale Università Alma Mater Studiorum di Bologna, si è concentrato su tre temi: la società del rischio, il per-durante e la low touch economy.

Strutturare una società del rischio significa saper anticipare e gestire il rischio. L’organizzazione dell’impresa diventa una ‘comunità di destino’, che condivide risorse e rischi e accetta l’insicurezza. Un atteggiamento che fino a oggi non è stato adottato.

‘Per-durante’ è, invece, la dimensione intermedia tra il pre Covid-19 e il post Covid-19. Dev’essere l’occasione di maturare una riflessione sulle relazioni e sui processi precedenti, ma anche sul futuro che ci attende.

Infine, la low touch economy: dovremo rivedere i nostri prodotti, processi e servizi, attraverso maggiori turnazioni di persone, maggiore automazione, esternalizzazione di lavori, check-in digitale per entrare in azienda, Lean production e più investimenti in Ricerca & Sviluppo. Anche la Logistica va ridisegnata: Celaschi ha sottolineato la criticità attuale dei trasporti, tra capillarità, fragilità e importanza assunta dalle consegne a domicilio.

Dobbiamo anche ripensare quali sono i beni di prima necessità non solo a livello sociale, ma anche nelle aziende, è stato il pensiero di Celaschi, riferendosi alla centralità delle persone, al capitale umano e al rapporto uomo-macchina. La macchina, per l’esperto, può essere usata come strumento di potenziamento del singolo.

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