Lavoro integro, non solo agile

Chi può dire come sarà il mondo aziendale all’uscita dal tunnel? Il cigno nero della pandemia sta lì proprio a dimostrare che la capacità predittiva, la pianificazione delle risorse, la visione strategica, i pilastri su cui poggiavano le imprese nell’era pre covid, sono fatti di argilla. E così anche le certezze manageriali che ancora nel mondo postmoderno hanno caratterizzato il governo delle imprese. Un cambiamento di paradigma si renderà comunque necessario, come sempre è accaduto dopo un evento epocale. Sarà il lavoro agile la formula universale per rimettere in moto le macchine?

Troppo facile, le sfide organizzative che attendono le aziende al varco del mondo di domani sono enormemente complesse e non possono essere contenute in una formula che si riassume in flessibilità e autonomia operativa, principi validi anche ieri. La trasformazione digitale, coniugata con il valore e con la strategia della sostenibilità, si rivela già oggi come il vettore che orienterà le priorità e le scelte strategiche, la discriminante tra chi riuscirà a decollare e chi invece sarà destinato a soccombere. E dunque il lavoro agile proprio con questo dovrà fare i conti: la facile equazione dell’agilità diventa un sistema con più incognite, la cui soluzione richiederà capacità di coniugare risultati di breve periodo con un’ottica di lungo periodo, di integrare tutto ciò che gira all’interno del sistema impresa e connetterlo con tutto ciò che gira all’esterno in un mondo instabile, di prendere decisioni passo dopo passo, muovendosi, come dice Edgar Morin, “come un mulo sull’orlo dell’abisso”.

La digitalizzazione dei processi, ben oltre lo Smart working, richiederà di scegliere tra risorse umane e macchine intelligenti, iperconnesse e capaci di apprendere: una sfida tra tecnologia e umanesimo, che si porrà sulle sabbie mobili dell’organizzazione del lavoro. E la direzione aperta dalla sostenibilità aprirà nuovi scenari non solo nelle scelte produttive, nella selezione delle materie prime, nella progettazione di processi compatibili con il rispetto del pianeta, ma anche negli stili gestionali, nell’etica d’impresa, nel suo sistema di valori. Saranno inevitabilmente i consumatori finali gli arbitri di queste sfide: consumatori temperati dall’esperienza della pandemia, divenuti più esigenti e sensibili all’integrità dell’impresa, all’uso che essa effettivamente fa delle risorse, tecnologia compresa, al modo in cui acquista, progetta, produce, gestisce e vende. Perché tutto questo è dentro il prodotto che essi acquisteranno e sarà ben visibile. Nel mondo post pandemico a vincere difficilmente sarà l’impresa più smart, ma più probabilmente quella più trust, una parola la cui traduzione ne richiede due: “credibile” e “integra”.

Se tutto ciò è vero, la via della sostenibilità sarà quella dell’integrità. Il lavoro agile dovrà declinarsi in lavoro integro in tutti i suoi aspetti, dalla trasparenza e dignità del rapporto, all’attenzione al benessere dei collaboratori, dal rispetto dell’equilibrio tra vita di lavoro e vita personale, alla chiarezza dei criteri con cui si promuove e si premia.

Le imprese di successo si riconoscono per almeno due evidenti segni distintivi, destinati nell’era post covid a divenire veri e propri vessilli del lavoro integro: hanno un’anima e un capitale sociale. La prima consiste nella forte connotazione identitaria in cui si riconoscono tanto i collaboratori quanto i clienti. La seconda nell’affidamento della propria capacità di performance alla consistenza delle reti e delle relazioni più che alla struttura organizzativa. In questo senso il networking diviene sempre di più il sistema nervoso dell’azienda-organismo vivente. Non alla verticalità della gerarchia, al comando e al controllo, è affidato il suo funzionamento, ma all’orizzontalità delle relazioni di cui sono capaci le sue persone e i suoi team, agendo in un ambiente di lavoro libero e inclusivo di ogni idea e di ogni diversità.

Fare rete non è fare lobby, è fare sistema, è consapevolezza dell’interdipendenza, un modello gestionale sostenibile in quanto incompatibile con le cordate e le appartenenze. Integro perché si alimenta della logica e dello spirito del servizio nel corpo in salute di un’azienda in cui la trasparenza della digitalizzazione e la strategia della sostenibilità sono anticorpi che non lasciano attecchire la metastasi dei giochi di potere.

Francesco Donato Perillo cura la rubrica “L’impresa imperfetta” sulla rivista Persone&Conoscenze.
Per informazioni sull’acquisto scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

digitalizzazione, sostenibilità, impresa, integrità, post-pandemia


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Francesco D. Perillo

Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale. Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale - prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016). Cura la rubrica "Impresa Imperfetta" sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).

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