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Il tempo per pensare

Non abbiamo più tempo per pensare. Me lo ha ripetuto di recente un imprenditore della Logistica. Non che il settore merceologico conti qualcosa, perché la situazione accomuna tutti. Concentrati sulla quotidianità e ‘aumentati’ dalla tecnologia, stiamo perdendo il tempo del pensiero. Abbiamo accelerato, ma ormai abbiamo raggiunto la velocità di ‘crociera’ e aumentare il passo sembra impossibile. A meno che non si trovi il coraggio di rallentare – se non di fermarsi – per preparare una nuova e ancor più accentuata accelerazione.

Lo stravolgimento della modalità di lavoro imposto dalla pandemia nel corso del 2020 continua a vederci costantemente impegnati in attività schizofreniche, saltellando da una videocall all’altra senza neppure – nella maggior parte dei casi – prenderci qualche minuto per il fine tuning dei pensieri per l’impegno successivo. Eppure ricordo – quando ancora si voleva dare un senso allo spazio aziendale – che abili pensatori degli ambienti d’ufficio proponevano soluzioni che, anche a livello di luogo di lavoro, consentivano di ‘staccare’ con un’attività per concentrarsi su quella successiva: le sale riunioni, infatti, erano circondate di spazi di ‘decompressione’ dalla quotidianità, in cui magari ritrovarsi con i colleghi per coordinarsi sull’incontro; e poi, una volta terminata la riunione, fare il punto su quanto emerso nel meeting. E magari trovare il tempo per riprendere quell’idea del collega che durante la riunione si è persa, ma che ha stimolato qualche interesse…

Oggi tutto questo è stato spazzato via. Non c’è neppure il tempo fisico per cambiare stanza dell’incontro. La tecnologia ci consente di restare comodamente seduti alla propria postazione e con un clic di entrare in qualsiasi meeting con chiunque nel mondo. Con un colpo di mouse si finisce di parlare con gli uni e si comincia con gli altri. Ovviamente di temi spesso diametralmente opposti e con registri linguistici del tutto differenti. Peccato che gli esseri umani non siano adeguati per sostenere questa modalità di lavoro (ma neppure di vita). Avremmo bisogno di pensare. Anzi, dovremmo avere il tempo di pensare per dare un senso a quanto stiamo facendo. Ma quel tempo sembra essere sparito.

Corro (da solo) dunque penso

Lo stesso imprenditore che mi ha fatto riflettere sul tema ricordava come un tempo, quando la telefonia mobile non era pervasiva come oggi, le trasferte di lavoro erano la vera pausa dal resto del mondo: chiusi nelle scatole di ferro – che fossero macchine, treni, aerei poco importa – ci si concedeva il tempo per rilassarsi dalla quotidianità. Per treni e aerei funziona ancora; o almeno funzionava prima che la pandemia azzerasse gli spostamenti… E dunque oggi, come ritrovare quegli spazi protetti per pensare?

C’è una vasta letteratura di Time management in proposito, anche se dubito che qualsiasi pensatore abbia mai considerato che un giorno avremmo dovuto far fronte allo scenario attuale che ci impone il distanziamento sociale, pur imponendoci la connessione continua. Nel mio caso ho trasformato – in modo del tutto casuale e artigianale – gli allenamenti di corsa in sedute di stream of consciousness. Non c’è pericolo che qualcuno mi interrompa: sono pochi i coraggiosi che affrontano le ‘difficoltà’ dell’alba e sempre meno quelli disposti a fissare call e riunioni alle 6 del mattino. E così, sfruttando le proprietà benefiche della corsa – il sangue che circola più rapidamente porta più ossigeno al cervello – e la perfetta solitudine mentale mi ritrovo spesso a preparare le lunghe giornate di lavoro. Ho maturato le migliori idee proprio durante gli allenamenti.

Se proprio la corsa non è nelle vostre corde, c’è sempre un vecchio – ma sempre ben funzionante – suggerimento che, si dice, usasse Sergio Marchionne: fissare riunioni con noi stessi (o con immaginari interlocutori) durante la giornata per avere qualche ora ‘libera’ per pensare o per concludere quelle attività che si continuano a rimandare all’infinito. Funziona? Ci vuole coraggio e un po’ di costanza. E si può sempre sommare alla corsa, se si vuole ancora più tempo…

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

Dario Colombo


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