4_days_week

Lavorare meno per produrre di più, i nuovi paradigmi della flessibilità

Lavorare meno per lavorare meglio. E, forse, per poter continuare a farlo. La crisi innescata dal Covid-19 ha portato anche in Italia il dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro: per salvare l’occupazione, il nostro Paese potrebbe esser pronto a superare il dogma della settimana lavorativa di 40 ore. La proposta è stata avanzata dalla Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo e prevede una rimodulazione dell’orario a parità di salario, con la possibilità di convertire parte delle ore ridotte in percorsi formativi. Per mantenere intatta la busta paga, si pensa all’istituzione di un fondo ad hoc presso il ministero, con una dotazione in grado di coprire le ore spese in formazione.

In Italia il provvedimento nascerebbe come risposta all’emergenza e sarebbe, quindi, limitato nel tempo, ma potrebbe avere effetti positivi anche su work-life balance e produttività dei dipendenti. Ridurre le ore di lavoro per aumentare la produttività è la scommessa su cui stanno puntando numerose imprese nel mondo. Pioniera della 4-days week è stata Perpetual Guardian, azienda neozelandese che si occupa di trust, testamenti ed eredità. Dopo una sperimentazione di due mesi, a novembre del 2018 il fondatore Andrew Barnes ha reso ufficiale la misura per tutti i 240 dipendenti, senza tagli agli stipendi né obblighi di straordinari. Lo scorso agosto Microsoft ha replicato l’esperimento in Giappone con il progetto Work-life choice challenge: i 2.300 impiegati della sede di Tokyo hanno lavorato dal lunedì al giovedì per un mese, per valutare pregi e difetti di questa scelta. I risultati hanno evidenziato un aumento della produttività, un risparmio sul consumo di elettricità dell’impiego di carta per stampe e fotocopie (58%).

La settimana lavorativa di quattro giorni è tornata di attualità dopo l’elezione di Sanna Marin in Finlandia. Nonostante la proposta non figuri nel programma di governo, la giovane Premier socialdemocratica se n’era fatta promotrice ad agosto del 2019, quando era ancora Ministro dei Trasporti. Quattro giorni di lavoro, sei ore al giorno, il tutto a parità di stipendio. Secondo Marin, le persone “meritano di trascorrere più tempo con le famiglie, con i propri cari e in altre attività” e una riduzione delle ore “potrebbe essere il prossimo passo nella nostra vita lavorativa”.

Diverso l’approccio adottato in Svizzera, dove con l’avvio del 2020 i dipendenti pubblici federali che lo richiederanno potranno vedersi conteggiato nel calcolo della giornata lavorativa – e quindi pagato come orario di lavoro – il tragitto casa-ufficio. Una soluzione pensata per tutti coloro che sono di fatto operativi, al telefono o via mail, anche durante il tempo trascorso in treno, bus o metropolitana.

Andare in ufficio soltanto per quattro giorni non è una novità in Olanda, dove la settimana lavorativa è di circa 29 ore. In Norvegia e in Danimarca i lavoratori svolgono la propria professione per 33 ore settimanali, ma al municipio di Copenaghen è allo studio un progetto che prevede di portarle a 30. In Francia si lavora 35 ore alla settimana, mentre in Germania i metalmeccanici possono scegliere un periodo che va dai sei mesi ai due anni durante il quale lavorare 28 ore a settimana, per poi tornare alle 35 ordinarie. Nel Regno Unito la News Economics Foundation ha lanciato già da qualche anno la campagna A shorter working week per cambiare le politiche nazionali in tema di settimana lavorativa. Secondo i promotori, ridurre i tempi di lavoro senza diminuire la retribuzione sarebbe un modo per ampliare l’accesso al mondo del lavoro a favore delle donne e delle nuove generazioni e permetterebbe di ridurre lo stress da lavoro, causa di costi elevati per la salute dei singoli e l’economia del Paese.

Soluzione gradita, ma impossibile per il 59% degli italiani

In Italia sono ancora un’eccezione le aziende che hanno sperimentato la soluzione dei quattro giorni lavorativi. L’ultima proposta in merito arriva dalla Cgil: Agostino Megale, Segretario Generale della Fisac Cgil, ha coniato la formula ‘4 x 8 a scorrimento’, proponendo quattro giorni lavorativi non fissi a settimana da otto ore al giorno ciascuno, a salario invariato. Si lavorerebbe a turno anche nei fine settimana, in modo da portare al 100% il tempo di utilizzo degli impianti. Il sistema punterebbe ad aumentare la produttività e a inserire nuovi margini di flessibilità nell’organizzazione del lavoro.

In Europa, infatti, il nostro Paese si dimostra quello con la maggior percentuale di lavoratori (ben il 73%) legati a un contratto che stabilisce un preciso numero di ore, con poco spazio per la flessibilità. Lo conferma la survey lanciata da Citrix, piattaforma di workspacedigitale, e realizzata dall’Istituto di ricerca OnePoll su un campione di 3mila lavoratori attivi in diversi Paesi europei, di cui 500 italiani. Secondo i dati raccolti, nonostante la rigida regolamentazione dell’orario, il 93% dei lavoratori italiani svolge almeno quattro ore di straordinari a settimana.

La frequenza con cui capita di dover protrarre l’attività oltre il tempo concordato fa sì che la maggioranza degli intervistati consideri l’eccessivo ricorso agli straordinari un vero e proprio problema sociale. Gli italiani si sentono così più vicini alla situazione di chi lavora sei giorni su sette (65%), piuttosto che alla prospettiva di lasciare l’ufficio il giovedì. D’altronde, solo una minoranza (22%) accetterebbe una riduzione dello stipendio per aggiungere un giorno in più al weekend. Nonostante sia una soluzione “molto gradita” al 93% degli italiani, l’idea di una settimana lavorativa di soli quattro giorni è considerata un’eventualità impossibile dal 59% degli intervistati.

“Le resistenze sono di due tipi: culturali e tecnologiche”, spiega Mario Derba, Vicepresident per l’area Western and Southern Europe di Citrix. “C’è una mentalità, forse più diffusa nei Paesi del Sud Europa, che non vede di buon grado la possibilità di lavorare da remoto”.

Quella della settimana corta è un’opzione che può funzionare per molti, ma non per tutti. Resta, in effetti, il problema delle specificità di ciascun settore. “Per certi settori non ha senso parlare di riduzione della settimana lavorativa: quasi sicuramente le aziende dovrebbero ricorrere agli straordinari facendo lavorare i dipendenti anche il venerdì”, dice Rossella Alfieri, Chief Executive Director of Communications and HR di Brand id.

Più che temporale, la questione è dunque culturale e concerne l’organizzazione del lavoro. Ne è convinto anche Vito De Giorgi, HR Director del Gruppo San Donato. “La 4-days week non è applicabile al servizio che offriamo sette giorni su sette, 24 ore su 24”.

Intanto, c’è chi ha deciso di sperimentare strumenti più innovativi, anche in Italia. A partire da novembre 2019 Daiichi Sankyo Italia, filiale della storica azienda farmaceutica giapponese, ha introdotto la settimana corta per i dipendenti nei due anni antecedenti il pensionamento. “Abbiamo un buon numero di dipendenti sopra i 60 anni, in qualche modo ‘vittime’ delle ultime leggi che hanno allontanato la data del pensionamento. Valeva la pena dedicar loro maggiore attenzione e dimostrare che la loro esperienza rappresenta un valore per tutta l’organizzazione”, spiega PaoloPagliarini, Direttore del dipartimento HR & GA di Daiichi Sankyo Italia.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Maggio-Giugno 2020 di Persone&Conoscenze.
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Smart working, flessibilità, four days week


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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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