La scuola e l’assenza di dibattito sul futuro del Paese

Se si considera l’educazione costosa, basta aspettare di vedere i costi generati dall’ignoranza.

L’imprenditore Cesare Romiti affermava che nel nostro Paese “la gente è migliore della classe dirigente”. Come dargli torto? Siamo pazienti, resilienti e, non ultimo, anche disciplinati, come l’esperienza primaverile del covid-19 ha insegnato. Ma verrebbe da pensare anche a una certa nostra predisposizione al masochismo, quando si è ben consapevoli e complici nel farsi rappresentare da persone non all’altezza. Oltre alle logore favole dell’Europa matrigna (averne di matrigne che erogano miliardi a pioggia!), continuiamo a dispensare esempi tutt’altro che virtuosi: gli immancabili ‘furbetti’ del bonus, gli scandali sulla pelle dei malati, il denaro facile a favore dei soliti noti.

Preoccupa, e non poco, la mancanza di un dibattito sul futuro del Paese: idee perlopiù confuse, unite a soluzioni abborracciate mettono a nudo l’incapacità di far emergere un progetto complessivo su cui ricostruire un’Italia più efficiente di quella che da anni viaggia con il motore in panne. Non stupiamoci che all’orizzonte continuino a addensarsi nubi minacciose e che l’ultimo degli incompetenti possa trasformarsi in un re. I personaggi di spicco che ci tormentano senza soste con comizi, interviste e dirette Facebook vantano curricula così poveri di esperienze professionali che un Direttore del Personale scrupoloso li cestinerebbe dopo una rapida lettura senza la chance di un primo colloquio. E questo non solo da oggi.

Uno che le competenze le ha sempre avute, l’ex Presidente Usa Barack Obama, ha affermato che se si pensa che l’educazione sia costosa basta aspettare per toccare con mano i costi generati dall’ignoranza. Se non cambia la musica, il conto che i giovani dovranno un giorno pagare sarà molto salato. Urgono idee concrete, innovative, per non dire dirompenti. C’è bisogno una volta per tutte di uscire dalla logica dell’assistenzialismo, dei bonus a pioggia, del lavoro inventato dal nulla. Non è un caso che i ‘navigator’ stiano sprofondando nelle sabbie mobili di un progetto costruito sull’utopia. Mario Draghi recentemente ha saputo meglio di tutti riassumere quello che è ancora il pensiero dominante di un’opinione pubblica che, benché sfiduciata, confida ancora in un sussulto d’orgoglio.

Tra i molti temi, l’educazione è stata al centro delle sue osservazioni e la franchezza con cui ha espresso il suo pensiero non è stata accolta, per usare un eufemismo, con entusiasmo dalla solita politique politicienne impegnata a sopravvivere aggrappata al libro dei sogni. Sulla scuola troppe voci dissonanti dimostrano che un’idea comune, proiettata al futuro e imperniata su nuovi paradigmi, è ancora ben lungi dall’essere delineata.

Bisogna, al contrario, cercare tra le innumerevoli iniziative partorite nel mondo imprenditoriale la scintilla che può accendere un reale cambiamento dello status quo. Pur non facendo parte del mio costume sbilanciarmi a favore di casi e situazioni specifiche, ho trovato conforto nell’idea partorita recentemente da una startup, Habacus, nata con la mission di facilitare gli studenti dai 18 anni nell’ottenere i finanziamenti allo studio senza chiedere alcuna garanzia economica se non l’impegno a essere in regola con il piano di studi.

Un accordo con il mondo bancario permette di creare un legame virtuoso tra certificatore (Habacus), banca aderente al progetto e studente, con una serie di meccanismi virtuosi a impatto zero per i conti pubblici, ma con riflessi potenzialmente di forte rilevanza sul miglioramento del tasso di scolarizzazione e di employability.

Innanzitutto il processo ruota intorno a meritocrazia e impegno di chi studia, dato che la conditio sine qua non è il superamento su base semestrale dei crediti universitari in misura dell’80%. Lo studente diventa di fatto, per la prima volta, un soggetto bancario attivo che fa leva sulla propria responsabilità, senza obbligo di garanzie personali e familiari. E i tempi di restituzione delle somme anticipate, peraltro a tassi molto convenienti, sono legati a scadenze che consentono di ripagarli con il denaro iniziato a guadagnare con il lavoro ottenuto post lauream, anche a distanza di due anni dal conseguimento del titolo.

Al contempo il mondo bancario, che da anni stenta a uscire da un difficile rapporto con l’opinione pubblica, può ritornare a giocare un ruolo virtuoso grazie a forme di aiuto attivo che, pur in contesti diversi, possono trovare ispirazione nelle teorie sul microcredito dell’economista e premio Nobel per la pace Muhammad Yunus.

Poche parole, nessuna promessa: fact and figure, per dirla all’anglosassone. In Europa da anni questo avviene con regolarità. Ci dà fiducia e speranza nel futuro questa Italia che, nonostante tutto, crede al successo ottenuto con il duro lavoro e la determinazione e che dimostra di possedere idee, talenti e coraggio all’altezza dei migliori esempi a cui si appiglia la nostra incorreggibile esterofilia.

scuola, istruzione, finanziamenti


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Antonio Rinetti

Ex Direttore del Personale di un importante istituto bancario e attualmente Consulente HR.


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