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La quarantena è un’opportunità per ripensare lo Smart working

Smart working e pandemia, un’opportunità? Sembrerebbe davvero uno dei pochissimi, forse l’unico dei risvolti positivi individuabili in questo momento storico delicato, in primis dal punto di vista umano e subito dopo da quello economico.

HR Coffee, startup specializzata nei processi di digitalizzazione e nei cambiamenti della gestione delle risorse umane, insieme con la community di Ecosistema Camerale ha dato avvio a Work Smart Work, regola il volume del tuo tempo, una piattaforma gratuita per formare e informare sui temi legati al lavoro in remoto.

A rendere il binomio pandemia-Smart working possibilmente ‘vincente’, poiché emblema della trasformazione della crisi in qualcosa di positivo per l’evoluzione del modo di concepire il lavoro nel XXI secolo, è quella spinta che chiama l’intera comunità mondiale a riorganizzare le proprie abitudini. Il tentativo di ‘portarsi avanti’ e continuare a svolgere le mansioni lavorative indispensabili a evitare o a mitigare il possibile collasso finanziario, diviene dunque una necessità.

Per questo, sia in abito PMI sia in ambito Pa, riprendendo la normativa in vigore dal 2017, poi aggiornata il 23 febbraio 2020 e il successivo 17 marzo, è divenuta forte la manovra di ogni realtà aziendale e non, per incentivare il ricorso a modalità di lavoro agile a all’instaurazione di processi intuitivi e sempre più flessibili per l’acquisizione di competenze digitali.

Serve una rivoluzione culturale

Tuttavia, in Italia c’è da chiedersi se e quanto si sia realmente pronti ad adottare misure di lavoro agile e a far sì che queste permeino il tessuto culturale delle PMI e delle Pa.

Si parta dai dati: secondo i dati più recenti, il 58% delle grandi imprese ha già introdotto misure concrete di questo tipo. Per quanto concerne le PMI, i dati per i progetti di Smart working strutturati oscillano dall’8% del 2018% al 12% del 2020, mentre per quelli informali dal 16% al 18%. Una tendenza positiva, quindi, che sembra attestarsi anche in ambito Pa, il cui 16% oggi può vantare un utilizzo di misure di lavoro agile (solo l’8%, nel 2018 e il 5% nel 2017). Preoccupante, invece, la crescita massiccia del tasso di disinteresse verso tali pratiche, passato dal 38% al 51%.

Da questo spaccato risulta palese l’esigenza di partire dalla costruzione di fondamenta solide; sarà necessario dare inizio a una semina di conoscenza in ogni campo professionale se un giorno vorremo abitare il palazzo dell’Innovazione e raccogliere i frutti della grande stagione della digitalizzazione. Occorre, quindi, mettere in atto una rivoluzione culturale, inserita nel filone del work-life balance e della flexibility.

Il lavoro agile: un lavoro pratico

Cosa significa adottare “pratiche di lavoro agile”? Cosa rende, in definitiva, il lavoro “agile”? E quali sono i benefici che ne derivano in termini economici, ambientali, soprattutto in un’ottica di migliore gestione dei tempi e della propria vita? Lo Smart working non coincide necessariamente o obbligatoriamente con l’home working, ossia con il lavoro da casa che questa emergenza ha imposto come unica modalità possibile per lo svolgimento delle funzioni lavorative di natura secondaria, quelle cioè non legate alla soddisfazione dei bisogni primari, e quindi alla produzione e vendita di alimenti, eccetera.

Il principio portante del lavoro agile, va dunque ricercato nella flessibilità e dinamicità della esecuzione delle mansioni lavorative, in qualsiasi ambiente che sia ritenuto consono al loro svolgimento e senza vincoli temporali.

Tale dinamicità si concretizza con un potenziamento di infrastrutture digitali in grado di realizzare in maniera semplice e repentina questo cambiamento digitale (acquisizione di tool e software per trasformare le attività analogiche in virtuali, come webinar, piattaforme elearning per approfondire alcuni aspetti formativi, cloud su cui condividere file e cartelle di lavoro, calendar per la pianificazione dei task e le riunioni da svolgere, sistemi di project management virtuali, sistemi di messaggistica istantanea, workplace aziendali, sistemi di CRM, e così via).

Lo Smart working supera le barriere spazio-temporali

Queste nuove forme di lavoro, dette appunto “smart”, cioè intelligenti, se attuate in piena sinergia con le proprie risorse, oltre a rimuovere le vecchie barriere legate a obsoleti retaggi culturali che vedono la postazione lavorativa “fissa” invece che “agile”, possono garantire una serie di benefici, sia per le aziende che le adottano sia per i lavoratori che le vivono.

Da un lato, infatti, porterebbero a un aumento della produttività pari al 15% circa per lavoratore, senza contare che se questa proporzione fosse estesa all’adozione di un sistema di lavoro agile in tutt’Italia, coinvolgendo il 70% dei lavoratori in Smart working, si raggiungerebbe un aumento della produttività media stimato intorno ai 13,7 miliardi di euro.

Dall’altro lato, non di poco conto, si pensi alla possibilità di risparmiare quasi 40 ore in spostamenti a settimana, con conseguente riduzione delle emissioni di anidride carbonica pari a 135 chilogrammi all’anno, (ammettendo che si percorrano in media 40 km giornalieri e che sia conteggiato un giorno a settimana di lavoro da remoto), senza parlare del miglioramento dell’equilibrio vita privata-lavoro, di una riduzione dello stress, di una maggiore concentrazione con l’eliminazione di fattori distraenti presenti in ufficio, di un abbassamento delle richieste di permessi da parte delle lavoratrici dopo la maternità, e così via.

Anche il lavoro agile, tuttavia, come tutti i processi, può presentare un rovescio della medaglia: per molti, infatti, lavorare lontano dalle sedi convenzionali comporterebbe un accrescimento del senso di isolamento, dovuto alla smaterializzazione delle relazioni personali invece vissute ‘on life’ in ufficio, senza contare una maggiore difficoltà nella gestione del tempo, dovuta alla commistione tra la sfera privata e quella lavorativa (per evitare la quale è necessaria una collaborazione domestica e tanta capacità gestionale). Ecco perché l’attuazione di questi sistemi richiede una pianificazione attenta e personalizzata, costruita a misura di azienda, per far sì che il lavoro agile non si traduca in una perdita ma, piuttosto, in un’opportunità di miglioramento e crescita, nonché di benessere condiviso.

Restare “agile”, la nuova visione del futuro

La digital transformation va sempre veicolata a piccole dosi, per portare alla massimizzazione dei suoi benefici e giungere alla sostituzione di tutti quei modelli processuali che la stessa pandemia ha oggi decretato obsoleti e da cui sarà necessario ripartire – riformandoli – per rilanciare l’economia globale.

Come cambierà il mondo dopo il Covid-19? Non è dato ancora saperlo. Quel che è certo è che ci sarà un ‘prima’ e un ‘dopo’ la pandemia, una divisione tra due mondi racchiusi in una faglia storica tra l’universo globale e le diverse nazioni impegnate a riformulare i loro confini; vi sarà una barriera invisibile tra persone, che farà da limite ai contatti, senza sapere esattamente fino a quando e in che misura tutto questo potrà modificare i cardini delle società occidentali, e non solo, su cui l’intero patrimonio sociale aveva costruito le proprie basi relazionali ed economiche.

Auspicando un nuovo Rinascimento sociale, economico e culturale, questa emergenza non può che apparire come un momento propizio per rimettere in discussione ogni singolo ambito della vita umana, portando ogni individuo a ricostruire le proprie abitudini, il proprio modo di stare in un mondo “agile” completamente rinato.

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