Da people oriented a human centric: la via del lavoro nelle grandi crisi

Non è detto che sia smart, ma quello che stanno sperimentando oggi le persone è di certo un modo di lavorare nuovo. E non sarà più lo stesso di un tempo: per il 98% di chi oggi opera da casa, il mondo del lavoro in futuro è destinato a essere diverso da quello finora conosciuto.

Mercer, società di consulenza in materia di Risorse Umane, ha intervistato più di 6mila persone e 2mila aziende in tutto il mondo per testare l’attuale employee experience e imparare a conoscere questo new way of working. I risultati, presentati in anteprima alla conferenza stampa digitale organizzata da Workday, sono anche il frutto dell’ascolto di 100 aziende e 200 lavoratori italiani. Nove gli ambiti di approfondimento della survey, tuttora aperta: engagement, fattori abilitanti, comunicazione, benessere, supporto del manager diretto, collaborazione, fiducia nel lavoro, fiducia nel business, future of work.

Il 77% delle persone coinvolte nell’indagine rivela di non sentirsi disconnesso dai propri colleghi, nonostante sia costretto a lavorare a distanza. Dimenticati i timori iniziali, ben l’89% sente di avere tutte le informazioni e l’autonomia necessarie per lavorare da remoto e, se occupa il ruolo di team leader, ritiene di poter tranquillamente gestire i propri collaboratori anche da casa. L’home working viene, però, percepito ancora come una soluzione infelice: più del 45% di chi lavora da casa non riesce a disconnettersi anche una volta concluse le attività. È interessante evidenziare che il 55% delle persone dichiari di non riuscire a dedicare tempo alla propria formazione per imparare cose nuove. Un dato che risente molto del fattore età: mentre il 63% dei Millennial approfitta della situazione per arricchire il proprio bagaglio professionale, solo il 49% dei Baby boomer può dire lo stesso.

Cambia anche la percezione della propria produttività. Nel complesso, il 69% dei lavoratori smart ritiene di sentirsi più sicuro, maturo e a proprio agio nell’uso della tecnologia, ma per il 56% non è detto che agire da remoto renda più produttivi sul lavoro. Due persone su tre ritengono di non aver fatto passi avanti in questo senso. La percentuale è più alta tra i giovani, già abituati a destreggiarsi con la tecnologia (71%), e più bassa tra 50enni e 60enni, a cui la distanza sembra aver giovato (55%). Soltanto un terzo dei top manager si sente produttivo ed efficace anche a casa, in una situazione che sta mettendo in discussione il tradizionale modello di leadership fondato su command and control.

“Lo Smart working, forse, non esiste neppure, quello che stiamo sperimentando è più un new way of working, che, come tale, richiede nuovi paradigmi per misurarne la produttività”, spiega Alberto Navarra, Co-leader Career Business di Mercer Italia. “Per tanto tempo ci siamo detti che le organizzazioni dovevano essere people oriented, forse questo è il momento per essere human centric, votate cioè all’ascolto continuativo delle persone. Le nostre azioni devono essere dirette e risolute, ma vicine alle persone”.

Misure di sicurezza e coinvolgimento dei dipendenti

È questa la strategia che si sta dimostrando vincente nelle aziende esposte oggi ai grandi cambiamenti innescati dall’emergenza coronavirus. Soprattutto laddove non si è fermata l’attività produttiva, l’impresa ha dovuto modificare la sua organizzazione del lavoro. In Sanofi, realtà farmaceutica con quattro siti produttivi e tre uffici in Italia, tra cui l’headquarter proprio a Milano, il comitato di crisi si è insediato già a fine gennaio 2020. Da subito si è investito in sicurezza, fornendo le protezioni necessarie di dipendenti, rivedendo i turni di lavoro e garantendo massima flessibilità sulle presenze.

L’azienda è stata chiusa a fornitori e visitatori ed è stato attivato lo Smart working per tutti gli uffici. Il comitato di crisi ha organizzato meeting giornalieri per monitorare la situazione e ha garantito ai colleghi, oltre al supporto medico e psicologico, anche attività extra lavoro con corsi di pilates a distanza, campus per i bambini, training sulla resilienza. I dipendenti sono stati sollecitati a rientrare al lavoro solo a partire dall’11 maggio 2020, benché a ranghi ridotti: ai manager è stato richiesto di incentivare ancora lo Smart working per garantire una presenza in sede che non superi il 20% della forza lavoro. Le postazioni saranno distanziate e gli ingressi dotati di termoscanner.

“Abbiamo appena chiuso un accordo sindacale che prevede, per chi resta a casa, supporto alle spese per il wifi e una tantum per l’acquisto di materiale per il video e di una seduta ergonomica. A tutti sarà inviato un kit di sicurezza con mascherine e guanti”, assicura Laura Bruno, Direttore Risorse Umane per l’Italia e Malta di Sanofi. Ai colleghi che ritornano in ufficio è richiesto di seguire determinate regole di comportamento: le riunioni saranno online anche in ufficio e sono stati sospesi tutti i viaggi di lavoro.

La rete di medici e di informatori medico-scientifici che frequentano luoghi potenzialmente a rischio lavoreranno solo per appuntamento, con le dovute protezioni e mantenendo le distanze di sicurezza. “È un mix tra regole e responsabilità individuale, che è alla base del nostro approccio. Puntiamo molto sulla delega e sulla fiducia nei confronti delle persone: questo periodo è servito per rinforzare i valori di solidarietà, vicinanza e team working fra colleghi. L’emergenza ci ha dato anche l’opportunità di accelerare tutta una serie di progetti digitali, perché eravamo già pronti su quel fronte”.

Il ruolo di una data strategy per garantire continuità al business

Con l’avvento del Covid-19, l’innovazione tecnologica delle aziende si trova a dover affrontare tre fasi diverse: respond, recover, thrive. A un primo momento di gestione attenta, segue una transizione lenta che richiederà capacità di adattamento a un ambiente agile e in costante trasformazione. “Deve esistere una strategia per supportare la crisi in atto”, avverte Pierre Gousset, Vice Presidente EMEA di Workday.

Studi recenti hanno dimostrato che oltre il 50% delle imprese non aveva un business continuity plan e non era quindi preparata a un’operatività straordinaria. “A livello IT non tutte le aziende erano pronte. È stato molto difficile mantenere alcune applicazioni critiche per le aziende per avere minore latenza in un momento in cui la maggior parte dei dipendenti non era presente in sede: le imprese basate sul cloud si sono rivelate più rapide e saranno le più veloci nella reazione anche in futuro”.

Entrate nel secondo mese di lockdown, le aziende hanno manifestato segni di frustrazione per la mancanza di dati disponibili. “Alcuni responsabili di aziende si sono ritrovati ad agire da Chief Data Officer per capire come tenere insieme i contatti, gestire l’emergenza e restare informati su salute e sentiment dei dipendenti”, sottolinea Bousset.

La crisi ha messo grande pressione sui responsabili HR, tenuti a sapere dove si trovano i dipendenti, su costa stanno lavorando, quali attrezzature hanno a disposizione, quali competenze mettono a frutto. Si è sottovalutata l’importanza di una data strategy, che potesse garantire resilienza e agilità all’organizzazione. Pianificare come affrontare una crisi permette di adattare i modelli operativi all’evolversi dalla situazione.

Oggi i business leader e le organizzazioni devono gestire le crisi nell’immediato. Con l’emergenza Covid-19 hanno ricevuto una chiamata per ridefinire la strategia dati e il sistema informatico per poter continuare a operare con agilità e condividere l’esperienza con i propri dipendenti. È fondamentale per far sì che le persone continuino a lavorare con positività all’interno dell’azienda”.

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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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