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Sostenibilità come occasione di business

Da sempre la sostenibilità, nell’ambire a qualificarsi come un concetto capace di analizzare e orientare le dinamiche dello sviluppo della vita sul Pianeta, è rimasta appannaggio di studiosi e ricercatori appartenenti a settori disciplinari inclusivi, finalizzati a osservazioni di sintesi e complessive. Così, l’attuale stato dell’arte sull’argomento riferisce soprattutto al contributo di filosofi, sociologi, macroeconomisti, giuristi, ecologisti, e anche ingegneri, fisici e statistici, e molto meno agli studi di economisti industriali, aziendalisti, psicologi e antropologi.

Eppure, al di là di ogni idealità, buon proposito o programma, l’attuazione di un qualsivoglia intento e, quindi, anche di quelli indirizzati alla sostenibilità, non può prescindere dal comportamento degli individui e della loro principale manifestazione funzionale: le organizzazioni.

Il concetto di sostenibilità

La definizione, attualmente e ampiamente condivisa di sviluppo sostenibile, è quella contenuta nel rapporto Brundtland Our Common Future, elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo:

“Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia, è piuttosto processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”.

Il dibattito conseguente, condotto da specifiche commissioni, da organismi internazionali e da singoli studiosi, ha inteso principalmente integrare la sintetica definizione iniziale con linee guida utili a indirizzare quanti volessero trarre indicazioni operative da un orientamento sulla sostenibilità. In tale ottica, l’inevitabile conseguenza del voler comprimere in regole operative un indirizzo ideale, ha comportato che la sostenibilità venisse scomposta in un sistema trino di prospettive interpretative:

  • economica: intesa come capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione;
  • sociale: intesa come capacità di assicurare condizioni di stabilità, democrazia, partecipazione e giustizia, nonché possibilità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi e genere;
  • ambientale: intesa come capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali.

Il contesto esplorativo originato dalla coazione delle coppie generabili dalle tre prospettive, sulla base delle risultanti aree di sovrapposizione, determina delle condizioni di sviluppo definibili, quali: vivibile, equo e realizzabile, che appaiono propedeutiche, ma anche necessarie e sufficienti, per qualificare le modalità utili per pervenire a un assetto sostenibile.

Sono, infatti, rinvenibili riflessioni incentrate essenzialmente sulla struttura, quindi, sulle componenti e sulle relazioni e, pertanto, indirizzate a fornire prescrizioni essenzialmente quantitative e a carattere prevalentemente meccanicistico. Tra queste, l’economista Herman Daly riconduce lo sviluppo sostenibile alla capacità dell’essere umano di “svilupparsi mantenendosi entro la capacità di carico degli ecosistemi” e, pertanto, vincolandosi affinché:

  • il peso dell’impatto antropico sui sistemi naturali non superi la capacità di carico della natura;
  • il tasso di utilizzo delle risorse critiche rinnovabili non sia superiore alla loro velocità di rigenerazione;
  • l’immissione di sostanze inquinanti e di scorie non sopravanzi la capacità di assorbimento dell’ambiente;
  • il prelievo di risorse non rinnovabili risulti essere compensato dalla produzione di una pari quantità risorse rinnovabili, in grado di sostituirle.

Il principio ispiratore appare riassumersi, come detto, in un modello ‘meccanico’ in cui si auspica un sostanziale ‘equilibrio’ tra azione umana e reazione dell’ecosistema, attraverso una semplicistica equazione economica in ragione della quale il consumo periodale di una determinata risorsa non debba superare la sua produzione. Indicazioni alternative arrivano dall’ambientalista Karl-Henrik Robèrt, impegnato nel dare una definizione sistemico-globale, ma anche operativa di sostenibilità, recuperando quelle che definisce “condizioni di sistema”: indicazioni comprensive di aspetti ecologici e sociali, atte a rendere concreti i principi teorici dello sviluppo sostenibile.

Da notare che, quant’anche le diverse conclusioni contengano riferimenti costanti ad azioni opportune da svolgere, come per esempio nella definizione di sviluppo sostenibile resa dall’International Council for Local Environmental Initiatives, ciò che si rileva è la mancanza di riferimenti al soggetto decisore, non nella sua qualità, ma nella sua personalità.

Triple bottom line

Per meglio sintetizzare il portato concettuale del termine “socialità”, torna utile il riferimento al noto discorso con cui Menenio Agrippa arringò sul Monte Sacro la plebe assemblata che si era ammutinata. Egli, attraverso una metafora anatomica, descrive il limite di un approccio di tipo riduzionista rispetto alla maggior efficacia di quello che, al contrario, considera il tutto insieme. La semplicità dell’idea espressa, nonostante l’immediata comprensibilità dei concetti (o schemi) che propone, trova difficile applicazione nei più disparati campi della conoscenza umana. Questo non perché sia, appunto, difficile comprendere che ogni ‘sinfonia’ deve necessariamente derivare dall’agire in ‘concerto’ tra gli strumenti e gli strumentisti, ma perché la dotazione tecnico-strumentale disponibile allo studioso di ogni disciplina tecnicamente evoluta richiede un ricorso al riduzionismo.

Così, le attuali riflessioni sulla sostenibilità, che pure ritrovano nel concetto olistico la loro vera ragione esplicativa, per necessità di rappresentazione ricadono nella tradizionale espressione riduzionistica. Basti pensare allo schema tipico della triple bottom line, dove le distinte aree sociale, economica e ambientale concorrono al recupero di una ‘intersezione sostenibile’. La verità, che pure può essere ricondotta al succitato schema, è certamente più articolata e prevede, anzitutto, un soggetto decisore che pesi la valenza di ognuna delle aree riportate nello schema e interpreti e codifichi la rete di relazioni fra le parti.

La sostenibilità non è un concetto ‘assoluto’; al contrario esso si caratterizza per essere ‘soggettivo’: la nozione di contesto ‘antropomorficamente determinato’, implica che il prevalere di una delle tre dimensioni (ambientale, sociale ed economica) che formano la sostenibilità dipenda dal soggetto decisore. In particolare, il privilegiare una dimensione piuttosto che l’altra dipenderà dalle specifiche condizioni di contesto e dall’orientamento dato in uno specifico istante. Tuttavia, poiché la risultante della sostenibilità è determinata, come detto, dalla contemporanea presenza delle tre componenti, fondamentale sarà che esse interagiscano nel lungo periodo, al fine di garantire la sopravvivenza sostenibile del sistema vitale.

L’interazione, pertanto, è un elemento da tenere in forte considerazione, dal momento che porta con sé una serie di derivazioni rilevanti: essa, infatti, conduce l’analisi al livello del sistema, superando, cioè, un approccio di tipo analitico-riduzionista a favore di uno che sia, al contrario, olistico. Conseguenza implicita di questa prospettiva è che il fenomeno analizzato viene visto nella sua dinamica, cioè in un’evoluzione positiva che porta il sistema vitale a sopravvivere proprio perché esso riesce a contemperare dinamicamente una serie di istanze che, pur essendo espressione di dimensioni diverse, devono esser ricondotte a valore medio per raggiungere quella ‘intersezione sostenibile’ di cui si è detto sopra.

Giova ricordare che, seppur attraverso percorsi di riflessione diversi da quello qui esperito, l’economia manageriale ha, da qualche tempo, elaborato concezioni circa la necessità di tener conto, in ottica organizzativa, soprattutto delle interazioni tra le componenti. Lo stesso riferimento all’ottica di servizio che prevede che il valore, in ottica d’impresa, sia co-creato, pone l’accento su dinamiche interattive virtuose che non potrebbero aversi se non ci fosse una prospettiva globale che tiene conto di tutti gli attori interessati e coinvolti in un determinato processo analizzato.

La visione che si impone oggi è quella che guarda lontano, che tiene conto del fatto che le decisioni unilaterali hanno influenze sulla collettività e che, laddove ciò non fosse considerato, si arriverebbe a una crisi dell’intero sistema. Il presente non può non guardare al futuro, recuperando, senza alcun infingimento e senza alcun sotterfugio, la dimensione umana che è l’essenza del nostro essere, la necessità necessitante la nostra esistenza e l’esistenza delle generazioni future.

Articolo liberamente tratto dal paper di Sergio Barile, Mario Calabrese e Francesca Iandolo dal titolo Sostenibilità e paradigmi service-based: possibilità e criticità per l’economia d’impresa e pubblicato sul numero 252 di Sviluppo&Organizzazione.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

imprese, sostenibilità, business, economia d'impresa

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