Coinvolgere e comunicare per uno Smart working vincente

La domanda guida da porsi è: “Che tipo di azienda sono e che azienda voglio essere?”.

All’interno delle organizzazioni complesse i Middle manager rappresentano un nodo fondamentale di raccordo tra l’operatività e la strategia. Solitamente si tratta di persone esperte e loyal, che contribuiscono – in modo spesso non visibile – alla definizione della strategia e si occupano successivamente di tradurla in operatività assicurandone lo svolgimento in dettaglio.

A mio modo di vedere, questa categoria si suddivide in due gruppi: quelli che vedono la loro condizione quale fondamentale, ma anche un temporaneo momento di passaggio verso ruoli dirigenziali e quelli che, invece, amano poter godere della visione strategica, restando comunque nelle sicure maglie delle attività operative conosciute, per scelta personale o per necessità contingenti.

Provando a configurare un mercato del lavoro post covid, possiamo intravedere due distinti periodi non facilmente delimitabili temporalmente. Il primo, più attuale, è quello della sopravvivenza, volto a salvaguardare il conto economico attraverso ristrutturazioni più o meno profonde; il secondo è quello della ripartenza, in cui le organizzazioni cercheranno di sfruttare le proprie caratteristiche competitive per aumentare le quote di mercato, ridefinendo nel contempo i loro assetti organizzativi e privilegiando modalità orizzontali e decision ownership.

All’interno di questo processo, la domanda guida migliore da porsi è: “Che tipo di azienda sono e che azienda voglio essere?”. Non sarebbe invece opportuno concentrarsi esclusivamente sulle proprie expertise, peraltro già note. Questo percorso di analisi va inserito in un contesto di cambiamento come opportunità di rinnovamento e va focalizzato sulla reputation, ovvero l’immagine che l’azienda detiene nel percepito dei suoi dipendenti e all’esterno.

In uno scenario del mondo del lavoro che velocemente sta mutando nella sua componente forse più basilare, ovvero il luogo ove avviene la prestazione a favore di un work-life balance auspicabilmente più equilibrato attraverso progetti di Smart working, il rischio a mio avviso più grande che corrono le imprese con una reputation non positiva è l’abbassamento del livello di commitment organizzativo, inteso come il livello di attaccamento affettivo nei confronti dell’azienda, con conseguente innalzamento del turnover e perdita di competenze.

Nella ripartenza post virus ci ha accolto uno scenario di mercato – in tutti i settori – profondamente diverso rispetto a quanto eravamo abituati a ipotizzare e analizzare all’inizio del 2020; le evoluzioni si sono fatte più repentine e la capacità di adattamento dell’organizzazione in termini di prodotti e processi sarà l’arma vincente nella competizione globale.

Vi è, però, un aspetto più importante da considerare: le organizzazioni sono l’espressione delle persone che le compongono, funzionano e si evolvono solo se precedute da un mutamento della cultura organizzativa, che si basa sui valori espressi dall’impresa; ritengo quindi che il fattore vincente per essere competitivi nel mercato post covid sia di investire sul concetto di identità aziendale, riassumibile nella capacità di un’azienda di essere riconoscibile all’interno e all’esterno, come portatrice di una serie di valori che esprimono la motivazione per la quale essa stessa esiste.

I piani di comunicazione dovranno necessariamente mutare in modo profondo, ispirandosi a principi di trasparenza e favorendo la partnership con i propri stakeholder, siano essi interni o esterni; la motivazione e il coinvolgimento delle persone nascono da sempre dalla condivisione degli obiettivi strategici prima che operativi; in un contesto volatile e incerto, la vision e la mission rappresentano il cuore dell’impresa e vanno, dunque, ridefinite o adattate tenendo conto della cultura organizzativa presente e desiderata dalle persone.

Ritengo che le imprese che ancora non abbiano avviato una riflessione sul proprio sistema di valori debbano provvedere in fretta, poiché sia programmi di corto che di lungo periodo sono sostenibili solo in presenza di un sistema condiviso e introiettato di intangibili, ma potenti sentimenti di coesione e senso di appartenenza.

Nello scenario appena descritto, il Middle management si inserisce come un tassello fondamentale del puzzle, favorito dalla conoscenza delle strategie di impresa e delle caratteristiche dell’operatività quotidiana; un tassello che può facilitare – o vanificare se coinvolto in modo scorretto – i processi di analisi e sviluppo della cultura organizzativa, di comunicazione interna ed esterna e che può essere un valido esempio verso tutti gli stakeholder.

Il Middle manager, in un contesto di cambiamento radicale come quello che ci apprestiamo a vivere con modelli organizzativi bottom-up, scaturiti dalla ridefinizione di vision e mission sulla base della cultura organizzativa, può essere l’anello di congiunzione tra il vecchio e il nuovo, a patto che comprenda e sposi i valori espressi dall’impresa, che adotti gli strumenti digitali e che ne favorisca l’utilizzo verso tutti i suoi collaboratori, assumendo un mindset proattivo e aperto.

Nei momenti di forte cambiamento, industriali o sociali, chi ha mantenuto un atteggiamento passivo o addirittura in contrasto con le evoluzioni si è trovato progressivamente da solo o è uscito dal mercato del lavoro: questo ricorso storico, che già vedevamo riaffacciarsi come conseguenza dell’inevitabile processo di digitalizzazione, si sta verificando in modo più repentino e impattante; i nuovi processi di comunicazione, che necessariamente ognuno di noi in questo periodo sta sperimentando, richiedono non solo competenze digitali più approfondite, ma anche – e soprattutto – l’adozione di nuovi linguaggi di interazione.

L’utilizzo delle nuove tecnologie e la disintermediazione delle relazioni, a mio avviso, rappresentano per il Middle management un’opportunità per poter focalizzare maggiormente le proprie energie verso la gestione delle persone in termini di relazioni e, al contempo, la possibilità di approfondire le tematiche di natura strategica. I processi di comunicazione, con le modifiche che sopraggiungeranno necessariamente con la diffusione dello Smart working forzato, dovranno acquisire maggiore chiarezza e concretezza, poiché saranno naturalmente spogliati della componente ‘umana’ che tipicamente si realizza nei momenti di pausa dell’attività lavorativa.

In quei frangenti informali che contribuiscono in modo fondamentale allo sviluppo e diffusione della cultura organizzativa, intesa come l’insieme dei valori, delle credenze e dei comportamenti dei leader di gruppo, il Middle management ha chiarito, negoziato, condiviso informazioni; con la riduzione di questi momenti le figure intermedie diverranno ancor di più interpreti, decodificatori e comunicatori delle decisioni strategiche, come punto di raccordo tra la dirigenza e gli operatori, ma dovranno saperlo fare utilizzando modalità diverse e potendo contare meno sulla componente non verbale della comunicazione.

La gestione dei tempi d’interazione, nonché l’importanza dei vari canali comunicativi utilizzati, è destinata a cambiare rapidamente; i Baby boomer e la Generazione X, meno avvezzi all’utilizzo dei vari device rispetto alle nuove generazioni, stanno rapidamente colmando il gap, dovendo fare di necessità virtù, ma l’allontanamento fisico per il rispetto del distanziometro – oggi – e l’evoluzione delle modalità di lavoro agile – domani – probabilmente porteranno a una ridefinizione delle modalità interattive e comunicative, cui le persone dovranno adeguarsi non senza l’attraversamento delle inevitabili emotivamente complicate fasi che precedono l’accettazione del cambiamento.

Quali figure di raccordo, con la riduzione delle occasioni di incontro-confronto informali, essi dovranno necessariamente padroneggiare le nuove tecnologie, per poter individuare attraverso il loro utilizzo modalità nuove di coinvolgimento dei collaboratori, di motivazione, di creazione di target. A questo proposito, credo meritino un approfondimento gli strumenti di gamification, oggetto di studio della Psicologia del Lavoro, poiché rappresentano un’interessante metodologia sia da un punto di vista comunicativo-formativo sia motivazionale.

In conclusione, ritengo che il Middle management sia una categoria professionale strategica in questo delicato momento storico; generalmente più avvezzi del Top management alle nuove tecnologie per caratteristiche anagrafiche, potranno essere degli efficaci decodificatori e veicoli trasparenti del messaggio aziendale verso l’interno e l’esterno.

La conditio, attraverso la quale quest’evoluzione della modalità in cui il ruolo del Middle manager viene interpretato, è riassumibile nel concetto di proattività: saper vivere in questo contesto Vuca, più che mai incerto, con un atteggiamento positivo verso sé stessi e verso la propria organizzazione rappresenta, a mio avviso, l’unico modo di affrontare questa crisi epidemiologica, economica, sociale, umana senza esserne fagocitati. Ed è l’unico modo per tutti di essere utili all’azienda.

D’altro canto, il suggerimento a tutti i Top Manager, che in solitudine si dedicano a impostare una strategia di azione in mezzo a questa burrasca, è di condividere per quanto possibile le proprie idee e la propria visione con il Middle management, ricercando l’engagement attraverso la trasparenza e il coinvolgimento.

Smart working, tecnologie, middle management, competenze digitali


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Andrea Del Rizzo

Group HR Director di Brovedani


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