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Aiuti e sussidi ai dipendenti, ma agli imprenditori chi ci pensa?

Durante il lockdown, il 40% delle imprese italiane ha investito in sostegno psicologico ai lavoratori. Una ricerca condotta da Open Evidence ha mostrato come numerose aziende abbiano raccolto informazioni sullo stato dei propri collaboratori, tramite survey e sondaggi, e la maggior parte abbia fornito consigli e linee guida per aiutarli a gestire le nuove modalità di lavoro, spesso a distanza o condizionate dalle misure di sicurezza.

I dipendenti sono stati, quindi, accompagnati nella fase di cambiamento e sostenuti nel fronteggiare la trasformazione. Chi ha aiutato invece gli imprenditori? Anche nella pandemia, i leader di azienda hanno vissuto la solitudine dei numeri uno o sono stati capaci di farsi supportare nelle decisioni?

Tonino Dominici, Presidente e CEO di Box Marche, ha trovato la risposta nella solidarietà tra colleghi e nella vicinanza tra le persone. Anche – e soprattutto – in tempi di distanziamento sociale. Lo comunica già dall’hashtag che ha aggiunto alla sua firma in calce alle mail: #stiamovicini come mantra del momento. “Il distanziamento fisico non pesa più di tanto nel lavoro, il distanziamento di idee peserebbe di più. Ora che dobbiamo stare lontani è il momento di non far mancare lo scambio di pensieri, sentimenti e idee”.

Insegnare l’autonomia e confrontarsi con i colleghi imprenditori

L’imprenditore, che lavora nel mondo del packaging, ha tenuto l’azienda aperta durante tutto il lockdown. Per prima cosa, si è preoccupato di mettere in sicurezza i suoi collaboratori e aiutarli a vincere la paura del contagio. Una prima iniezione di fiducia è arrivata dalla messa a disposizione di colloqui con medici e professionisti dell’azienda. Dominici ha voluto dare un segnale anche a livello economico: il Consiglio di amministrazione ha ridotto lo stipendio dell’amministratore e a tutti i dipendenti è stato riconosciuto un bonus aggiuntivo del 25% sulla presenza al lavoro.

“Siamo una piccola azienda e abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto con le nostre persone. Durante la fase 1 abbiamo registrato un assenteismo pari a zero, segno che il nostro sforzo è stato compreso. Non era mai successo neanche in tempi lontani dal coronavirus”, dice Dominici. “D’altronde, è il nostro motto: la tecnologia di cui siamo più fieri è quella che la sera va a casa”.

La crisi è diventata poi un’occasione per sviluppare nuove competenze. Box Marche ha avviato un progetto di formazione orientato alle soft skill con l’obiettivo di dare autonomia, maestria e motivazione alle sue persone. “Vogliamo far passare il messaggio di un’azienda come famiglia, una comunità che insieme riesce a raggiungere uno scopo superiore rispetto al fatturato”. Da qui il nome del progetto, ribattezzato ‘Fabbrica comune’. “L’idea è fare dell’azienda una realtà sostenibile, non solo in termini ambientali, ma anche nel tempo: gli imprenditori passano, il brand deve rimanere e diventare bene comune del territorio di chi ci lavora”, dice Dominici.

Anche la sua esperienza di uomo solo al comando in tempi di incertezza è stata mitigata dalla vicinanza di chi si trovava ad affrontare le stesse difficoltà. Durante il lockdown Dominici ha organizzato una serie di videoconferenze e incontri online con imprenditori amici, per scambiarsi informazioni tecniche e consigli pratici sulla gestione dell’azienda, ma anche per darsi sostegno reciproco nell’emergenza. “Nel momento della distanza, abbiamo aumentato la relazione. Lo abbiamo fatto anche con i clienti, intensificando i rapporti con tutti i nostri collaboratori, non solo con l’ufficio acquisti. Nella sfida della crisi è stata la cosa più positiva perché ci ha permesso di mettere in relazione le nostre persone con la clientela”.

Investire nella qualità della connessione, umana oltre che tecnologica

Mantenere le relazioni e investire in formazione, dunque. Oltre che di lavoro a distanza, quello determinato dal Coronavirus è stato anche un grande esperimento di cambiamento per le aziende. Che ha prodotto in molti casi risultati un tempo insperati.

“Di regola più dell’80% dei progetti di Change management fallisce perché si trascura l’elemento umano su cui il coaching va a incidere: le prassi, le abitudini, l’inerzia”, dice Alessandro Lorusso, Executive Business Coach e Presidente di Confassociazioni coaching, l’organizzazione che riunisce le associazioni professionali di coaching. Insieme a Francesco di Coste, Presidente dell’Associazione italiana Health Coach, ha fondato Ictf Idee Che TrasFormano, player nazionale nella ricerca e nell’applicazione del coaching e della formazione nel mondo del lavoro.

“Come nel mondo fisico un corpo lanciato nello spazio mantiene una certa velocità in assenza di forze che ne modifichino la direzione, lo stesso accade per gli esseri umani. Quando ci abituiamo a fare le cose in una determinata maniera, manteniamo quell’abitudine finché non interviene una forza esterna che ce la fa cambiare. L’ultimo problema che ci dovremmo porre adesso è quello di tornare a fare le cose come prima: al contrario, dovremo porci l’obiettivo di farle in una maniera migliore”.

Secondo Lorusso, come tutte le grandi crisi, il Coronavirus nasconde anche grandi opportunità. Prima fra tutte, quella di imparare finalmente a gestire le persone non in base al tempo di lavoro, ma sulla base della qualità e quantità del lavoro svolto. “Lo abbiamo sperimentato in questi mesi: se non si investe sulla qualità della ‘connessione’ ci si ritrova con performance scarse. Con la tecnologia è evidente, ma nelle persone lo stesso aspetto è spesso sottovalutato. Invece, bisogna imparare a gestire la qualità delle relazioni, a fissare obiettivi e valori”.

Attivare empowerment e consapevolezza grazie allo scambio relazionale

Dopo una prima fase di accettazione, per molti – imprenditori e collaboratori – è arrivato il contraccolpo. Il ritorno graduale al lavoro è stato così spesso accompagnato da una serie di disagi che sta avendo effetto sulle prestazioni dei singoli e sulla tenuta dell’intera organizzazione. “In molti casi ci è stato richiesto di immaginare e pianificare interventi di engagement del personale, iniziative che non sono legate soltanto all’aspetto motivazionale, ma sono finalizzate a far comprendere cos’è accaduto nel proprio approccio sistemico e relazionale”, spiega Francesco di Coste, Presidente dell’Associazione italiana Health Coach e Co-fondatore di Ictf. “Far sì che le persone riflettano su cosa hanno scambiato a livello sistemico e relazionale aiuta ad attivare leve di empowerment e consapevolezza attraverso cui si occupano più della loro evoluzione personale e professionale, preoccupandosi meno delle paure e delle incertezze del momento”.

Chiedere subito al personale di attivarsi in tal senso è impegnativo, anche per chi è professionalmente abituato a gestire il cambiamento. In questa fase di distanziamento sociale, più di un’impresa ha attivato webinar e corsi di sostegno, efficaci anche per chi ricopre incarichi di responsabilità dentro l’azienda. “Ci sono manager e collaboratori dotati di capacità di selfstarting interno, ma per altri può essere utile sviluppare questo tipo di approccio attraverso sessioni webinar, a cui accedere in modo volontario, incentrate su resilienza e Change management. Consentire alle persone di esprimersi e tornare a connettersi tra loro dà fiducia e aumenta il coinvolgimento attivo dentro l’organizzazione”.

Soprattutto in momenti di incertezza, avere un coach interno all’azienda può essere una risorsa preziosa. Oltre che alla preparazione di coach professionisti, i percorsi formativi di Ictf sono finalizzati anche all’acquisizione di nuove competenze da spendere nel proprio ambito professionale. “Circa il 40% dei partecipanti alla nostra learning community si iscrive a una federazione di coaching e segue percorsi classici, gli altri sono educatori, manager e persone che svolgono professioni di ascolto e di aiuto”, sottolinea di Coste. “Anche a loro avere delle meta-competenze ed equipaggiarsi con conoscenze legate al mondo del coaching può essere utile”. Le competenze sviluppate con il coaching si possono, infatti, utilizzare in vario modo: non solo per diventare coach professionisti, ma anche per fare coaching interno dentro l’azienda e tra i colleghi.

Sviluppare un ‘coach approach’ per essere imprenditori migliori

Infine, gli stessi manager, pur senza diventare coach dei propri collaboratori, possono sviluppare un coach approach. “Significa non fraintendere quello che dici, creare una relazione ottimale, negoziare con le persone in maniera efficace e riuscire a influenzare le persone creando un match tra i valori adottati dall’azienda e le esigenze più spicciole delle persone”, spiega Lorusso. Per queste ragioni, Ictf ha creato un apposito percorso di specializzazione per manager-coach, che può essere frequentato online o in presenza, utilizzabile per trasformare ogni tipo di crisi – non solo quella del Covid-19 – in un’opportunità di evoluzione.

“Per un manager è molto più importante che fare coaching vero e proprio. Quando divento in gamba nel creare fiducia reciproca, leggere i driver valoriali del mio interlocutore e capire le sue esigenze inespresse, sono in grado di allenare le persone a migliorare se stessi e loro performance. Sarebbe un bel salto di qualità per l’era del post Covid”.

In fondo, tutte le grandi imprese nascono da una necessità o da un bisogno. Momenti di grande trasformazione, come quello che stiamo vivendo, non possono che aiutare a interpretare con ancora maggiore consapevolezza questa ‘missione’. “L’imprenditore è colui che trasforma momenti di crisi in opportunità”, conclude Dominici. “Come nelle famiglie, anche nelle organizzazioni bisogna assumersi la responsabilità di portare avanti progetti non solo economici, ma sociali. E trasformare l’azienda da entità economica a riferimento per il sociale, il territorio e le persone. Forse il Covid ci insegnerà a far meglio il nostro mestiere, ma dobbiamo essere noi a volerlo”.

covid-19, crisi, imprenditori, coaching


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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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