Riaprire in sicurezza preparandosi per il futuro

Per orientarsi nella grande varietà di proposte su come affrontare i problemi complessi del post pandemia, può essere utile collocare i temi più rilevanti in un orizzonte temporale in più fasi. L’attenzione nel breve periodo, in cui occorre riaprire in sicurezza convivendo con il virus, è concentrata sugli standard sanitari fatti propri dai Governi e dagli attori sociali.

Il fuoco, sul medio periodo, sarà, invece, su come affrontare l’eccezionale crisi economica e sociale prodotta dal lockdown. Molto probabilmente gli effetti sull’occupazione, i redditi, le imprese, le banche, il lavoro, le famiglie saranno diversificati, ma non facilmente prevedibili.

Sul lungo periodo si pone la questione di come riorganizzare la società. Gli esiti ovviamente sono molto incerti. Noi auspichiamo che si punti a uno sviluppo sostenibile ed ecologico, con più attenzione alla salute, all’ambiente, al governo del sistema economico internazionale. L’attenzione deve essere posta, da un lato, sul controllo dei sistemi finanziari e produttivi globalizzati e, dall’altro, sulla robotizzazione e digitalizzazione crescente di tutti i lavori. Per l’Italia c’è anche il macigno del gigantesco debito pubblico e si pone la questione del ruolo dello Stato nell’economia in un diverso contesto europeo (più integrato?).

Le tre fasi, evidentemente collegate tra loro, richiedono già da ora, mentre si riapre, di avere una direzione di marcia verso cui incamminarsi, seguendo il vecchio adagio ecologista “pensare in grande e agire in piccolo”.

Fronteggiare l’emergenza nel breve periodo

Oggi è ampiamente condivisa, ma non compiutamente realizzata, l’idea di contemperare la sicurezza delle persone con le necessità economiche per affrontare la pandemia Covid-19. Le prescrizioni sanitarie da adottare nelle aziende che hanno riaperto sono state formalizzate in protocolli concordati tra sindacati, associazioni datoriali e Governo. Allo stesso tempo sono noti a tutti le diffuse difficoltà del come applicare le regole in un grandissimo numero di imprese e luoghi di lavoro, molto differenziati, spesso con dimensioni medio piccole e che non dispongono di staff tecnici all’altezza.

Restringendo il campo di osservazione all’industria manifatturiera, ci si rende subito conto che in molti casi è la stessa struttura degli impianti, dei luoghi e delle tecnologie che facilita l’applicazione. È quanto avviene in ambienti come i cantieri in cui le persone lavorano all’aperto, nei grandi impianti come le raffinerie con pochi addetti e ampi spazi, in impianti con sistemi robotizzati a bassa densità di lavoratori o in cui è possibile il controllo da remoto. In questi contesti i nuovi protocolli, pur imponendo un adattamento dei sistemi di lavoro, non comportano enormi cambiamenti degli impianti e dell’organizzazione.

Invece i problemi sono molto più complessi nelle situazioni ad alta densità di persone e a bassa automazione e digitalizzazione. Si delinea, in effetti, una polarizzazione tra situazioni tradizionali, che sono prevalenti, spesso in difficoltà a recepire i protocolli, e situazioni innovative che sono in grado di adattare il modo di operare agli standard sanitari.

Nelle situazioni tradizionali, le difficoltà sono tante e variegati i fattori che costituiscono vincoli evidenti di spazio e di tempo. In molti casi sono il disordine del posto di lavoro e l’estrema vicinanza fisica con i colleghi che rende problematici la sanificazione e il distanziamento; a ciò si associa talora il rifornimento erratico dei materiali che moltiplica le occasioni di contatti diretti e casuali obbligando le persone a muoversi dentro la fabbrica.

La frequenza di contatti diretti è poi collegata alla persistenza del coordinamento gerarchico nei casi di scarsa autonomia dei lavoratori nella soluzione dei problemi o alla scarsità di strumenti di comunicazione diretta a distanza con gli staff, o ancora all’assenza di comandi a distanza delle macchine e degli impianti. Altri vincoli discendono dalla debole integrazione organizzativa tra le diverse funzioni, poco abituate al dialogo, e con i fornitori esterni di beni e servizi. E infine pesa una cultura diffusa della sicurezza di tipo formalistico e di adempimento in tutti quei casi in cui la sicurezza entra in potenziale conflitto con la produzione.

Al contrario, le situazioni innovative che si adattano più rapidamente hanno tutte in comune due fattori: hanno effettuato innovazioni tecnologiche e organizzative di tipo Lean, che hanno reso l’organizzazione più flessibile, più manovrabile e più aperta a cambiamenti rapidi; hanno un elevato livello di partecipazione e di coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze. Il coinvolgimento dei lavoratori sembra aumentare la responsabilità, la capacità di autocontrollo, di affrontare problemi nuovi, di risolvere problemi tecnici complessi con il solo supporto a distanza degli specialisti. Si può dire che in questi casi l’organizzazione non solo sa fare cose nuove, ma ha anche ‘imparato a imparare’.

Sono esemplari a questo proposito i tre casi tratteggiati su Mondoperaio nel numero di maggio 2020 (Luigi Campagna, Luisella Erlicher, Luigi Pero, “Agire in piccolo pensare in grande”). Si tratta di tre aziende, due grandi Fca e Snam Rete Gas, e una media, Omb di Brescia, che hanno da tempo investito nella innovazione organizzativa a base tecnologica sia World Class Manufacturing che “Lean evoluta”.

Questo tipo di aziende si rivela nella pratica molto più facilmente e tempestivamente adattabile ai forti cambiamenti richiesti dai nuovi standard sanitari per fronteggiare il Covid-19. Qui è stato possibile non solo pianificare anticipatamente i cambiamenti e condividerli con le rappresentanze, ma si è potuto contare su una organizzazione del lavoro adeguata, basata sulla responsabilità di tutti, su pratiche consolidate di informazione e formazione dei lavoratori, su approcci condivisi e diffusi alla sicurezza in quanto incardinati nei pilastri del miglioramento continuo.

Nel complesso la rivisitazione organizzativa dei processi e del posto di lavoro (uffici, postazioni di linea, integrazione con la casa) ha permesso di riassorbire sia il blocco a casa degli impiegati sia il rallentamento della produzione per gli operai. Un ruolo fondamentale per il distanziamento è stato ovviamente giocato dalla consolidata presenza delle tecnologie digitali.

Flessibilità e adattabilità per affrontare la turbolenza

Queste esperienze possono essere utili anche nel medio periodo per affrontare la crisi economica che verrà e nel lungo per prepararsi meglio alla ripresa. La consuetudine con l’innovazione, le nuove tecnologie, le nuove forme di organizzazione del lavoro e di partecipazione hanno generato in questi sistemi organizzativi e sociali diversi apprendimenti.

In primo luogo, la flessibilità e l’adattabilità, utili anche per affrontare il periodo di grande turbolenza dei mercati e delle vendite inevitabile nei prossimi mesi. L’andamento a singhiozzo, facilmente prevedibile dei sistemi produttivi, potrà essere gestito con pochi traumi affiancando manovre sugli orari alla flessibilità intrinseca a questi sistemi e alla loro capacità di dosare la stessa velocità del lavoro.

In secondo luogo, anche l’attuale esperienza di gestione del lockdown può essere utilizzata come ulteriore palestra di accelerazione dell’innovazione tecnologica e organizzativa. E infine ci auspichiamo che questa esperienza possa essere anche un cantiere per sperimentare forme di partecipazione dei lavoratori più avanzate ed efficaci del semplice coinvolgimento praticato sino a oggi.

Colmare il gap di competenze

E il resto del sistema? La nostra tesi è che la sfida del Coronavirus imponga ai nostri sistemi produttivi (pubblici e privati) un salto ulteriore nelle capacità organizzative e gestionali e un ripensamento nel modo di affrontare routine e innovazione. Senza un salto nella conoscenza e nelle competenze di imprenditori, manager, lavoratori, rappresentanze il nostro sistema rischia di non sopravvivere alle sfide del dissesto ambientale del XXI secolo.

Da qui la proposta di sfruttare da subito le nuove condizioni, che si prospettano per moltissimi lavoratori, di non-attività lavorativa o di contrazione degli orari di lavoro se non di disoccupazione per recuperare il grande gap di competenze che contraddistingue gran parte dei nostri sistemi produttivi. Dal momento che questi periodi di riduzione delle attività lavorative saranno sostenuti da interventi economici integrativi dello Stato, è possibile concepire questi interventi come un investimento per realizzare un sistematico processo di formazione di massa che interessi tutti i lavoratori, i tecnici, i dirigenti aziendali.

L’idea è di sviluppare una campagna di formazione di massa sui temi più critici. Sono individuabili cinque classi di fabbisogni formativi. Il primo legato alla gestione della disoccupazione: in questo caso occorrerebbe associare obbligatoriamente all’ammortizzatore sociale un percorso di formazione, secondo il principio “nessuna assistenza senza formazione”.

Il secondo fabbisogno legato al salvataggio di tante piccole e medie imprese in difficoltà: anche in questo caso gli interventi di sostegno finanziario andrebbero associati a strategie di aggregazione-fusione da sostenere con progetti di cambiamento per i quali sono necessarie nuove competenze.

Un terzo fabbisogno è collegato ai processi di riconversione dei lavoratori tra i settori e tra le imprese: anche in questo caso può valere il principio che il sostegno economico alla disoccupazione è associato a un impegno formativo.

Un quarto fabbisogno è poi legato alla riconversione delle filiere produttive e delle catene del valore globale rispetto a cui abbiamo già pagato, nel recente passato, il prezzo della nostra ignoranza e arretratezza. Il governo di questa riconversione passa per un recupero di studi e conoscenze su questi fenomeni di ridisegno.

Vi è poi un ultimo fabbisogno legato alla diffusione delle nuove tecnologie digitali e alla gestione del cambiamento organizzativo, in quei settori più arretrati delle numerose imprese che rischiano la chiusura se non si innovano rapidamente. I nuovi sistemi organizzativi (come sistemi Lean, Agile, Lean evoluta) richiedono, fra l’altro, persone in grado di operare in ambienti diversi e mutevoli: linee di assemblaggio, gruppi di miglioramento e di progetto, sistemi tecnologici ad alta automazione, ambienti misti manualità-automazione, Smart working, ecc.

Sono dunque necessarie, allo stesso tempo, competenze diffuse di natura tecnica e gestionale e competenze comunicative e relazionali per l’ascolto e per il lavoro in gruppo: quest’ultime necessarie anche per fare fronte alle crescenti esigenze di partecipazione che caratterizzeranno gli ambienti produttivi in trasformazione. E queste competenze saranno solo in parte legate alla formazione acquisita in quanto dovranno essere anche sviluppate sul lavoro nel corso delle sperimentazioni.

Un nuovo sistema di formazione continua dei lavoratori 

Alla ripresa dopo la pandemia il gap strategico di competenze, non solo di tipo digitale, sarà acuito dalla grande dinamicità e imprevedibilità dei sistemi sociali, economici e produttivi. Questo gap può essere colmato con un sistema di formazione continua, opportunamente riconfigurato.

Una prima idea è che questi sistemi di formazione continua, anche territoriali, vengano definiti sulla base dei più importanti Contratti collettivi nazionali del lavoro (Ccnl) dei settori produttivi chiave, o a livello delle grandi imprese, con accordi tra le parti sociali e datoriali, che definiscano gli obblighi formativi sia delle imprese sia dei lavoratori. Un governo del sistema, condiviso tra le parti sociali, potrebbe essere sostenuto da nuclei scientifici di indirizzo scientifico collegati alla specificità del sistema produttivo del settore e di presidio didattico dello sviluppo del sistema.

Una seconda idea è di prevedere una formazione obbligatoria per tutti i lavoratori per un certo numero di ore di formazione annua su campagne mirate e concordate, finalizzate allo sviluppo delle competenze tecnologiche e organizzative di base. Già oggi molte aziende hanno concordato con i sindacati compagne di formazione collegate a progetti innovativi alla base del Premio di risultato aziendale o dei sistemi di welfare aziendale. Anzi, a questo proposito, è quanto mai urgente anche una formazione congiunta delle Rsu (o Rsa) e dei dirigenti aziendali in quelle imprese in cui sia sviluppata una contrattazione aziendale sul Premio di risultato o sul welfare.

Una terza idea è di puntare, in parte, sulla formazione a distanza risolvendo contestualmente le condizioni di asimmetricità legate al digital divide, che può inficiare il principio della obbligatorietà e sostenendo l’innovazione di format e metodi di formazione a distanza centrati sulla efficacia del processo di apprendimento e non solo sull’attenzione e l’intrattenimento.

Un’ultima idea è quella di sviluppare progetti formativi per l’implementazione dello Smart working e del lavoro a distanza. Anche in questo caso si tratta di sfruttare l’esplosione da ‘necessità’ del lavoro a distanza (molto spesso lavoro a casa) per intervenire sul grande gap di progettazione tecnologica e organizzativa sia dal lato azienda sia da quello dei lavoratori.

Per fare ciò, una prima necessità è quella di conoscere cosa stia producendo l’evoluzione spontanea del lavoro da casa, per esempio sul bilanciamento tra lavoro sincrono e asincrono, sul mix attività in loco – attività a distanza, sulla modifica dei sistemi di coordinamento e di controllo di questa modalità di lavoro. Ma allo stesso tempo vi è l’opportunità di assistere la transizione con modalità di formazione-intervento, sperimentando a questo fine anche le diverse forme collaborative messe a disposizione dalla Fad e per questa via ‘fare esperienza’ diffusa di lavoro a distanza.

* L’articolo è stato scritto da Luigi Campagna, Luisella Erlicher e Luciano Pero

formazione, Smart working, sicurezza, flessibilità, emergenza covid

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