Burocrazia, l’alibi dell’immobilismo

Poco prima del via libera al decreto Rilancio, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva detto di voler agire per la “rimozione degli eventuali passaggi che rallentano l’erogazione” dei finanziamenti dalle banche alle imprese. E aveva lanciato un appello agli istituti di credito affinché facessero “la loro parte”. Intanto il tempo passa e la crisi economica si fa sempre più drammatica: dal Governo continuano a chiedere alle banche di fare in fretta, gli istituti di credito replicano spiegando di fare la loro parte, ma poi ci sono le aziende che ammettono di non aver ricevuto i soldi.

Iniziamo dalle banche. Il presidente dell’Abi Antonio Patuelli ha spiegato che “otto richieste su 10 sono state accolte”. Dal 17 marzo al 20 maggio 2020, secondo i dati del Mediocredito centrale, sono state 303.714 le richieste di garanzie pervenute al Fondo di Garanzia (l’importo è pari a 13,8 miliardi): sono oltre 271mila le operazioni per i finanziamenti fino a 25 mila euro garantiti integralmente dallo Stato (circa 5,6 miliardi). Sulle moratorie, Patuelli ha poi specificato che sono state gestite 2,3 milioni di richieste, di cui 1 milione delle imprese, che valgono 240 miliardi di crediti.

A questi numeri, però, fanno da contraltare quelli dell’Adusbef, l’associazione di tutela dei consumatori specializzata nel settore finanziario, che ha denunciato le difficoltà ad avere i prestiti garantiti di 25 mila euro, che, invece, dovrebbero essere automatici. Per l’Adusbef solo due pratiche su 10 arrivano alla fine, mentre le altre otto restano incagliate in banca.

Certo bisogna ammettere che anche gli istituti di credito hanno dovuto fronteggiare l’emergenza sanitaria, organizzandosi di conseguenza e trovando un assetto che assicurasse le attività e il presidio del territorio, ma senza mettere a rischio la salute del personale. Intanto, però, le stesse banche si sono trovate nella condizione di gestire una mole impressionante di pratiche.

Le accuse alle banche, ma l’Inps è in ritardo

Intanto il Governo continua a invocare di fare in fretta. Ma se l’Esecutivo fa pressing sulle banche, non si può ignorare che l’ultimo decreto anti-crisi è arrivato con un mese di ritardo, portandosi dietro polemiche e giorni di analisi prima di essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Poi c’è anche il capitolo “iter burocratico”. Per esempio, il decreto Cura Italia dell’8 aprile 2020 ha ricevuto il via libera della Commissione europea solo nella notte tra il 13 e il 14 aprile. Il decreto Rilancio è stato approvato il 13 maggio 2020, ma solo il 19 maggio ha ricevuto la firma del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Poi c’è il fronte Inps. Mentre il Governo lancia i suoi appelli, l’istituto, sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è in ritardo sul pagamento della cassa integrazione. A denunciarlo è stata il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, secondo la quale “dobbiamo essere rapidi nell’erogazione dei contributi, della cassa integrazione”, perché “i cittadini devono poter comprare generi di prima necessità”. Soprattutto a fronte dell’allarme rincari a raffica nell’alimentare lanciato dalla Coldiretti.

Ad aprile l’Inps ha autorizzato 772,3 milioni di ore di cassa integrazione, il 98% delle quali per l’emergenza Covid: è un dato eccezionale se paragonato allo stesso periodo del 2019 (+3.000%). Al boom di domanda fanno da contraltare i ritardi, come denunciato anche dai sindacati che hanno chiesto di velocizzare le procedure, evidenziando che ci sono milioni di persone a reddito zero. Anche l’Inps, come le banche, si è ritrovato a dover gestire la riorganizzazione interna anti-Covid e nel frattempo sono piovute le richieste.

Purtroppo, la crisi economica è ben più rapida del concretizzarsi delle misure anti-crisi messe in campo e delle riorganizzazioni aziendali. Per esempio, nella sola grande distribuzione in Italia si prevede che i ricavi diminuiscano addirittura del 50% e il 20% delle aziende rischia il fallimento nel 2020, che si traduce nella perdita fino a 380mila posti di lavoro.

Piuttosto che rimpallarsi le responsabilità, scadendo nel più classico degli alibi all’italiana secondo cui la colpa è sempre di qualcun altro, sarebbe ora di rimettere mano alla farraginosità della burocrazia, snellendo i processi. Si invocano da sempre le semplificazioni: per ora di semplice ci sono le difficoltà economiche di consumatori e aziende. E una forte preoccupazione per le tensioni sociali.

 

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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