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Imparare una nuova leadership per il lavoro ibrido

Il 70% della forza lavoro a livello mondiale, entro il 2025, lavorerà da remoto almeno cinque giorni al mese. Le recenti stime della società internazionale di consulenza strategica e ricerche Gartner parlano chiaro e costringono le aziende a chiedersi come esercitare la leadership in questo contesto di lavoro ibrido. Paolo Ferioli, Fondatore di Openminds, società attiva da oltre 20 anni nel mondo della formazione, coaching e consulenza, inizia da un ragionamento riguardo le circostanze in cui ci troviamo a vivere da due anni: “Durante la prima fase della pandemia, in Italia, nella maggior parte delle aziende non si sapeva come lavorare da remoto: alcune hanno ‘tamponato’ la situazione, mentre altre si sono attrezzate attivando una formazione specifica. Ora se ne parla molto meno, ma la questione della leadership da migliorare permane e in remoto diventa ancora più urgente.

Insomma, il tempo passa, ma le questioni legate ai nuovi modelli di lavoro restano – in molti casi – ancora irrisolte. Il primo elemento da approfondire per essere un buon leader anche nel contesto di lavoro ibrido, per Ferioli, è la fiducia: “Non è più pensabile attuare il micromanagement in presenza e a maggior ragione da remoto perché è un concetto sbagliato a monte e soprattutto diventa estenuante per entrambe le parti, cioè management e collaboratori”. In sintesi, l’unica strada percorribile è fidarsi delle persone e investire sul loro potenziale anche quando conosciamo i loro limiti.

Il secondo aspetto utile per esercitare una buona leadership ‘ibrida’ è lavorare per obiettivi: “Avere una visione annuale o semestrale dell’andamento del business è necessario, ma da remoto e nella vita di tutti i giorni servono obiettivi temporali più ristretti, per esempio mensili o quindicinali”. Dare fiducia, quindi, insieme con obiettivi chiari e costanti. In questo caso, Ferioli anticipa una possibile difficoltà che può incontrare il management, perché, a volte, è il leader stesso a non avere le idee chiare sugli obiettivi da comunicare. “Il leader intermedio, cioè le figure del Middle management, in queste situazioni deve essere coraggioso per pretendere di ricevere dall’alto indicazioni più chiare, senza dare nulla per scontato”, è il suggerimento. Ragionare per obiettivi, e non per ‘compiti da fare’, è valido anche per i collaboratori, perché dall’osservatorio di Openminds, spesso in azienda si confonde la strada (cioè i task da completare per arrivare a un determinato scopo) con il traguardo. Lavorare sui task e non sugli obiettivi rende i collaboratori meno coinvolti sui successi aziendali e soprattutto riduce la loro proattività nel portare idee utili allo scopo ultimo.

Pianificare e capire cos’è il feedback per lavorare meglio

Il terzo aspetto legato alla leadership nell’Agile working, è l’organizzazione che si deve armonizzare con la flessibilità del tempo e dello spazio. “A proposito di ambienti, a volte chi lavora da remoto è più stressato di chi lavora in sede: Un recente sondaggio di LinkedIn, condotto su oltre 2mila lavoratori italiani in Remote working, ha infatti rivelato che il 46% delle persone intervistate si sente più ansiosa e stressata per il proprio lavoro rispetto a prima, ma ha anche ammesso di lavorare di più: secondo i dati raccolti dal social media di reti professionali, un’ora in più al giorno (48% degli intervistati). Se si sommano, sono almeno 20 ore in più al mese.

Dopo aver ragionato per obiettivi e averli comunicati chiaramente, l’abilità del leader sta nella capacità organizzativa propria e del proprio team: “Sapere prevedere i possibili scenari e organizzare la squadra per poterli affrontare giorno per giorno limitando i momenti di stress e fibrillazione solo quando ci sono fattori straordinari”, spiega il fondatore di Openminds. Le domande che le aziende dovrebbero porsi, a questo punto, per Ferioli, sono: “Quale avvenimento potrebbe cambiare i nostri piani?” “Come possiamo giocare d’anticipo?”; e nel lavoro quotidiano “Il mercato è veramente così schizofrenico oppure siamo noi che non abbiamo pianificato bene il lavoro?”. L’aspetto più curioso, per l’esperto, è che in alcuni contesti, invece di combattere la disorganizzazione, ci si abitua a lavorare in continua emergenza: “La pianificazione delle attività e la capacità di essere congruenti alle priorità indicate sono fondamentali per ridurre lo stress e il burnout all’interno di un team”.

Nelle abitudini dei manager italiani, però, c’è da investire ancora sull’utilizzo del feedback che è ancora troppo raro e destrutturato, per Ferioli. “Questo aspetto acquisisce una portata davvero enorme quando il rapporto tra manager e collaboratore è un rapporto a distanza e oggettivamente si hanno meno elementi su cui potere dare feedback”. Proprio per questa ragione il mindset e il livello di attenzione dei leader deve essere accresciuta e si deve concentrare su nuovi aspetti che fino ad ora potrebbero essere stati trascurati. Openminds fornisce quindi alcuni consigli per farlo al meglio, rispondendo a questi spunti: “Quanto spesso la persona si confronta con altri colleghi in autonomia?”; “Con che frequenza propone soluzioni piuttosto che problemi?”; “Quanto è precisa nella consegna del lavoro nei modi e tempi previsti?”; “Quanto si confronta con il leader in modo spontaneo?”; “È dotata di strumenti di auto-controllo del proprio operato?”; “Anticipa i problemi ed eventuali errori o tende a trovare giustificazioni?”; “Con che frequenza propone nuove idee di miglioramento?”.

Ma questo processo non è unidirezionale. Se da una parte c’è qualcuno che dà un feedback (correttivo, per esempio), e che deve imparare a darlo correttamente, dall’altra c’è qualcuno che lo riceve, e che allo stesso modo deve imparare a non farsi travolgere dalle emozioni negative. “È importante che il leader si alimenti di un mindset ‘illuminato’ e riesca a trasmettere che ogni feedback (anche il più critico) ha sempre un intento positivo“, conclude Ferioli.

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Elisa Marasca

Elisa Marasca

Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino. Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica. Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.

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