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L’Italia dello Smart working, limiti e vantaggi del lavoro agile

Il coronavirus ha messo in rilievo alcune criticità strutturali nel nostro Paese, a partire da quella della gestione del Sistema sanitario nazionale che, pur dimostrando di saper reggere allo stato di emergenza con tutta la forza e il coraggio di medici, infermieri e operatori sanitari, soffre il peso della cosiddetta ‘aziendalizzazione’ della Sanità degli ultimi anni.

Non meno secondaria è poi la preoccupazione per il futuro del lavoro, ossia per l’impatto economico che avrà la chiusura di molte attività produttive per un periodo prolungato. Il Governo ha stanziato a oggi misure opportune al fine di tamponare, che però non appaiono ancora sufficienti a garantire la tenuta dell’economia italiana nel lungo periodo.

Un primo passo, certo, va compiuto dalle stesse organizzazioni, che per garantire la continuità del business devono saper infondere fiducia nel team di lavoro ed essere resilienti. Tuttavia il mantenimento dell’attività lavorativa resta in molti casi la leva indispensabile per mantenere attivo il ciclo economico.

Ed è in quest’ottica che assume un’importanza fondamentale lo Smart working, modalità di cui mai come in questi mesi si è sentito parlare sui media, ma che spesso viene considerata come sinonimo di telelavoro o di lavoro da remoto.

Parole di Management ha in più occasioni approfondito il significato e le implicazioni del lavoro agile, soprattutto in relazione alla condizione di quarantena, sia per i lavoratori, sia per gli imprenditori e i manager.

Oggi un ulteriore contributo su questo tema viene dall’indagine condotta da Citrix, azienda specializzata nella realizzazione di workspace digitali sicuri, che insieme a OnePoll ha chiesto a un campione di 1.000 intervistati come stanno vivendo questa nuova situazione lavorativa.

Lavoro agile, gli ostacoli sono solo tecnologici?

I dati che emergono mostrano come per molte imprese, in particolar modo quelle più grandi, si è trattato di implementare forme di Smart working già utilizzate, che prima erano limitate a pochi giorni alla settimana, e che per i lavoratori stessi è stato, in sostanza, questione di adattamento. Va però rilevato che comunque la maggior parte, più precisamente il 77,9% degli intervistati, ha dichiarato di non aver mai lavorato in modalità agile in precedenza.

A fronte di questo dato appare allora naturale che possano insorgere alcune difficoltà. Uno dei principali problemi riscontrati dalle aziende riguarda la tecnologia. Come testimonia il 29,3% degli intervistati, l’ostacolo più grande è infatti rappresentato dalla mancanza di strumenti forniti dall’azienda come computer, schermo, server. Il 26,3% indica, inoltre, di non aver la possibilità di accedere alle risorse aziendali. La maggior parte di questi lavoratori (il 70,6%) per ovviare all’inconveniente è costretta a utilizzare perciò WhatsApp, Wetransfer, o altri tool personali.

In Italia, però, la principale fonte di preoccupazione sembra legata al venir meno della dimensione sociale. Il 37,9% del campione imputa alla ridotta comunicazione con i colleghi la principale condizione di svantaggio dello Smart working. Un terzo degli intervistati, il 33,4%, teme invece la mancanza di una chiara separazione tra vita privata e vita lavorativa, mentre il 24,5% indica che il maggior limite del lavorare da casa dipende dalle distrazioni che giungono dall’ambiente domestico e dalla famiglia.

E il dato non stupisce. Il rischio, infatti, come già ha rilevato Luca Pesenti, Professore Associato di Sociologia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e membro del Comitato Scientifico del magazine online Tuttowelfare.info, è quello di far diventare un “lavoro remoto forzato”, un “lavoro forzato remoto”. Con l’effetto controproducente di rendere uno strumento pensato per la produttività come il lavoro agile, di fatto un ostacolo al lavoro stesso.

Primi bilanci dopo tre settimane di Smart working

Tornando all’indagine di Citrix, dalle interviste emergono anche i vantaggi del lavorare da remoto, che esulano dalla condizione di emergenza contingente. Tra questi c’è per il 44,9% del campione la possibilità di evitare gli spostamenti quotidiani per recarsi sul luogo di lavoro e tornare. Il 41,4% considera infatti il pendolarismo una fonte di stress ed è ben contento di non doversi spostare, mentre il 36% dichiara che il lavoro agile consente di avere più tempo da dedicare alla famiglia e alle proprie passioni.

Altro dato rilevante riguarda il 30,8% degli intervistati che considera lo Smart working come incentivo in ottica green, perché permette di risparmiare sulle emissioni. Questo mostra come sempre più nei cittadini stia aumentando la sensibilità ambientale.

Fabio Luinetti, Country Manager di Citrix Italia, fa il punto di quello che ci racconta l’indagine: “Questo cambiamento così radicale delle abitudini, anche lavorative, ha dimostrato tra le altre cose il ruolo decisivo che la tecnologia ricopre per tutti noi, sia nella vita privata che in quella aziendale e, mai come oggi, poter offrire la giusta tecnologia per lavorare ha un effetto decisivo sulla continuità del proprio business”.

Inoltre, “i risultati di questa ricerca mostrano innanzitutto come i lavoratori italiani possano adottare anche molto velocemente nuovi modi di lavorare. Al di là dell’emergenza può essere l’inizio di un cambiamento culturale”.

Quello che appare certo, però, è che la diffusione di questo strumento è percepita in modo forte. Con conseguenze anche sul futuro del lavoro. Una volta usciti dalla situazione di emergenza, il 65,9% degli intervistati ritiene infatti che le aziende ricorreranno più spesso allo Smart working rispetto al passato.

“Quando si parla di Smart working noi pensiamo infatti a un modo di lavorare che mette a disposizione flessibilità e agilità nella scelta di modi e tempi, richiedendo dall’altra parte la capacità di focalizzarsi su obiettivi e risultati. Indipendentemente dalla crisi, è l’odierno mercato del lavoro a richiedere modalità diverse da quelle tradizionali che mantengano però sempre elevato il livello dell’esperienza”, conclude Luinetti.

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