Tra fisico e digitale, vince la collaboration

Cisco ha deciso di investire per rendere l’esperienza in video 10 volte migliore dell’esperienza in presenza.

Uscite da una storia legata soltanto al mondo del business, le piattaforme collaborative sono diventate oggi spazi virtuali su cui si svolgono le più varie attività quotidiane, dalla lezione di yoga all’aperitivo con gli amici. La loro recente diffusione è avvenuta in un contesto difficile, com’è quello segnato dalla pandemia, in cui le tecnologie di collaboration hanno funzionato da rete di emergenza, con un impatto sociale enorme: dalle carceri alle residenze sanitarie per anziani, dagli ospedali alle scuole.

“Abbiamo ormai sperimentato una modalità di lavoro e di vita che – anche se non in termini così rigidi come quelli attuali, ma come possibilità – è qualcosa da cui le persone e le aziende non torneranno più indietro: le imprese stanno ripensando i loro spazi, le persone il modo di lavorare, le città i propri orari. Tutti stanno scoprendo che c’è modo di fare le cose a distanza”, dice Michele DalmazzoniCollaboration and Industry digitization leader di Cisco Emear South.

Secondo uno studio Cisco, i lavoratori italiani sono ben predisposti verso un futuro di questo tipo, con l’87% degli intervistati che vorrebbe scegliere se e come lavorare con un mix di presenza e distanza. A indirizzare la scelta di chi in questi mesi si è affidato alla piattaforma Webex per mantenere la continuità del business, secondo il manager di Cisco, è stata in primo luogo l’affidabilità dello strumento. Non solo l’attenzione a sicurezza e data privacy, ma anche la programmabilità; la possibilità, cioè, di consentire a partner, clienti e advanced services di integrare la piattaforma all’interno delle applicazioni di terze parti. Così Intesa San Paolo ha potuto inserire la chat Webex Team nei suoi servizi di mobile banking, l’ospedale Fatebenefratelli ha integrato la comunicazione Webex nella piattaforma per le visite da remoto e il mondo dell’education ha fatto lo stesso con il Learning management system per la gestione delle lezioni live.

Digitalizzare gli spazi fisici per un paradigma ibrido

A fare la differenza è stato, infine, un terzo elemento, ovvero il paradigma dell’Internet of Things. I prodotti hardware dotati di Intelligenza Artificiale e connessi al cloud, che consentono di digitalizzare gli spazi fisici, sono un po’ i pronipoti dei vecchi strumenti di videoconferenza e si sono rivelati fondamentali per gestire gli spazi al tempo del necessario distanziamento sociale. “La realtà oggi non è ‘tutto in presenza’ o ‘tutto in virtuale’: si sta imponendo sempre più un paradigma hybrid o blended: alcune persone lavorano in sicurezza in presenza e altre collegate da remoto. Per questo, servono sistemi di videocomunicazione che digitalizzino lo spazio fisico”, continua Dalmazzoni.

È il caso del professore che si muove nell’aula durante la spiegazione. Chi segue la lezione da remoto può seguirlo nei suoi spostamenti grazie a un sistema Room kit pro e una telecamera adatta. Al Politecnico di Milano ad agosto 2020 Cisco ha allestito con questi strumenti 340 sale, abilitando lezioni interattive per 70mila studenti e duemila docenti. È la stessa realtà può essere riprodotta in un ufficio, grazie a tecnologie in grado di riconoscere il numero dei presenti e digitalizzare l’ambiente fisico. “Questo non è che l’inizio”, promette Dalmazzoni, anticipando prossimi lanci. “Cisco ha deciso di investire per rendere l’esperienza in video 10 volte migliore dell’esperienza in presenza”.

Rispetto ai 600mila censiti prima della pandemia, quest’anno sono circa 6 milioni i lavoratori che operano da casa utilizzando connettività locale e applicazioni software. Per rendere davvero fruibile al massimo l’esperienza con Webex, quattro sono al momento le priorità di Cisco: abilitare i remote worker, abilitare gli spazi fisici e gli uffici all’interazione con chi lavora a distanza, garantire l’implementazione del workplace e trasformare i processi delle aziende per renderle più competitive.

Software, hardware e cloud per abilitare lo Smart working

Alle diverse funzionalità già in dotazione di Webex – calling, messaggistica istantanea, videochiamata, meeting – si è aggiunta ora anche la possibilità di rimuovere in modo intelligente i rumori di sottofondo, grazie all’acquisizione della startup specializzata in AI BabbleLabs. Uno spunto importante arriva anche dall’hardware, con l’ideazione di un device come Desk Pro in grado di abilitare una postazione personale di alta qualità video e audio. Un ufficio istantaneo dentro casa, dotato di scrivania digitale per la condivisione immediata.

I tre elementi magici per abilitare il vero Smart working sono software, hardware e cloud”, spiega Enrico Miolo, Collaboration Leader di Cisco Italia. “Gli spazi fisici restano un asset fondamentale delle nostre aziende. Continueranno a trasformarsi, con molte più sale piccole e la necessità di rendere gli spazi digitalmente connessi per lavorare in continuità con le persone remote”. I successori degli antichi strumenti di videoconferenza oggi hanno un’intelligenza tale che permette loro di gestire il ritorno in ufficio in sicurezza: attraverso il riconoscimento facciale, conoscono il numero di persone presenti in un ambiente, avvertono con un popup quando si superano le soglie previste, segnalano se la sala utilizzata non è stata sanificata, registrano temperatura e grado di umidità e operano in modalità wireless consentendo di attivare i meeting con un  clic sullo smartphone o tramite assistenza vocale.

“L’applicazione si trasforma in un unico cruscotto che ha tutto quel che serve per gestire un workplace ibrido, trasformando interi ambienti verticali”, continua Miolo. È quel che sta avvenendo non soltanto nel mondo dell’istruzione, della corporate education e della sanità, ma anche in settori più propriamente produttivi. Il Fashion, per esempio, con brand di lusso pronti a riceve da remoto i clienti per mostrare capi d’abbigliamento o accessori in virtual showroom e virtual fitting room, e il Manufacturing, con la possibilità di avere il contributo di un esperto non presente sulla linea di produzione grazie al remote expert on demand.

Innovare la tecnologia per abilitare nuovi modi di lavorare

Disporre delle tecnologie giuste, insomma, permette di rendere più efficaci le innovazioni che riguardano le persone. È accaduto qualcosa di simile in casa Faac, azienda bolognese attiva nel mondo delle automazioni residenziali e dei parcheggi, che ha attivato a brevissima distanza un progetto di sviluppo dell’enterprise communication con Cisco e uno di implementazione dello Smart working in azienda. “Non c’è stata una coincidenza studiata tra i due progetti, ma senza il primo saremmo stati inefficaci sul secondo”, spiega Luca Bauckneht, HR Director di Faac. A settembre 2019 inizia il progetto pilota, che porta l’azienda a decidere di adottare lo Smart working sulla totalità dei dipendenti a partire dal mese di aprile 2020. Al 24 febbraio, alla vigilia della prima ondata del Covid, operava in modalità agile un giorno a settimana il 35% dei dipendenti su sette dipartimenti. Il giorno successivo, la misura è stata estesa sul totale dei white collar cinque giorni su cinque, su 18 dipartimenti.

“A che punto di readiness eravamo? A livello di technological readiness, ci trovavamo tra il 90 e il 95%, quanto alla digital user readiness eravamo fermi al 75%, perché non tutti avevano partecipato al progetto pilota e perché le piattaforme di collaborazione si possono usare al massimo delle loro potenzialità o al livello base e noi eravamo ancora a metà strada”, racconta Bauckneht. Sulle capacità di lavorare da remoto, c’era ancora da lavorare: Faac ha investito sulla formazione tecnica sulla piattaforma e sulle metodologie per lavorare in remoto insieme a un trainer di Cisco progetto.

Il primo grande esperimento di Smart working allargato è stato anche l’occasione per lanciare il progetto TeamsConnect: una serie di interviste rivolte a tutta la popolazione impiegatizia con l’obiettivo di lanciare un messaggio di comunità e di vicinanza nonostante la distanza. “Abbiamo pensato di standardizzare le interviste, per poter ricavare insight su cui strutturare uno Smart working 2.0”, spiega Tommaso Francini, HR Generalist di Faac. “Così, a un progetto nato con un obiettivo people centric, abbiamo aggiunto un valore data driven”. Sono stati coinvolti 256 smart worker di ogni sede, età e dipartimento, sette intervistatori del team HR, per 128 ore di interviste – 30 minuti per dipendente – su tre tematiche: work life balance, percezione della capacità di gestire la propria attività e valutazione della propria esperienza alle prese con lo Smart working. Dati che sono diventati oggetto di analisi da parte del gruppo HR, per individuare il sentiment dei dipendenti.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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