
Le fondamenta del benessere
Il benessere al lavoro è direttamente proporzionale al senso che traiamo dalle nostre attività. Se riusciamo a dare un significato al nostro agire professionale, ne consegue una soddisfazione personale. Questa ricerca di senso è, ormai, diventata una priorità. Senza un’attribuzione di significato, il lavoro rischia di ridursi alla mera esecuzione di un compito.
A lungo andare, ciò incide sulla motivazione, generando stress e tutti quei ‘mali’ che i Direttori del Personale cercano disperatamente di evitare. Esiste un antidoto a tutto questo? Possiamo iniziare a riflettere su come i bambini giocano: un’attività in cui creazione, valore e vita si fondono naturalmente. Ci chiediamo se questa armonia sia replicabile nel mondo professionale o se abbiamo finito per accettare una frammentazione inevitabile, dove la persona è vista come ‘produttiva’ in certi orari e ‘umana’ nel tempo restante. Abbiamo a lungo ragionato sull’autenticità e siamo giunti alla conclusione che, in un mondo che ha ormai superato la divisione fordista del lavoro (otto ore di lavoro, otto ore di riposo, otto ore per sé), non ha più senso separare chi siamo al lavoro da chi siamo al di fuori di questo confine. Anche perché il confine non esiste più.
Delle nuove tendenze del benessere aziendale si discuterà a Wellfeel Nord-Est, l’evento dedicato al tema organizzato il 18 settembre 2025 dalle riviste Persone&Conoscenze e Sviluppo&Organizzazione e di cui Parole di Management è Media partner.
I nuovi modelli organizzativi, che superano la mera presenza fisica sul luogo di lavoro, devono il loro successo al bilanciamento tra ricerca dell’efficienza e coinvolgimento delle persone. Siamo abituati a usare il termine engagement che, tradotto, significa riuscire a connettere le persone intorno ai progetti. L’epoca in cui professione e vita si fondono, una modalità che abbiamo iniziato a sperimentare nella sua pervasività durante la pandemia, ci costringe tuttavia al confronto con alcuni rischi, primo tra tutti il burnout.
Se accettiamo che il confine sia sfumato, diventa cruciale imparare a gestire questa fluidità, ricreando confini simbolici e rituali che aiutino a caratterizzare i momenti dedicati al lavoro e quelli della vita personale. Semplici gesti, come delimitare lo spazio di lavoro o stabilire orari chiari, diventano veri e propri atti di ‘cura di sé’. La capacità di gestire queste transizioni è una competenza chiave, e ognuno è chiamato a diventare ‘architetto’ del proprio ecosistema lavorativo.
Il passaggio chiave è considerare le organizzazioni come organismi viventi, reti relazionali con flussi di energie emotive e non semplici meccanismi. I sistemi sociotecnici sono proprio questo: un insieme di elementi tecnologici, tra cui dobbiamo far rientrare l’Intelligenza Artificiale, e componenti umane. Quanto conta la leadership nella creazione di contesti positivi? Questa domanda assume un significato particolare in un momento in cui la ricerca delle persone giuste rimane la spina nel fianco di ogni Direttore del Personale.
La cura delle persone passa dal riconoscerle, prima di tutto, come individui. Un valore che deve essere intrinseco e permeare ogni livello dell’organizzazione. E l’ascolto è un elemento chiave, affiancato a ragionevoli politiche di flessibilità. Se il confine non c’è più, il privato delle persone entra in azienda. Le persone esprimono con sempre maggiore forza un bisogno di condivisione e di riconoscimento come esseri umani prima che come lavoratori.
Esistono esempi di aziende che sviluppano modelli innovativi di gestione delle risorse umane, ponendo l’accento sul benessere, la crescita e la valorizzazione dei collaboratori. Queste realtà creano ambienti inclusivi, attenti alla parità di genere, offrono formazione continua, supporto psicologico e flessibilità. Rafforzano il senso di appartenenza attraverso momenti di condivisione e comunicazione aperta. Investono nel riconoscimento del merito e nella promozione di una cultura aziendale basata su fiducia e collaborazione.
Chiedersi ‘come stanno le persone’ è una domanda che non si può più eludere, e le nostre aziende devono essere percepite sempre più come entità dinamiche e relazionali. Al caos e all’imprevedibilità del mondo esterno, bisogna saper contrapporre ‘certezze organizzative’, legami forti e stabilità relazionali. Tant’è che, superata l’ubriacatura del fenomeno della Great resignation, ampiamente contrastato dai numeri, oggi, soprattutto i giovani, cercano stabilità, contratti a tempo indeterminato e percorsi di carriera solidi. Carriere che devono offrire prospettive e che possano contribuire allo sviluppo personale e umano. E qui torniamo al senso.
È responsabilità delle aziende e dei Direttori del Personale creare contesti che sappiano valorizzare le persone e il contributo che offrono. Ma senza un’introspezione individuale per capire se il percorso intrapreso è quello giusto, nessuna politica di welfare potrà davvero rafforzare un legame che rischia di partire con fondamenta fragili.
