Manager in prima linea per la sostenibilità

Per ingranare la ripresa, dopo la crisi generata dalla pandemia, è necessaria una trasformazione della società e dell’economia europea in una direzione più giusta, efficiente ed equilibrata. Una sfida che vede tra gli attori protagonisti i manager, veri attuatori del cambiamento all’interno delle proprie organizzazioni. Mantenere e sviluppare talenti, ma anche implementare un sistema di gestione delle risorse in grado di centrare gli obiettivi economici, sociali e ambientali, sono le due sfide principali che i decision maker delle imprese italiane sono chiamati ad affrontare.

Del resto, la sostenibilità non è più vista come un costo, ma sempre più spesso come un investimento. Larry Fink, numero uno del fondo di risparmio statunitense BlackRock lo ha dichiarato apertamente, chiedendo ai CEO delle aziende in cui investe di dimostrare piani di business coerenti con l’obiettivo di raggiungere entro il 2050 un’economia in cui produzione e rimozione delle emissioni di anidride carbonica siano almeno in equilibrio.

Un’indagine condotta dal Forum per la finanza sostenibile, in collaborazione con Doxa, conferma che il 55% delle Piccole e medie imprese (PMI) ha in programma di estendere la sostenibilità nella strategia complessiva dell’impresa e il 17% lo sta già facendo. La buona reputazione dell’azienda, inoltre, genera un circolo virtuoso di legami fiduciari con clienti, fornitori e comunità locali, migliorando l’immagine dell’impresa. Se fino a 70 anni fa la tutela ambientale veniva perseguita con norme ispirate a un modello restrittivo, pensate per frenare lo sviluppo e i danni conseguenti, oggi il paradigma è cambiato.

“La sostenibilità è una sfida che si vince tutti insieme o si perde”, ha detto Bruno Villani, Presidente di Aldai-Federmanager, introducendo il web talk Manager e sostenibilità. Come cambia il cambiamento, organizzato dall’Associazione lombarda dirigenti aziende industriali. “Non abbiamo più alibi. È necessario ripartire e dobbiamo farlo iniziando dall’industria. Perché ciò avvenga indispensabile è e sarà il ruolo dei manager, le cui competenze sono più che mai fondamentali per gestire le risorse del Next Generation EU”.

Sta crescendo non a caso nella valutazione delle imprese l’attenzione ai criteri Esg (Environmental social governance) per arrivare alla creazione di un ecosistema virtuoso il cui profitto non si pone necessariamente in contrasto con la tutela dell’ambiente e l’inclusione sociale. Anche le Piccole e medie imprese (PMI) si stanno avvicinando a quel mondo, approcciando la reportistica in tema Esg con la redazione di bilanci di sostenibilità e la partecipazione al ranking etico. “Ambiente è il nuovo nome dello sviluppo”, ha fatto notare Raffaele Cattaneo, Assessore all’Ambiente e al clima della Regione Lombardia. “Insieme con la digitalizzazione, l’ambiente sarà uno dei due driver di sviluppo decisivi nei prossimi 10 anni”.

Servono innovazione e collaborazione

Già oggi ciò impatta sulla vita delle imprese a tutti i livelli, dalle grandi multinazionali alle piccole imprese artigiane. La finanza e l’innovazione tecnologica stanno andando in quella direzione e chi pensa di continuare a operare così come ha sempre fatto si ritroverà bene presto fuori mercato. “La sostenibilità è una sfida ormai ineludibile per le imprese”, ha sottolineato Raffaella Cagliano, Professoressa Ordinaria di People Management & Organization alla School of Management del Politecnico di Milano. Se i primi approcci sono spesso stati di affiancamento alle attività di business, oggi le imprese hanno imparato a porre la sostenibilità al centro dei grandi piani industriali. “La sostenibilità richiede innovazione nei prodotti, nei processi, nei modelli di business e nella Supply chain, ma è anche un’occasione unica per fare innovazione”.

La sostenibilità richiede poi collaborazione: impone sfide che sono molto più grandi rispetto alle possibilità della singola impresa e richiede anche competenze diverse. La cooperazione con attori diversi da quelli con cui l’azienda è abituata a operare è dunque fondamentale: organizzazioni no profit, pubblica amministrazione, comunità locali e non solo clienti e fornitori. Lo sviluppo di competenze a cavallo tra hard e soft skill è determinante per gestire la sostenibilità, perché serve saper usare le nuove tecnologie, ma anche saper collaborare tra discipline e funzioni diverse. “Servono competenze tridimensionali”, ha aggiunto Vincenzo Trabace, CEO di Lanxess Srl Italy. “Le tre ‘C’, ovvero competenze manageriali, tecnico-applicative e sociali, permettono di raggiungere le tre ‘P’: people, planet, profit”.

Secondo Trabace, occorre che le imprese si interroghino per sviluppare progetti che tengano insieme la qualità di vita sul pianeta, l’inclusione sociale e la crescita economica. “Scuola, università e famiglia devono essere incubatori di una nuova cultura della sostenibilità e il manager dev’essere il promotore di questa cultura”. Il manager di un futuro sostenibile è chiamato a una grande responsabilità e deve poter contare su una solida leadership nel green system thinking di impresa, su un’energia innovativa e su una sensibilità onesta verso l’ambiente sociale ed economico.

Attitudine e ascolto dentro e fuori dall’azienda

Essere attenti alla sostenibilità significa anche stare al passo con l’evoluzione dei comportamenti sociali: urbanizzazione sempre più spinta, diffusione degli acquisiti online, attenzione alla mobilità green e condivisa. “Il nostro impegno è stato definire le condizioni che consentiranno alla mobilità di divenire più sostenibile e, fin da subito, anche vantaggiosa per l’automobilista”, ha detto Roberto Di Stefano, Head of e-Mobility di Stellantis. Così è nata e-Mobility, un’organizzazione che irrompe nei processi interni e in cui il ruolo del manager diventa quello di rompere gli schemi consolidati dell’azienda “Abbiamo creato un sistema articolato e attento all’ambiente, ma anche competitivo economicamente, che mette insieme partner, prodotti e servizi trasversali su più mercati per semplificare la vita dei clienti che scelgono vetture elettriche. L’obiettivo è trasformare gli eventuali problemi in opportunità per dar vita a un nuovo modo di interpretare e vivere la mobilità che concilia le esigenze del cliente e l’attenzione per l’ambiente”.

D’altronde, non c’è sostenibilità senza un impulso forte del management. Un’indagine condotta dall’Osservatorio Federmanager ha rilevato come le richieste degli imprenditori in merito alle competenze manageriali siano orientate solo al 16% sulle hard skill: il 40% cerca su competenze soft e il 44% punta su un mix delle due tipologie. “Abbiamo sempre concepito il management come una cinghia di trasmissione interna all’azienda, un tramite tra la proprietà e i collaboratori, ma assumerà sempre più anche il ruolo di connettore tra l’azienda e l’esterno”, ha sottolineato Fulvio D’Alvia, Direttore Generale 4.Manager. Ciò dà ancora maggior impulso allo sviluppo delle soft skill tipiche del manager. “Saranno necessarie attitudine, empatia, ascolto, predittività e capacità di coordinamento”.

A proposito di skill del futuro, secondo la Camera di commercio Italo-Germanica, l’83% delle aziende necessita di formazione specifica per gestire la complessità e superare la resistenza al cambiamento; il 48% ricerca sul mercato competenze specialistiche in ambito progettuale, commerciale e digitale, il 58% non può rinunciare alle soft skill di problem solving, creative thinking, innovation, Risk and Change management; il 54% delle aziende, infine, ritiene oggi cruciale un approccio life-long learning.

“La ripartenza e lo sviluppo duraturo hanno bisogno di una nuova leadership fondata sulla condivisione delle responsabilità, sulla flessibilità organizzativa e sull’autonomia di ogni dipendente”, ha detto Joerg Buck, Consigliere Delegato della Camera di Commercio Italo-Germanica. “Servono fiducia e coinvolgimento per creare luoghi di lavoro piacevoli e costruttivi. Il CEO ha un ruolo importante: deve usare la digitalizzazione per migliorare la produttività dell’impresa e creare empowerment nei propri collaboratori. Il leader dovrebbe essere sempre in grado di innovarsi e innovare l’impresa”.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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